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Il seme del piangere: la Vita nova di Caproni

Questa sezione poetica si incanala nela tradizione della lirica amorosa e da questa accoglie spunti e stilemi, ma anche se ne discosta con l'introduzione di elementi inattesi e come liberati dal fondo dell'inconscio. Il confronto con la tradizione regge per buona parte della silloge, ma nell'ultima parte prende tut'altra direzione con l'inedito svelamento del protagonista della missiva amorosa.

Compaiono personaggi, ambienti, vicende della stilizzazione poetica amorosa: la voce poetica è quella di chi intende lodare e porsi in ammirazione della donna amata; l'amante fa risaltare la bellezza e la virtù dell'amata, definendone l'eccellenza al di sopra delle altre. La donna passa per le vie della sua città, facendo sentire gli effetti della sua positiva e benefica presenza, non solo sulle persone ed amiche, ma su tutto il paesaggio che sembra porsi in armonica simbiosi con lei. Certo la figura, pur nella stilizzazione consueta, acquista tratti di di modernità, come il suo abbigliamento descritto con precisione e concretezza: risaltano la camicetta attillata che celebra la grazia di un bustino leggero da ragazza, i tacchi che inondano le strade con il loro ticchettio, fino alla corsa in bicicletta, nota del tutto insolita e aldi fuori dai toni statici delle figure poetiche del passato. Ritorna l'ornatus retorico, teso ad esaltare la figura femminile e a porla al centro della scena: l'iperbole per conferire livelli superlativi a colei che è destinata a primeggiare e risultare degna di lode, metafore e similitudini con il paesaggio e il mondo che la accoglie come suo splendido elemento. La donna si confonde con il paesaggio, con il mare, la brezza, l'aria, la luce, proprio come nella poesia di Guinizelli. Questa mescolanza con gli elementi del mondo scorpora la donna della sua particolare ed individuale identità per conferirle un carattere cosmico ed universalistico. Le note di modernità descrittiva e i riferimenti a fatti e vicende non impediscono questa trasformazione totalizzante, e neppure lo impedisce l'ubicazione in una città precisamente nominata, Livorno. Come accade nei poeti, il nome non costituisce una vera identità, perché Livorno, esaltata per le sue brezze, i colori luminosi, il clima mite, finisce per indicare un qualunque luogo, un luogo idealizzato.

Come il poeta della Vita nova, Caproni è consapevole della sovranità dell'amore per una donna di tale altezza e confessa il suo pentimento per essersi allontanato da lei, attratto da altre illusioni, come per l'intrusione di un destino avverso che non permette all'uomo di godere delle offerte di vero bene e lo irretisce in altre più meschine e meno degne mete. Ci pare di risentire la confessione di Dante negli ultimi canti del Purgatorio, quando, pentito e addolorato, ma fiducioso nel perdono, intende riprendere un percorso d'amore più sicuro.

Fin dall'inizio, i versi assumono la forma di una missiva diretta ad un'interlocutrice importante e lontana da raggiungere; come nei Canzonieri tradizionali, ed anche quelli di Dante e Cavalcanti, la poesia è latrice di un messaggio, non si accontenta di un'individualistica espressione di autoreferenzialità, vuole aprire un percorso di comunicazione, porsi in dialogo, arrivare alla persona cui si rivolge e tende. Essa figura come una dichiarazione d 'amore e, come tale, vuole farsi strada per arrivare al cuore dell'essere amato. Si tratta di un dialogo tra due anime che sole possono intendersi tra i tanti che affollano il mondo ma non sono degni e vengono esclusi.

Le coordinate della lirica di Caproni riflettono quelle codificate dalla tradizione, ma i codici, come sappiamo, conservano ed innovano, fanno circolare entro gli schemi convalidati materia e contenuti nuovi. Guinizelli, Dante, Petrarca, per citare gli antesignani della lirica d'amore italiana, quanti mutamenti introducono tra loro e i loro predecessori provenzali! La società e la cultura agiscono sul codice trasformando la visione dell'amore, l'immagine femminile, la visione tutta del mondo che nell'ambito dell'amore si cela. A distanza di secoli Caproni sembra recuperare le modalità dell'illustre tradizione medievale, come per riconoscere che proprio tali modalità riescono a meglio esprimere l'assolutezza e l'universalità dell'amore. Nella letteratura italiana non c'è stata una linea continua di sviluppo di tale filone, per l'emergere di altre problematiche, sociali e filosofiche talora solipsistiche ed ermetiche. Nel Novecento le riprese, anche quando sono evidenti, risentono del clima pessimistico, carente di quelle fiducie salvifiche che l'amore era solito concedere. In Caproni si assiste ad un vero e sorprendente recupero della lirica tradizionale con i suoi stilemi e rituali. Eppure anche Caproni non è poeta atto a riscoprire fedi e certezze, perciò la sezione in esame va inserita nel suo percorso poetico di uomo del nostro tempo. Il suo è un pensiero critico che azzera formule ed apparati della civiltà per guardare l'uomo solo collocato in un territorio di confine, nel deserto della vita. Una connotazione in tal senso è offerta dallo scenario della morte della donna, che non può mancare nella Vita nova di Caproni: Dante, colto dall'evento della morte di Beatrice, va a contemplare la sua donna e la trova serena, composta in pace; la bellezza non è stata compromessa, ma esaltata da quella pace che prelude all'eternità, e sembra invitare allo stesso godimento anche il poeta, cosa che effettivamente avverrà al completamento del suo viaggio di missione. La morte di Annina, nelle lirica di Caproni, non si offre alla serena contemplazione, non promette certezze esaltanti, ma dà smarrimento ed angoscia. Lei appare sola, miseramente vestita, priva di quelle doti e doni di cui aveva goduto in vita nell'ameno paesaggio livornese. Lei stessa è in preda alo smarrimento, non ricorda il passato se non per isolati frantumi, tutto le si ottenebra e confonde, perde gradualmente la sua identità e non per acquistarne un'altra più sicura ed eterna. La sua figura rimpicciolisce, è prossima a vanificarsi e rientrare nel nulla. Si trova, e non sa come, in una stazione ad attendere un treno che è la rapina della sua vita, viene da lontano e porta lontano, nessuno sa come e dove, ma il suo arrivo è impellente, come il destino che impone e separa da tutto quanto il passato. Si avvertono gelo e squallore che disfano i contorni umani e le forme; tutto viene inghiottito da una nebbia crepuscolare, che simboleggia il nulla, il segreto inquietante del mondo. Come si è giunti in questa stazione di ultimo confine? Come si sono vanificati i colori e le dovizie del mondo in cui Annina viveva? La conclusione del Canzoniere, pertanto, riporta al gusto di Caproni, la cui poesia predilige strane ambientazioni solitarie, come sbalzate fuori da ogni familiare consuetudine e da ogni umano habitat. Questi luoghi di approdo non appartengono al nostro mondo umano e neppure ad un altro mondo utopicamente atteso, offrono una visione scarna e nuda di alternative. In questo territorio abissale si conclude la vita di Annina, nell'attesa di qualcosa simile al nulla che dovrà rapirla.

Ma la domanda di fondo, rinviata fino a questo punto, riguarda proprio Annina: chi è questa donna cui viene dedicata la sezione lirica e a cui sono destinate le canzoni? Lo apprendiamo nell'ultimo testo, quando Caproni aggiunge alle formule della missiva il senhal dell'identità: si tratta del figlio che dichiara il suo amore alla madre e fa fretta alla canzone perché arrivi in tempo ad annunciare questa dichiarazione. É' la prima volta che un canzoniere d'amore viene dedicato alla madre con i toni e le espressioni ricorrenti nei canzonieri. Questo elemento, inedito nella storia della cultura, ci riporta ai primordi, quando la società non aveva ancora posto la censura sul gruppo parentale, spostando le scelte amorose all'esterno del gruppo. La civiltà greca riflette questo orientamento e copre con un velo di vergogna ogni trasgressione, come nei miti di Edipo e Fedra. Freud ha ben chiarito queste dinamiche di fondo e nel Disagio nella civiltà rivela gli arcana dell'amore, deviati poi socialmente per la creazione della società nel superamento del ristretto egoismo del clan familiare. Freud riconosce, tra gli altri legami, la forza insopprimibile dell'amore tra madre e figlio.

Va riconosciuta ad alcuni poeti la capacità di riportare in auge, pur nel filtro della narrazione poetica, questo elemento del vissuto umano in un tempo in cui si incrinano i tabù e si interrogano le zone dell'inconscio. Le verità del profondo, oscurate dalla civiltà, sembrano riemergere e riportare l'uomo alla sua autentica identità. Il disagio della civiltà risospinge indietro, rompendo le incrostazioni che paralizzano i moti dell'animo. La razionalità scientifica e tecnologica genera delusione e stanchezza e, con esse, un senso di ripensamento sulle sue consolidate certezze.. Caproni è il figlio del suo tempo, l'età contemporanea, in cui si respira l'anelito ad una cosmicità naturale e misteriosa, ma notturna e chiusa in se stessa; gli ideali eterni, non più possibili, hanno lasciato il posto ad immagini originarie, discese nel profondo, legami segreti basati sulla ripetitività mitica. La madre, nei suoi requisiti di generosità ed arcana chiaroveggenza, diventa il simbolo naturale appagante e multiforme, capace di compendiare, nella sua pienezza, il ciclo della vita. Pirandello riscopre il mitico ed originario vincolo tra madre e figlio, diffondendolo nel mondo per sostituire i falsi idoli delle culture del progresso. La protagonista dei Giganti della montagna, l'attrice Ilse, intende portare a conoscenza di tutti la “Favola del figlio cambiato”, svolgendo una sua missione di riscoperta della radici dell'amore, anche a costo di sfidare l'ostilità del potere maschile. Vittorini Silvestro non può fare altro, per colmare il suo furore- disagio, che volgersi indietro per ritrovare, dopo varie tappe preparatorie, una figura di madre patriarcale e sapiente, pronta ad accogliere il figlio e a ricondurlo nell'alveo autentico della vita, in cui scolorano le identità e le differenze, perfino quelle tra il bene e il male. In Proust a dare senso all'insicurezza di Marcel sono le figure femminili della sua famiglia, la madre e la nonna. Nel ricordo le due figure fluiscono l'una nell'altra, offrendo protezione e filtrando nella dimensione onirico-memoriale il dolore della vita. Per cui le giovani amate successivamente da Marcel appaiono come inferiori immagini speculari degli affetti familiari, che esse non riescono ad eguagliare.

Così la madre amata nella poesia di Caproni ripete l'essenza e la pienezza del simbolo affettivo, recuperato dalla filosofia e psicologia contemporanea. Annina è immagine di cosmicità terrestre, colta nell''imprescindibile processo naturale di vita e morte, avulso da residui di aspirazioni soprannaturali. Il figlio vuole farle pervenire il suo messaggio d'amore prima che sia troppo tardi, prima che il treno- destino la prelevi dall'ultima stazione della sua vita, con l'ansia perfino che la canzone non possa giungere a tempo. Non esiste speranza di un dialogo oltre la morte, né che Annina da una dimensione superiore possa vegliare su di lui. Non viene espressa, neppure nell'immaginazione o nel sogno, una tale appagante speranza. Il vincolo viene riscoperto nella sua ciclicità naturale, per ciascuna coppia umana esso è a termine, respira all'unisono con il filo del destino che, come nel mito classico, apre e chiude il ritmo individuale ed anche quello della vita amorosa. Il rapporto d'amore, allora, in Caproni, si pone come percorso conoscitivo e visione del mondo, penetra nei meandri della vita di cui non nasconde nulla, neppure la finalità terrena e caduca. Esso è così il seme del piangere, cioé conoscenza del male di vivere.

La silloge si concentra sulla figura di Annina e, disseminando nei versi la lode alla ragazza eccellente tra le altre, rivede le tappe più rilevanti della vita come a voler tracciare le file di una memorabile biografia: succedono nella narrazione il fidanzamento, le nozze, l'attività lavorativa, la morte. Ai toni gioiosi delle nozze, allietate da parenti ed amici menzionati con nomi familiari, si oppongono quelli spenti e crepuscolari della malattia e della morte. La maggior parte delle liriche scandisce il passaggio di Annina tra “tradizionale ritualità salvifica” e la concreta vitalità di una giovane ricamatrice che attraversa la vita fiera del suo lavoro, della sua freschezza, della sua agilità. I titoli stessi( L'uscita mattutina, Né ombra, né sospetto, Quando passava, la gente se l'additava, Sulla strada di Lucca, La ricamatrice, La stanza, Scandalo) indicano le fasi della sua giornata, dall'uscita mattutina, alle volate in bicicletta, al ticchettio lungo le strade, alla stanza del lavoro. Il passaggio traccia una scia di luce e gentilezza,, ma con tratti di vivacità e concretezza, che discosta il nostro poeta dalla mistica staticità del passato; rimangono impressi la nota del voltarsi di Annina, il risuonare della strada sotto i tacchi, il neo del labbro, la catenina d'oro, la scia di cipria.. E tutte queste note poi sono accompagnate dalla meraviglia del poeta che è solito seguire le sue immagini con espressioni esclamative introdotte dal “come”. Alle liriche del passaggio si alternano quelle interlocutorie della missiva, con cui il poeta, in forma di preghiera o di esortazione, predispone le rime al percorso più adeguato per raggiungere la donna amata, facendosi latrici del personale messaggio. Risaltano per spiritualità la Prima Preghiera, in cui il poeta, come Cavalcanti, si rivolge alla sua anima, la manda in cerca di Anna Picchi e si confida a lei con i toni dolci e tenui, adeguati alla leggerezza, appunto, dell'anima. Risalta anche l'ultima Preghiera, in cui raccomanda all'anima di avere fretta, di non aspettare, di non lasciarsi sviare lungo la strada, di essere attenta a riconoscere lei tra le altre per i suoi segni distintivi, lo scialle nero e la gonna verde. La lirica è piena di moniti, richiami all'attenzione, di premura ed ansia perché la missione potrebbe fallire. Al poeta non interessa più la lode, ma la rivelazione di un messaggio d'amore che potrebbe non essere tempestivo, un messaggio carico di tutte le emozioni di una vita che ora si confessa tutta e non può più rinviare la confessione. La confessione è il bilancio di tutta la sua vita: dall'infanzia in cui l'amore si è fissato, alla giovinezza in cui l'amore materno e naturale viene sviato da altri amori, al pentimento e al ripristino. L'amore adulto del figlio per la madre si riallaccia a quello infantile e in uno scorcio di secondo balugina, risplende e risana l'anima rasserenata. Dopo la strofa del rimorso mormorato all'orecchio, segue la dichiarazione squadernata senza riserva, franca e placida. “Sospiro.. rimorso.. arrossire..”costituiscono la sequela di stati d'animo preparatori alla chiarezza appagante del finale rivelatorio, con la reiterazione di “suo figlio, il suo fidanzato”, densa degli arcana dell'amore. Poi la tensione della preghiera si placa e le rime potranno avere il loro congedo. La vita, quella della madre e del figlio, sembrano ricomporsi in unità, solo l'inizio e la fine della vita possono attuare il miracolo. Tutto il resto, come accade tra Vita nova e Divina commedia, è traviamento e deviazione.

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