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Non chiedere alla neve
Cinque
poemetti che narrano in versi di vita vissuta, di un passato che non tornerà
più: la vita contadina e i suoi valori ancestrali, i lunghi racconti delle sere
invernali, un orfano che s’imbarca e la “Merica amara” per tanti migranti, la
guerra, i Tedeschi, la resistenza, un matrimonio sbagliato, sono i momenti di
vita trattati nei poemetti per poi infine riconoscere, confessarsi
l’impossibilità di trovare un senso agli eventi, forse un significato alla
stessa esistenza, “... sogno \ che sta tra due notti o la notte \ che va da
mistero a mistero. (La principessa e l’orfano, pag
19)
Giannino Balbis quindi racconta - poetando
- di un mondo che il capitalismo
prima e la globalizzazione oggi ci dicono lontano, perduto. Ma ahimè, non è solo
la cultura materiale che non tornerà più, ma anche i valori, che in essa si
coltivavano sostanziando la vita, sono ormai solo un ricordo. Ed intanto la
neve, metafora polisemica, insieme tempo, flusso incessante del suo divenire,
caso, occasione a cui nulla si può chiedere intorno al perché di questa storia e
non un’altra, della storia di ogni singola vita, continua a cadere
nell’indifferenza amorfa nei confronti della nostra esistenza, dei nostri
ricordi, unica essenza vitale di ciò che fu: “Non chiedere alla neve \ il senso
delle storie \ vissute e non vissute. \ Non chiedere ala neve \ se sia più corto
il vivere \ oil suo significato.” (L’ultima confessione,
pag.41).
Forse, quando si giunge ad una età in cui più
frequentemente si è indotti a fare una sintesi e una sorta di resoconto della
propria esistenza, maggiormente ci s’interroga sul suo mistero, sul suo
significato e il poeta non viene meno a questa naturale domanda che,
nell’assenza di risposta, trova proprio nello stesso vissuto l’unica ragione che
la giustifichi, però la consolazione del sogno memoriale per il poeta è avvilita
dalla consapevolezza che quel modus vivendi, quei valori ormai non esistono più
se non nei ricordi di coloro che nacquero e crebbero in quel contesto,
nutrendone lo spirito ed i
comportamenti.
Quanto suddetto vuole
evidenziare come la poesia di Giannino Balbis sia sostanziata di contenuti
intensi, profondi, eppure essi sono immediatamente recepibili grazie ad uno
stile che si avvale di un linguaggio privo di artifici, chiaro, della forma
descrittiva e dialogica, quasi a volere istaurare un colloquio non solo con i
personaggi del suo ieri e con se stesso, ma anche con i lettori attraverso il
recupero degli aspetti concreti della vita, testimonianza di un contesto
umano e
socio-politico.
Balbis nella sua semplicità e concretezza espressiva s’inserisce appieno nella
linea antisimbolica ed antinovecentista del Secondo dopoguerra e come Sereni o
Bartolucci è indotto a toni semplici, ad allargare lo stile a registri
espressivi che non rifugiano anche da qualche termine dialettale. La scelta del
poemetto e il suo realismo contenutistico e formale, la musicalità del verso,
ottenuta soprattutto attraverso l’ictus dei prevalenti settenari e novenari,
sollecitano l’emotività e la mente del lettore alla condivisione del
racconti-ricordi e della problematica esistenziale che da essi scaturisce.
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Recensione |
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