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Relazione di Paola Lucarini
alla presentazione del libro
E ci sono angeli
di Maria Luisa Daniele Toffanin
Firenze, Palazzo Medici-Riccardi
24 ottobre 2011
presentazione
Maria Luisa Daniele Toffanin in E ci sono angeli
testimonia attraverso la scrittura poetica un avvenimento straordinario della
sua vita vissuto alla luce della Grazia. Il suo è uno stato di coscienza limpido
e lucido nella pienezza della gioia, la quale, quando è sublime, sa accogliere
in sé anche il dolore del mondo intorno.
Da questo ampio e nel contempo intimo scenario prende forma
il tracciato lirico di Maria Luisa, il cui sguardo, tenero e innamorato segue e
penetra la scia di misteri che costellano nascita e infanzia.
Le ore gioiose dell’attesa, prima, e della presenza, poi,
dell’amatissima nipotina Giulia rendono viva questa esperienza personale che
s’innalza a rivelazione, dilatandosi da evento familiare a evento universale.
“Ogni vagito / ha l’universa vita / racchiusa dentro”, afferma
l’Autrice nell’incipit del libro.
L’avvenimento luminoso di una vita aurorale splende del
resto in ogni casa, in ogni angolo della terra, così che possiamo chiamarla la
casa del mondo per la famiglia dell’umanità, spalancando alla meraviglia di un
evento condiviso la porta dell’infinito. Sì, ogni vagito (ma anche ogni respiro
dell’uomo, aggiungo io) ha l’universa vita racchiusa dentro.
La raccolta, di cui stiamo parlando, è divisa in tre parti:
“Il volto dell’infanzia”, “E ci sono angeli” e “Di luna in luna”, nel tentativo
di abbracciare una realtà complessa, nell’alternarsi continuo di luci e ombre.
Sopra le terre splendono i cieli nel loro celeste mistero, a loro volge lo
sguardo Maria Luisa con incalzanti domande, accorate suppliche e la sua ferma
speranza, nonostante le infinite tragedie cui assistiamo impotenti: ci sono
angeli, sì, soprattutto dove sprofonda l’abisso delle crudeltà umane, della
violenza, della miseria, della disperazione, situazioni inaccettabili che l’uomo
oggi si trova drammaticamente a vivere. Ed è dunque splendida prova d’amore per
l’umanità che Maria Luisa, pur nel tempo privilegiato della felicità, tenendo in
braccio la sua creatura, oda il controcanto di dolore salire dalle labbra di
tanti bambini in preda a pene indicibili, che mandano segnali attraverso
tremende vibrazioni d’aria, sature di grida di pianto.
Maria Luisa è tesa a raccogliere gli infiniti segreti
dell’essere. Straordinarie le sue capacità di accogliere perfino ciò che non si
può pienamente conoscere, realtà nascoste lontane e vicine. Ha il coraggio e la
determinazione di muoversi in luoghi d’anima probabilmente finora da lei
inesplorati, ma che adesso una vitalità più accesa, a contatto del miracolo con
una esistenza nuova, le consente di penetrare.
E’ l’antica eppure odierna realtà cui allude Cechov quando
dice: “Quel non so che d’irreparabile e spaventosamente disperato che non si può
forse mutare e al quale non ci si può abituare mai”.
Occorre il coraggio di aprire gli occhi all’attenzione
verso la rassegna dei mali di questa terra, si rischia la rassegnazione nei
confronti delle perfidie umane. La ripetizione di notizie e di atti scellerati
anestetizzano l’anima, e portano a un silenzio rassegnato e impotente. Siamo
tanto abituati alle disgrazie, agli abusi, ai latrocini che ci sentiamo
scoraggiati, e pare inutile il nostro onesto agire. Diveniamo impassibili (anche contro la nostra volontà), ci sentiamo piccoli dinanzi alla grandezza e
diffusione del male, rinunciamo spesso a un gesto che sarebbe stato possibile.
Ci sembra di non poter incidere sulle sorti del mondo. Invece non è così.
Occorre trovare l’energia necessaria per cambiare presente e futuro della
società. Edmund Burke ci avvisa: “Tutto ciò che è necessario/per il trionfo del
male è/che gli uomini buoni/non facciano niente”.
Maria Luisa con questo libro fa la sua parte in difesa
della vita, e dei suoi autentici valori, denunciando coraggiosamente i misfatti
perpetrati. La sua parola forte e intensa s’innalza a invocazione e preghiera
per i pargoli che “galleggiano come rose nere / su palude di dolore”. Si calpesta
l’infanzia “germoglio di Dio sulla terra”. Ma non è questa la verità ultima che
incendia il suo dire quanto piuttosto la certezza che “può fiorire la rosa del
deserto / se l’accende la Tua pioggia di Luce” poiché il Signore della vita non
dimentica mai le sue creature. Parte da qui il suo ritorno alla gioia, che è
sostanza di speranza.
Certo la nascita di Giulia è momento esaltante, il brivido
d’amore che rende la vita più viva, è il sorriso dell’essere nella mandorla
lucente che s’incendia di rosa come l’aurora.
Giulia, appena uscita dalla mano di Dio in forma di angelo
terreno, immagine di purezza emersa da sacre acque, da sorgente divina e
divinamente avviata per sentieri imperscrutabili, ma ricchi di promesse.
Per l’Autrice si apre un futuro da condividere con quella
letizia di cuore e quella speranza troppo spesso offuscate dalle opacità e dalle
atrocità di ogni giorno.
Il legame che unisce indissolubilmente nonna e nipotina è
doppio cordone ombelicale, non lascia spazio per l’alterità, ci si riconosce a
specchio in luccichii di somiglianze profonde, fusione d’intimità immediata e
naturale, che consente di ritornare allo stato di grazia, alla purezza
dell’antico cuore bambino. Sì, ritornare all’armonia dell’origine con la
consapevolezza consolante che infine proprio l’origine – Dio – è la nostra meta.
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