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Poesia disarmante e nel contempo
fortemente umana
Poeta di lungo
corso, Lucio Zinna continua anche in queste Poesie a mezz’aria nel suo percorso meditativo e struggente, raggiungendo una sintesi
compositiva esemplare. Il libro si tende come in una partitura musicale, con un
continuo alternarsi di toni e di timbri, ora forti ed espliciti, ora meno
presenti ma tuttavia emblematici di una situazione che non ama nascondersi
dietro un dito. La parola zinniana ha il pregio di alzare il volume senza
gridare, di affermare senza imporre, proponendosi nella sua verità interiore,
affidata quasi sempre ad un linguaggio preciso, netto, senza ridondanze o
aggettivi sprecati. Il lavoro di ricerca del poeta si esprime nella necessità di
non occultare alcunché, ma farsi proposizione di un dettato che esemplificandosi
si enuncia e come tale si propone nella sua realtà più intima. Diverse poesie di
questo libro, che consta di solo ventuno testi, sono dedicate a persone e luoghi
vicini all’autore. Fra tutti basterebbe leggersi “Canzone triste per un
piccolo indifeso”, dedicato al piccolo Salvatore Olivieri morto all’età di
cinque anni, che racchiude come in uno scrigno la sofferenza di un mondo sempre
più travagliato, dove, si chiede il poeta, «In quale cielo si recidono steli per
farne | putti di corti celesti quale Dio creerebbe | così i suoi angeli quale
Dio mio Dio?». Si avverte subito che la poetica zinniana non preferisce i canali
del lirismo estetizzante, anzi se ne allontana dal momento che si propone e si
pone come stimolo e ricerca di un profondo sentire. La sua tensione discorsiva
attua un’inversione di tendenza, poiché stabilisce di pari passo un modello di
riferimento e di acuta variante fra ciò che è vero e ciò che non lo è.Eppure
Zinna non rinuncia né rifiuta di tuffarsi nello “splendore” rinnovato della
natura, proprio come fa in “Lustrura”, dove l’attacco è nitido e sembra invitare
alla pacatezza: «La pioggia | fitta | persistente | appena cessata | ci lascia
questa chiaria | che rende traluci | corpi e cose alberi e case | nel viale
inzuppato di resina», ma è un attimo, una sospensione, perché nella chiusa c’è
il ritorno prepotente della domanda: «comunque insieme | fatti certi dalla
stessa incertezza | nella lustrura post-pluviale | di un imbronciato mattino
qualsiasi». Tante dicevamo le poesie con dedica, soprattutto quelle raccolte
nella sezione “Stanze agiografiche”, in ognuna delle quali Zinna mette a nudo
caratteri ed aspetti personali di ognuno, ma senza piegarsi mai al clichè del
“sentimentalismo”, preferendo carpire all’interno di ogni realtà sì la
condizione referente ma inglobandola in una dimensione più vasta, come possono
essere «Questi quattro gatti incisori dell’anima» (Per quattro gatti); o
ancora «Ti canonizzo io zia Vincenzina | nel dantesco “lago del cuore”
| senza
postulatori e avvocati del diavolo | né cerimoniali stendardi immaginette |
senza nemmeno le preghiere di cui i santi | “veri” pare vadano ghiotti».
Ghiottoneria che si estende alla scoperta rinnovata della poesia zinniana, così
disarmante e allo stesso tempo vicina, fortemente umana.
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Recensione |
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