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Peter Russell Vita e PoesiaLa zona grigia di compromissione in cui tutti ci muoviamo, è già in sé una ideologia, una ideologia bianca. Peter Russell ne era convinto. Abbiamo dato agli azzeccagarbugli la lingua del Principe di Salina sullo sfondo di una realtà che è andata a fondo per lasciare posto all’iperrealtà, alla pseudorealtà e alla iporealtà, alla ipoverità, alla pseudoverità e alla iperverità; nel frattempo la distanza tra segno e referente, tra segno e cosa, è diventata smisurata, insondabile. Dal capitalismo della produzione e del consumo siamo arrivati ad un capitalismo semiurgico, della manipolazione dei segni, semiotico, semantico nel quale le parole sono diventate innocue, si sono iperbarizzate, atrofizzate, sono entrate in frigorifero e da lì ne sono uscite a temperatura zero gradi.
Il linguaggio dellapoesia di Peter Russell, a ben guardare, sembra un linguaggio letterario di seconda cottura. Ma è che tutta la migliore poesia degli ultimi decenni del novecento europeo appare essere di seconda, o peggio, di terza cottura, ripassata in padella. I puristi del bel verso eufonico sono dei nostalgici e nulla più, poi ci sono i rottamatori, gli specialisti della rottamazione nipotini dei Novissimi del 1961. Così l’arte figurativa. Osserviamo i vari strati di pittura dell’arte figurativa di oggi, gli strati di colore, i graffi, le smagliature, i tagli, le ulcerazioni sovrapposte sui quali il pittore stende la pittura, ehm… definitiva, volevo dire ultima, giacché di definitivo nell’arte di oggi non è rimasto un bel niente; ebbene, quelle cose lì sono il conglomerato di una idea di poiesis che si fa per fotosintesi, in modo naturale, quando invece non c’è bisogno di alcuna fotosintesi di frasari intonsi, è il reale stesso che si dà come compostaggio di cortometraggi, complessificazione di frasari di seconda e terza istanza. Russell capisce per tempo che non è più possibile alla fine del novecento fare una scrittura definitiva e definitoria, non è più pensabile licenziare una scrittura poetica ultimata ma non si arrende alla discesa culturale della poesia che si è fatta in Europa negli ultimi decenni. Russell è stato forse l’ultimo dei poeti modernisti europei che ha scritto poesia alla maniera antica, come un novello Omero:
Il cieco
Omero, schernito dalla truppa ignorante, Oggi noi siamo un po’ tutti epigoni dei poeti modernisti europei, per noi oggi è forse possibile soltanto una scrittura che porti in sé un quantum di ancillarità, di improvvisazione, tra inquietudine e incertezza… la nuova fenomenologia del poetico che si è formata dopo la fine del modernismo nella poesia europea ha in sé il marchio di fabbrica della propria vulnerabilità e della tendenza alla disparizione oltre che all’ammutinamento. Ho sempre avuto la convinzione che la poiesis di Peter Russell tenda all’ammutinamento nella misura in cui è votata all’ammutolimento, tenda alla riaffermazione orgogliosa della verità del discorso poetico, e questa petitio principii lo ha portato ad una poesia della sublimazione del prosaico, ad una ribellione individualistica alle mode che tendevano a derubricare e a tascabilizzare le questioni metafisiche che il modernismo aveva lasciato in eredità. La costituzionalizzazione della poiesis in un dettato costituzionale neosperimentale che ha avuto luogo a partire dagli anni sessanta ad oggi in Europa è stato un prodotto storico inevitabile in quanto inconscio e inconscio in quanto inevitabile, ma questo non è un motivo sufficiente per la sua assoluzione o benedizione. È un fatto inoppugnabile che la poesia di Russell trovi le sue tematiche nella poesia ellenistica e latina della civiltà europea piuttosto che nella sperimentazione delle post-avanguardie europee, e questo qualcosa vorrà pure significare. |
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