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Da
molti anni la psicologia ha definito soggettivamente l’importanza del colore,
non solo sul piano meramente artistico, ma sul più ampio versante della realtà
quotidiana, attribuendo ad esso una concretezza di valori. Credo che la
scrittura non possa essere esentata da un’analisi di tale portata, anzi, essa è
una costante per semplificare i rapporti di un pensiero, soprattutto quello che
esprimiamo in versi.
Queste riflessioni mi sono frullate nella mente davanti
alla copertina dell’ultimo volume di poesie della veneta Laura Pierdicchi ,
Il tempo diviso,
che – credo non sia casuale, dal momento che in ambito creativo la casualità è
la sostanza – si conformi alla intima cifra stilistica della poetessa, come
lucidamente avvertito dallo stesso Gio Ferri in prefazione. Egli così conclude:
“La ricerca dell’ubiquità (l’attributo del Dio del tutto e del nulla) è la marca
della scrittura di Laura Pierdicchi”. Quale migliore esternazione di un bianco
immacolato sporcato da alcune parole stampate in nero? Il candore di
un’immagine, di una realtà, si risveglia nella asciuttezza del dettato grafico e
linguistico, empaticamente fusi e vicendevolmente corroborati.
La parola della
Pierdicchi non indugia, non si estenua nel flusso dei pensieri, costretti a
ripiegare ogni volta all’angolo, nel buio di quella coscienza che è la vera
referente della sua poetica. Qui lo spazio si frammenta e si moltiplica allo
stesso tempo, perché dalla “divisione” emerge la necessità della compattezza. Il
fluire dei giorni non è raccontato sui generis, ma si allunga nella estenuante
corsa di una percezione, di una sensibilità che non è un avvenimento spurio.
Piuttosto è quella coscienza che sprovveduta “esce al nostro cospetto per un
giudizio adeguato”, che riflette uno scavo non peregrino ma costante, diuturno.
Ogni gesto, ogni parola è finalizzata perché “Il canto nella mia pelle |
scandisce il tempo eletto – | smuove dal fondo pericolosi | palpiti di
nostalgia”. Non c’è pausa che tenga; ombra e luce, chiaro e scuro, si muovono
sulla direttrice di un impegno che non è solitaria affermazione ma sintesi di
una interpretazione della vita e della sua vitalità. E allora anche “Tessere le
ore | con prezioso ordito | affinché tutto rimanga impresso”, scandisce una
alternativa, una virata di bordo a tutto quello che appiattisce la profondità
dell’essere. Ed è la misura di un equilibrio scandito attraverso gli enigmi
delle parole, delle immagini, eppure traccia di una rinnovata speranza, per
poter continuare a camminare con passo lesto verso il domani, verso un futuro
meno rischioso. Ed è una pagina tutta da leggere e soprattutto da condi-vivere.
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Recensione |
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