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Diletto
C’è un’anti-tesi di fondo tra il
titolo e il contenuto di questo Diletto di Walter Nesti, che se per un verso
distanzia il motivo ispiratore, appunto il diletto nella sua più ampia accezione
di desiderio a più strati e livelli, dall’altro si accosta con una sua grinta
personale alla nozione del tempo. E, infatti, non è casuale che tute e quattro
le sezioni del libro si richiamino al “Tempo”, nel suo svolgersi dell’inganno,
della memoria, corto o lacerato, per concludersi in una “rimbaudiana” festa di
immagini culminanti in un “tempo assassino”.
La parola poetica di Nesti si
affida a una pulizia estrema, non concedendo alcunché all’artificio in sé,
perché sa discernere nella caducità del tempo anche fra parole inutili e parole
necessarie.
È uno spartiacque che non viene
meno nella prosodia ritmica, talvolta echeggiante percezioni olfattive, sempre,
in ogni caso, attento a secernere, a dosare, nell’impalpabile gioco dei ritorni
e di valenze lessicali quelle più consone sì al rispetto del giuoco letterario,
ma soprattutto alla fede nella vita.
“Lasciamo pane al pane | e vino
al vino” è probatorio di questa speranza, infatti il poeta non sentenzia col
comune “diamo”, ma lo sostituisce con “lasciamo”, quindi una affermazione che
non implica interventi estranei.
Nella stessa orbita andrebbe
collocata anche quel fluttuare di “memorie”, che si stipano, che sono lontane,
che si salvano, che si ascoltano, quindi in una corsa parallela con il tempo che
tutto domina e assorbe, e davanti al quale, proprio come fanciulli, ogni giorno
ci troviamo inermi.
La vita, si sa, ha tentacoli
infiniti e profondi, dai quali, spesso, è difficile estraniarsi se non rimanerne
schiacciati, ma in Nesti “ingiudicata resta la purezza”, un testo che scava
profondamente nella coscienza dell’uomo.
“Beati i puri è solo una
dizione | rimasta mutilata se non c’è | la piena comprensione dell’amore
| che ti
scioglie il midollo”. È il punto cardinale attraverso il quale ruota il cerchio
della vita umana e senza quella “piena comprensione dell’amore”, non c’è
beatitudine che tenga ad illimpidire l’universo delle cose, delle parole, che
restano impigliate “nel gesto rattrappito dello scriba”.
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Recensione |
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