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Avevo già avuto modo di apprezzare la sobrietà e la purezza della scrittura di Shen Dali, autore di romanzi, poesie, biografie e pièce di teatro, saggi d’arte apparsi nella collana “L’arca. Pittura e scrittura” in tandem con Dong Chun e dedicati ad artisti italiani e stranieri di notevole spessore culturale, ma la lettura di questo suo romanzo Gli amanti del lago. Sotto il sole di Mao, non ha fatto altro che fortificarmi nella mia convinzione, quella di trovarmi di fronte ad uno scrittore di fervida e asciutta invenzione. La natura del linguaggio di Shen Dali non ha niente da spartire con le elucubrazioni contemporanee, costruite su frasi ad effetto, tese per lo più a stupire il lettore piuttosto che aiutarlo a capire come vanno le cose della vita e del mondo. L’obiettivo del romanzo di Dali era quanto mai rischioso, dal momento che aveva innestato la sua “storia d’amore” nel clima della “rivoluzione culturale” che animò la Cina negli anni cruciali della dominazione di Mao. Ed è proprio quel momento politico-rivoluzionario che contribuisce alla separazione dei due giovani amanti, lui, Yi Mong, sulla cui testa pendeva l’ignominia di essere un “controrivoluzionario”, un “destrorso”, e lei, Sabine Rolland, francese che sbarca a Pechino per insegnare la sua lingua nella Scuola di lingue straniere. La vicenda si sviluppa tra alti e bassi, tra dubbi e accensioni d’amore, ma alla fine entrambi rimangono intrappolati nella rete delle insidie, dei complotti, delle illazioni, separandosi e ritrovandosi dopo tanti anni a Parigi e poi sparire definitivamente dalla scena. Da qui la suspense della definizione di “amanti del lago”, sulla cui scomparsa si interrogano la sorella di Yi Mong, Lou, e il suo innamorato, Lu Ying, ripescando nei meandri della memoria, “trent’anni dopo, su un isolotto situato all’imbocco del Bosforo” una poesiola di Mong bambino nella quale il giovane metteva a nudo tutta la sommità della filosofia taoista alla quale si era sempre ispirato. E il romanzo si chiude con un ricordo appassionato di Lou per il fratello, il quale una volta pregato dall’amata Sabine di spiegarle il senso del termine Yanggu Fusane, le disse: ‘Significa il gelso brilla nella Vallata del Sole”. La cosa strana è che quel termine, asserisce lo scrittore, non si trova da nessuna parte, quindi si deve supporre che esso fosse frutto della fantasia poetica di Mong.

Il romanzo ha pagine di una densità lirica davvero straordinarie, che scorrono veloci e inondano di luce l’anima del lettore, che una volta tanto non è costretto a divincolarsi dalle maglie dell’insulso e volgare linguaggio al quale molta narrativa ci costringe oggigiorno. Ma pone anche interrogativi inquietanti sulle dimensioni socio-politiche che hanno investito la Cina e i suoi abitanti durante tutto il ventesimo secolo, che ne hanno condizionato sicuramente oltre che la crescita civile anche quella spirituale. E questo “affresco” narrativo di Shen Dali scopre tutte le profondità di quella situazione, ma con un candore che aiuta a risalire la china.

Recensione
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