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Ingranaggi
L’Ombra delle parole

Si hanno
«ingranaggi» quando tra due corpi vi sono dei punti di contatto. Sono i contatti
che muovono gli «ingranaggi», quelli fisici e quelli psicologici, propriamente
umani; ma negli esseri umani la questione è terribilmente più complessa perché i
contatti sono per lo più inconsci, è l’inconscio che decide del quoziente di
contatti che avvengono, e quindi di ingranaggi che noi mettiamo in essere. Ecco
la problematica squisitamente esistenziale che Edith Dzieduszycka sviscera in
questo libro. Poesia esistenziale questa della poetessa francese di adozione
romana che non smette di interrogarsi e di interrogare la questione della
condizione umana. A che punto è la
quaestio degli
«ingranaggi» oggi? si chiede la poetessa. Accade che un eccesso o un difetto del
numero di contatti può degenerare in uno stop degli «ingranaggi». La macchina
umana viene vista come un complicatissimo meccanismo di ingranaggi archimedici e
cibernetici fatti con buonissimi propositi ma che alla fine cagionano una
implosione, un arresto, uno stop.
Giorgio Agamben pone la questione dei «contatti» in questi termini: «Giorgio
Colli ha dato un’acuta definizione affermando che due punti sono a contatto
quando sono separati soltanto da un vuoto di rappresentazione. Il contatto non è
un punto di contatto, che in sé non può esistere, perché ogni quantità continua
può essere divisa. Due enti si dicono a contatto, quando fra essi non si può
inserire alcun medio, quando essi sono cioè immediati. Se fra due cose si situa
una relazione di rappresentazione (ad esempio: soggetto-oggetto; marito-moglie;
padrone-servo; distanza-vicinanza), essi non si diranno a contatto: ma se ogni
rappresentazione viene meno, se fra di essi non vi è nulla, allora e solo allora
potranno dirsi a contatto. Ciò si può anche esprimere dicendo che il contatto è
irrappresentabile, che della relazione che è qui in questione non è possibile
farsi una rappresentazione».1
Così, nella poesia” I pescatori” i personaggi scoprono che sono presi in un
gorgo, in un medesimo «ingranaggio» che non lascia scampo, almeno fino a quando
non si avrà il coraggio di dire: «Non vogliamo», come recita l’ultimo verso
della poesia. E così termina la poesia, con l’ultimo verso posto come un
semaforo rosso. Il colore del diniego e del rifiuto può essere la chiave di
volta che apre i mondi dell’esistenza, dire «No» è molto più importante del dire
«Sì», rende inoperoso il «Sì», lo debilita, lo disarma, e ci rende più umani. Il
libro dunque ci racconta la storia dell’attraversamento del territorio del «No»,
un «Non vogliamo» in grado di spezzare gli «ingranaggi» con cui la socialità con
le sue leggi implacabili ha irretito le esistenze degli uomini del nostro tempo.
6.6.21
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Recensione |
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