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Collana riservata a giovani autrici, sui trent’anni, di poche
pagine (16 per la precisione), dunque con dieci/quindici poesie. Un azzardo.
Una scommessa. La fiducia per una traccia poetica tutta propria.
Così ho letto le due ultime poetesse: Ljuba Merlina Bortolani,
l’arte del bersaglio e Francesca Pellegrino, l’Enunciato.
La prima,
Ljuba Merlina Bortolani, inanella per lo più dentro
endecasillabi un’idea o una figura tratta dall’esperienza, anche di studio,
dell’uomo-uomo o dell’uomo-essere umano, qua e là con tenerezza per le sue
fatiche, qua e là con stupore per le sue imprese, qua e là con la critica al suo
sentirsi uomo che deve e può e non retrocede dalle rendite o non avanza
rispetto a ciò che non può più concedersi perché non gli è concesso, perché è
sbagliato, perché non è vita. Si procede, direi, senza acrimonia in ogni caso,
talora con il pathos espresso da chi sa verso chi non sa, e con il
distacco di chi percorre un’altra strada, più chiara e sua, sia nella ricerca
sia nei gradini già suoi.
La
seconda, Francesca Pellegrino, la seguo nel suo enunciato d’amore fissato in
moduli – a largo raggio – sperimentali sia nella metrica sia nei titoli, nei
quali giocano un ruolo i titoli: verbi (imperativo presente) o sostantivi con
il suffisso -ria?, che formano alla fine anche neologismi. (Es. funambolaRia,
solitudinaRia,…). Amore, per lo più: per una sé che contiene altra sé e per
altro da sé (che è, peraltro, altra sé), in mescolamento di piani e di rimandi,
di rifrazioni e di riflessioni, in cui memoria e presente, solitudine e
pienezza, incanto e disincanto vanno a contornare uno specchio-cuore in cui
urla «il
male muto del mondo».
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Recensione |
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