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Una corona di latta

Malinconica e dolce è la poesia che Franca Alaimo propone al lettore nella silloge Una corona di  latta. Il titolo della raccolta ci fa pensare ad una regina, ma, considerato che la corona è di latta,si tratta di una regina per gioco o di una regina schernita? Direi l’uno e l’altro: per gioco, nel trastullo rigenerante della poesia; schernita, negli eventi- accidenti dell’esistenza.

Il gioco dell’infanzia è l’autenticità della vita, l’espressione  dell’ingenuo candore con cui i piccoli si aprono all’esperienza della realtà:  Franca gioca con la Parola  e questa le risponde e “come bimba  ammaliata” (in Dove mi invita) va “dove” la “invita”(ibidem).La matrice metafisica dell’ispirazione, più volte rimarcata nei testi, porta la poetessa nella dimensione più vera di sé; la dimensione infantile che coincide con quella fanciulla che guarda, come sostiene G.B. Vico, con animo perturbato e commosso  per la prima volta la realtà e dà un nome alle cose, ma questo contatto con il reale è dolce e malinconico nello stesso tempo: lei, regina scopre e nella scoperta conosce anche la signora affascinante e lusinghiera che chiama Gloria: “avrei voluto indossare /l’abito luccicante della gloria/e avere uno stuolo di lettori” (in Lavorare in secreto), invece “scuote l’ampolla del suo cuore “ (ibidem) e si accorge che Gloria è scorata da una strega irriverente che schernendola le dà una corona di latta: la strega è “ il male che trabocca” (in Scoramento)  nel mondo, è il suo amore “di cui è stato fatto scempio”  (in La corona di latta).

 La raccolta è anche una dichiarazione di poetica poiché rivela espressamente la natura simbolica della poesia di F. Alaimo che “ di comporre e scomporre mai si stanca / gettando simboli fra le cose più diverse (in Pontifex), ma senza mai abbandonare la limpidezza semantica che, pur attraverso il simbolo, rende intelligibili i suoi versi. Questi inoltre, scorrono come limpido ruscello, musicali ed armoniosi e, attraverso assonanze e diposizione accorta delle parole, gratificano anche l’orecchio del lettore

Recensione
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