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Concerto
Più la problematizzazione investe il pensiero
più il soggetto esperiente si rivela colpito dal tabù della nominazione. Che
l’atto della nominazione si riveli essere il lontanissimo parente dell’atto
arcaico del dominio, è un dato di fatto difficilmente confutabile e oggi
ampiamente accettato. Ma quando la problematizzazione investe non solo il
soggetto ma anche e soprattutto l’oggetto, ciò determina un duplice impasse
narratologico, con la conseguenza della recessione del dicibile nella sfera
dell’indicibile e la recessione di interi generi a kitsch. Mai forse come nel
nostro tempo la dicibilità della poesia come genere è precipitata
nell’indicibile: una grande parte dell’esperienza significativa della vita di
tutti i giorni è oggi preclusa alla poesia, per aderire al genere romanzesco
della narratività. Direi che l’ordinamento borghese con il suo semplice
prescrivere il dicibile, bandisce tutto ciò che non è immediatamente dicibile
nei termini della sua sintassi e del suo lessico.
L’indicibile è ciò che non è
più raggiungibile e possibile. Ecco spiegata la ragione del trionfo del
minimalismo come cannibalismo della comunicazione. Com’è risaputo, oggi i poeti
moderni non scrivono quasi più poesie che rappresentano una esperienza
significativa, essi si limitano a comunicare il comunicabile, e in tal guisa non
fanno altro che fagocitare la tautologia. C’è oggi un’oggettiva difficoltà ad
affrontare, in poesia, la problematica di un’esperienza significativa, ed è
quello che fa, o tenta di fare Roberto Mosi con questo suo libro. E forse
soltanto un autore coraggioso come Mosi poteva proporsi un obiettivo così
rischioso, sullo slancio della prima nominazione, quando quasi tutta la
scrittura contemporanea più consapevole si limita a proporre una sorta di
registrazione del quotidiano o del passato del quotidiano o del passato
cronachistico con l’impudenza della propria imprudenza. Conseguenza inevitabile
dell’impasse in cui è caduta la poesia contemporanea è che si parla innanzitutto
molto più del «soggetto», dei suoi ruoli e del suo luogo, che dell’«oggetto»,
perché il soggetto ha cessato di funzionare come principio, o come principio
regolatore; per contro, si parla molto meno dell’oggetto che del soggetto, così
che il discorso poetico si dissolve in una miriade di appercezioni soggettive,
in una fenomenologia delle sensazioni del soggetto.
Il logos
problematizzato condiziona i modi di espressione della soggettività, talché essa
finisce inconsapevolmente nell’imbuto della reificazione delle forme espressive
e la formulazione del logos subisce il tabù della nominazione, che è
quell’altra forma di dominio in cui si traveste l’ordinamento borghese della
rappresentazione secondo i suoi valori e le sue proprie gerarchie. Di
conseguenza, il poeta si assoggetta ad una assidua autoanalisi di
de-reificazione e di de-realismo. A pensarci bene, è paradossale ma vero: la
poesia dell’esperienza ha bisogno di un universo simbolico nel quale prendere
dimora, e di un rapporto di inferenza tra il piano simbolico e l’iconico; in
mancanza di questi presupposti la poesia dell’io esperiente cessa di esperire
alcunché e diventa qualcosa di terribilmente autocentrico ed egolalico: diventa
la carnevalizzazione di se stesso, esternazione del dicibile sul piano del
dicibile: ovvero, tautologia. Le migliori cose di Mosi sono proprio quei cammei
rigidi e rotondi dove l’autore si libera delle convenzioni anipoetiche:
La luna versa
una bianca luce di latte,
sorta dall’orlo delle colline
al di là dei binari.
Il treno taglia la notte
al centro di un manto di luce.
Se il senso della poesia manca, manca la
poesia il suo bersaglio. Non v’è orientazione semantica senza orientazione del
significato. La poesia esprime il senso che può, al di qua di ciò che intende e
al di là di ciò che attinge. Il compito che oggi arride alla poesia dei «poeti
nuovi» è appunto ricostruire una relazione tra il significato e il significante,
ma in termini del tutto diversi rispetto a quelli che abbiamo conosciuto nel
Novecento.
In un mondo in cui i rapporti umani sono
diventati un problema tra gli esseri riprodotti come talismani magici e ridotti
a vasi incomunicanti di un messaggio che è stato soppresso dalla prassi sociale,
resta il problema di come sproblematizzare il problematico, di come liberare le
emozioni dalla cella dell’io che racchiude l’inautenticità generale nel mondo
degli oggetti semiotici.
Oggi forse è davvero possibile soltanto
una poesia dell’inautenticità e del falso, come il tinnire di una moneta
falsa la poesia la devi lasciare nel suo brodo di intrugli e di piccoli trucchi
per poterla rubare agli dèi?. Forse.
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Recensione |
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