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Nell'oltre delle cose
L'ombra delle parole
A proposito del precedente libro di Parrini
Nell’oltre delle cose (2012), scrivevo: «Se si dovesse racchiudere in una
definizione il lavoro poetico di Giovanni Parrini, si dovrebbe parlare di poesia
della disseminazione prosastica in tutte le sue tonalità e modalità stilistiche,
da quelle incidentali e laterali così forti da sconfinare nel loro opposto, a
quelle, diciamo così, direttrici, alle corsie centrali, che appaiono più
limpide, distese, con alternanza di penombre e di chiaroscuri.
Da un lato,
Parrini preferisce la raffigurazione di un quotidiano dimesso, con illuminazione
laterale, direi di transito, temporalità del transito oltre le cose;
dall’altro, c’è il progetto di indicare le «cose» come se fossero osservate da
un finestrino di un treno in movimento, dove non sai se siano le «cose» in
movimento o il punto di vista dell’osservatore. C’è un via vai, un affollamento,
un affollamento delle «cose», un infoltimento delle essenze delle «cose». E qui
la gamma stilistica di Parrini mostra una tenuta encomiabile, risponde in modo
problematico alle esigenze del canovaccio tematico (mi si passi l’espressione di
gergo); a mio avviso, là dove Parrini introduce una maggiore variabilità
sintattica e stilistica con inserti metaforici e polinomi perifrastici la poesia
ne guadagna in incisività e mordente. Potrebbe essere questa la direzione da
seguire nel futuro dell’autore.
Il titolo
non casuale Nell’oltre delle cose vuole richiamare il lettore ad una
migliore attenzione, intende richiamarci alla esistenza di ciò che sta oltre le
cose del quotidiano e dell’apparenza. Parrini impiega un linguaggio
basso-colloquiale, cerca di tracciare un colloquio con il lettore, di metterlo a
suo agio senza precludersi però la possibilità di introdurre delle sottili
variazioni interne, dei distinguo, delle eccezioni. Il noto assioma secondo il
quale «il linguaggio esiste indipendentemente da noi» ha il suo correlativo
nell’altro: «le cose esistono assolutamente e indipendentemente da noi, per esse
non si pone il problema del senso e neppure quello della significazione», stanno
lì, al di fuori di noi. Esse sono. Ecco il punto.
Per Parrini una visione
trans-oggettuale e trans-soggettuale del linguaggio è il criterio che lo guida
in questa ricerca del senso (il significato delle cose); Parrini non indica mai
in modi prescrittivi là dove ci sono le cose ma le lascia intendere, le lascia
nel luogo dove la loro presenza ne tradisce l’esistenza. Certo la posta in gioco
è alta e impegnativa: narrare il quotidiano da un punto di vista che sta
oltre le cose significa adottare un linguaggio idoneo alle premesse da cui
parte. La scelta del verso libero è in tal senso azzeccata, come azzeccato è
l’alternarsi di versi brevi, brevissimi e lunghi come ad indicare quella
irregolarità e dis-continuità di cui il «reale» si fa porta-voce e che la poesia
deve raccogliere se vuole essere all’altezza del suo compito. Ma è un processo
ancora in fieri questo, e vedremo nelle prossime opere la direzione che adotterà
l’autore. C’è ancora tempo».
Mi sembra che quanto scrivevo nel 2012 intorno
alla difficoltà di oltrepassare questa prosasticità del dettato poetico, valga
anche per questa raccolta di Parrini, fermo restando che la via da percorrere
per la poesia italiana può essere percorsa non solo da un autore, per quanto
dotato egli sia, ma da una continuità di tentativi collettivi.
28 settembre 2012
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Recensione |
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