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Elogio della cucina veneta
Qualche anno fa, propriamente con l’uscita
di un altro suo libro, La festa delle vigne, 2003, sempre pubblicato con
l’editrice Santi Quaranta, ho avuto l’opportunità di apprezzare la scrittura
accattivante e leggera del veneto Ulderico Bernardi. Professore ordinario di
sociologia nell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Membro del Centro Studi
Nazionale dell’Accademia Italiana della Cucina, dell’Accademia della Vite e del
Vino, e dell’Accademia Alimentare Italiana, Ulderico Bernardi si occupa, come
studioso, dei rapporti tra tradizione e innovazioni nelle culture autoctone e
dell’emigrazione. Con un bagaglio così ricco di conoscenza, Bernardi ora ci
conduce con il suo ultimo libro, Il profumo delle tavole, alla scoperta della cucina veneta, attraverso un percorso che
si snoda in un convivio di odori, profumi e memorie. Il libro si distende pagina
dopo pagina con un timbro fatto di assoluta grazia, declinato nella misura di
un’attenzione garbata e suadente, che finisce per conquistarti, come se volesse
farti assaporare le pietanze di cui narra. E’ un viaggio intriso di divagazioni
culinarie, contrassegnate dal brio di proverbi, massime, filastrocche, aneddoti,
motti di spirito, sberleffi, che pregusti sin dall’antipasto per proseguire
nelle “voci e i silenzi delle cucine”. Ma c’è dell’altro. L’autore compie una
traversata a 360 gradi “sulle tavole patrizie” o “ville imbandite e motti di
popolo”, e circumnavigando approda alla tavola della “signora polenta”. Questo
l’attacco: «Nel granaio delle metafore venete la polenta occupa un buon
tratto. Partecipa dell’identità. Convoca, davanti al tagliere fumante, storia e
gastronomia, arte e letteratura, scienza, canto, ritualità collettive, divisione
del lavoro e mestieri scomparsi, associando, sotto il titolo desueto ormai di
Polentoni, gran parte del Nord Italia. In un caso arriva addirittura a
coincidere con la casa, fatta tutt’uno con il desco. Andémo a poenta, si
dice infatti lasciando la compagnia per avviarsi alla mensa familiare».
L’anedottica a questo punto si fonde alla
storia, verità e leggenda si mescolano, trovano approdi sempre più invitanti e
s’intrecciano alle ritualità del vissuto, così se si è portati a lodare la
polenta, dall’altro non puoi fare a meno del pane, celebrato e riconosciuto come
l’alimento più che indispensabile. Ma non solo questo : attorno al pane
circolano tante credenze, fra tutte quella di non mettere il pane rovesciato e
poi «…guai a gettar via le briciole. Chi lo fa dovrà poi trascorrere tante
centinaia di anni della sua vita ultraterrena ramingo e lontano dal Paradiso per
quante sono le briciole sciupate in terra. Così almeno assicura una leggenda
istriana».
E giù con altri elogi «Ohi mama che
tociàde: polenta e bacalà», e lo sterminato repertorio di finezze gustative,
celebrate nei secoli perfino da Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia, e
da tanti atri poeti, artisti, e cosa somma una «lode in ottave che al magnifico
pesce baltico dedicò il musico Luigi Plet, maestro della Cappella Marciana».
Il
piatto per eccellenza Bernardi l’ha riservato alla conclusione: una «dispensa
letteraria» dai timbri eterogenei, sia in prosa che in poesia, d’una qualità
più unica che rara, attinta alle fonti della cultura contadina-popolare, e
riservate alla Polenta, al Baccalà, al Pane. Canti struggenti d’una melanconia
che si dipana e si avvolge nel rituale di memorie e di tradizioni
intramontabili, come intramontabile è sempre stata – ed è tuttora – la “fame”
per i popoli di ogni latitudine.
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Recensione |
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