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Dal diario di Orazio Cantello
Palermomania.it
Un
banale e fortuito incontro, una discussione come tante, fatta così, per passare
il tempo, diventano occasione per parlare di vita, valori, letteratura; anzi,
forse, è meglio dire occasione di un dialogo che suggerisce, che sollecita a
riflessioni intorno a vari temi su cui sono proposti specifiche opinioni, ma
che nello stesso tempo, sembrano segnare l’incipit di una discussione da
proseguire.
Tutto questo avviene in
un racconto lungo, Dal diario di Orazio Cantello di Elio Giunta, dove
l’attesa in aeroporto diventa opportunità d’incontro con il personaggio, il
cui nome è già presente nel titolo. Nella
cornice creata da tale attesa e da annunci monotoni ed insistenti di ritardi e
partenze, s’inserisce il dialogo tra Emilio Goffredi, narratore omodiegetico, di
professione giornalista e lo strano personaggio che alla fine si rivela essere
un malato mentale, che nei periodi di crisi vive “momenti di
assenza”. Orazio, separato da tempo dalla moglie, viveva
con il figlio Enzo, fino a quando questi non morì in un incidente durante un
viaggio verso Palermo per raggiungere la sua ragazza. Tutto ciò il giornalista
lo apprenderà dopo da Matilde, sua sorella, il cui numero telefonico trova nel
diario che egli si preoccupa di fargli consegnare da uno dei due infermieri,
che vengono a riprenderlo per riportarlo nella casa di cura da cui è
fuggito.
Come si è già detto,Cantello nel suo breve dialogo con Emilio
affronta temi vari che, come in un flusso di coscienza, trovano la ragione del
loro svolgersi in una parola, in un accenno, nell’uso occasionale di un modo
verbale anziché di un altro: dall’imprevedibilità degli eventi della vita,
talvolta del tutto indipendenti dalla nostra volontà, da certo giornalismo che
fa” articoli per le pagine dei perditempo”, all’amore coniugale,
all’identificazione dell’amore con la vita e della vita con la
scrittura.
Quest’ultimo argomento assume forma di denuncia, là dove si rivela
l’allontanarsi della letteratura dalla vita. La narrativa non può essere
semplice strumento di divagazione, di suspense, attraverso la creazione di
intrecci oscuri, misteriosi, come accade in molti thrillers contemporanei, che
coinvolgono il lettore, ma nello stesso tempo lo sconvolgono, facendolo uscire
dal mondo, da se stesso; insomma la vera letteratura non deve favorire
l’evasione, adeguandosi alle esigenze di certa pseudo-cultura che il sistema
socio-economico dei nostri tempi impone, ma deve far conoscere la realtà e
soprattutto noi stessi.
Orazio arriva a negare il romanzo come
genere letterario, ritenendo tale, nella sua condizione di alienato mentale,
solo quello della propria vita, per cui un diario e già un romanzo, senza
bisogno di creare fantasiose trame: “Qui vede ho solo appunti, ne metto giù quasi
uno al giorno. Sono questi i miei romanzi, hanno tutti lo stesso personaggio, la
stessa
trama”.
Ovviamente è solo una provocazione, da cui il
narratore prende saggiamente le distanze, ponendo in bocca ad un personaggio
non sano di mente tale considerazione, a maggior ragione che l’autore si
identifica con il narratore, come rivelano anche le iniziali del suo nome: E.
G.
Tuttavia, al di là delle estremizzazioni provocatorie, è anche vero che la
denuncia verghiana sulla banalizzazione della funzione della
letteratura, presente nella prefazione al romanzo Eva, è ancora attuale ed
Elio Giunta, come tanti altri scrittori, sente l’esigenza di una letteratura
vera, legata alla vita, ai moti dell’anima, alle riflessioni e alle azioni che
il vivere e il convivere con gli altri in questo mondo e in quest’epoca,
comportano.
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Recensione |
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