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Manuela Bellodi è alla quarta raccolta di poesia, dopo
Distacchi (1980), Per una manciata d'amore (2002), Albicocche per i miei
ospiti (2006), e quest'ultimo La prossima volta. Poetessa della «nuova
generazione femminile», infatti il libro ha tutte le caratteristiche
stilistiche della nuova sensibilità: a) un proposizionalismo di derivazione
narrativa; b) il trattamento del «privato», rigorosamente ripulito di ogni
aspetto legato alla propria vicenda biografica; c) stilizzazione in chiave
metaforica del «privato». In un certo senso, lo stile della Bellodi è il suo
marchio di fabbrica e il suo certificato di identità. Potrei tentare una
ricerca delle ascendenze di questa poesia ma si rivelerebbe un esercizio fatuo
e vano. In realtà, la poesia di Manuela Bellodi, come del resto tutta la
recente poesia, sembra essersi disancorata dagli ormeggi della tradizione e
dell'antitradizione. C'era un tempo (lontano) in cui c'era quella cosa
chiamata società letteraria. Oggi ne sono rimasti i frammenti. Ma forse è
meglio così, anche questo è un segno dei tempi. Il libro è privo di prefazione
e/o post-fazione. Ed è bene così, il libro si presenta senza la mediazione di
disutili esercizi critici, e qui abbiamo una riprova di quanto siano lontane
nel tempo e nello spazio le epoche dove si discuteva di poesia attorno a un
tavolino con il corredo del pensiero estetico del novecento e quanto lontana
sia l'epoca in cui la poesia veniva «riconosciuta» come poesia per via della
forma-poesia. Se c'è qualcosa che contraddistingue questa poesia di Manuela
Bellodi da altra poesia contemporanea è la sua perfetta «non-riconoscibilità»,
il suo essere maggiorenne senza dare impressione di esserlo. Il libro
contrassegna l'uscita dallo stato di minorità della forma-lirica. Questo è
ormai un fatto compiuto e assodato. Un fatto del passato. Per la Bellodi la
poesia è quella cosa che va a capo e che riprende di nuovo fino a quando non
va di nuovo a capo. E così via. In una eterna altalena di su e giù. E forse è
meglio così. Direi che la nuova forma-poesia è un conglomerato di battute da
cabaret, istrionismi, ironici mimetismi del parlato, pseudo-aforismi, finti
solfeggi, finti ammicchi, finte citazioni, trovate, calembour. La poesia della
Bellodi si muove con agio e grande eleganza, tra i proposizionalismi del nuovo
gergo parlato della nuova intellettualità, presa al guinzaglio dei suoi nuovi
problemi esistenziali. Ho già avuto modo di dire che la «nuova poesia» si
trova in una terra di nessuno dove non c'è più uno stile egemone o una
corrente di pensiero letteraria attendibile e affidabile, sono rimaste
soltanto correnti e venti che spirano in tutte le direzioni. Sta di fatto che
la poesia della Bellodi ha quella particolare fragranza delle brioches al
mattino col profumo del caffè, quella leggerezza di pensieri abbandonati a
foglietti volanti roteanti nel vento, quella particolare delicatesse che li
rende inimitabili e leggeri, perché non vogliono insegnare niente a nessuno,
non possono convincere nessuno, non possono deplorare nessuno. Quella particolare gassosità e freschezza dei
pensieri poetici della Bellodi è una qualità rarissima, lo humour di una
raffinatissima e scaltra impostazione dell'oggetto-poesia tra gli oggetti
linguistici e non che imperversano nella nostra vita quotidiana. Ecco, la
Bellodi ci consegna alcune tra le più fresche e divertenti (ma quanta
consapevolezza in quel divertimento!) composizioni di questi ultimi anni. Ma
inutilmente la Bellodi ci vuole convincere del suo esser digiuna di poesia del
novecento, in verità la trafilatura dei suoi versi la tradiscono per essere una
raffinata interprete della tradizione, anche quando il verso sorvola lo
sciocchezzaio o il gioco di parole, in realtà è la trafilatura dello stile che
rivela inequivocabilmente la superiore consapevolezza estetica della sua poesia
(«Non son da te diversa | ladra o donna nella strada dispersa e disperata | che ruba e vende
amore | come un distributore automatico»; «Tra me e l'e-mail | ho posto un
guard-rail | al fax | preferisco il sax: | www.chi sei tu?»). C'è un grande
riserbo, una attentissima sorveglianza, una feroce autocensura che esercita le proprie
attribuzioni sulla quaestio della «intimità», sulle questioni legate a ciò che
un tempo lontano si indicava con il termine di «anima»; ma che ora è andata
fuori corso e l'argomento è stato lavato e sterilizzato, e ne è uscita una
«cosa» fresca di bucato; vedi la poesia intitolata «Fresco di bucato»: «Ecco,
ogni cosa è tornata al suo posto: | il mio dolore accuratamente nascosto | e piegato come un fazzoletto antico,
ricamato, | rimesso nel cassetto con cura, ben stirato | per paura che qualcuno
ancora possa usarlo». Rispetto alle poesie del minimalismo femminile, queste di
Manuela Bellodi spiccano per elegantissime frecciate e crudelissime censure (e
autocensure), spiccano per la qualità, per la squisita fattura delle sue
metafore. Che escono polite, tirate a lucido, inappuntabili in modo da rendere
presentabile il dolore. Metafore e immagini tanto più inquietanti quanto più
ordinarie e apparentemente casuali. Insomma, La prossima volta è un libro di
rara astuzia e di rara consapevolezza estetica che ci rivela una poetessa di
sicura fattura.
28 febbraio 2009
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Recensione |
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