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Nell'esperienza poetica di
Veniero Scarselli c'è innanzi tutto il tentativo di rivendicare alla poesia un
significato positivo, affermandone leopardicamente un carattere in qualche modo
speculativo, di ricerca della verità, di approssimazione alla sostanza
originaria del mondo, in direzione nettamente antagonistica rispetto alla
ricerca scientifica di cui sancisce in un certo senso ii fallimento sul piano
della conoscenza (e dunque sul piano del risarcimento etico-religioso dell'uomo)
essendo la poesia "l'unica possibilità che ha la mente di rappresentarsi
finitamente, cioè con strumenti accessibili, l'infinito".
Ponendosi come diagnosta e critico della civiltà faustiana,
egli, sin dall'esperienza di Isole e vele (1988) e poi di Pavana per una madre
defunta (1990) fino a questi Torbidi amorosi labirinti (Forlì, Nce 1991) ha
sempre assunto la fisionomia di chi, in se stesso, conduce all'umiliazione ed
alla penitenza il tratto demoniaco che caratterizza l'uomo e la modernità. Ma
dell'energia vitalistica e faustiana egli è altresì l'assertore: di essa
partecipa in prima persona, sia nella teoria che nel pensiero. E perciò il
critico della crisi finisce per reimmergersi nel flusso eracliteo: da esorcista
ridiventa demone e, con differente e diseguale consapevolezza del divario che in
tal modo gli si è formato dentro, paga il suo prezzo (alto prezzo, in verità)
alla logica della decezione e della necessità naturale: "Fu così che
all'infelice vulcano | ancora avvenne di spegnersi in un gemito, | tacquero le
strida degli assalti, | le nobili convulsioni del pene, | le estasi, le sumblimi
trasfigurazioni. | Da Eroe e Maestro | divenni infame servo del mio sesso, | prigioniero d'ossessive spirali".
Ha ragione pertanto Luigi Baldacci quando afferma nella
introduzione al volume che "tutto l'esistente, nella sua fenomenologia infinita,
si connota come male, e il sesso, come volontà di essere e di continuare ad
essere, è la radice di quel male: è l'orrore delle cose create". Anzi, tutta la
poesia di Scarselli indulge ad un pansessualismo dove la morte stessa,
protagonista aggettante ed ossessiva, è vista come atto erotico, in una catena
di rimandi tra sacralità e profanità nella quale la religiosità è una forma di
dichiarazione ultimativa, di fronte all'apocalissi del mondo. Così, nel
discorso di Scarselli, dopo il tentativo di fissare uno schema assoluto delle
cose, tutto è rimesso continuamente in gioco, in un insieme ricco di figurazioni
inusitate che il filo della fantasia ed il battito della ossessione ricuciono in
trame sontuosamente iridiscenti e non senza una certa ridondanza retorica
rispetto all'informazione poetica che si vuoi dare (si veda, per tutti il testo
di p. 24, dove il motivo archetipico, a furia di insistervi, si stempera in
una generica serialità tautologica).
In questo libro, in verità, Scarselli tocca il fondo della
sua "violenza" espressiva che lo aveva caratterizzato, sin dagli esordi, come
uno dei crudi ed aspri dissacratori dell'ottimismo etico ed esistenziale
dell'uomo. Le sue dissonanze ritmico-semantiche rivelano una forte tensione
interna al verso che si ricompone nella fredda ed indomita certificazione di un
dramma in atto: quello mai risolto della condizione umana sospesa tra istanze
dell'io e determinismo naturale. Pur nella forma lunga del romanzo lirico, i
versi non si coniugano tra loro, ma sottolineano, nella frase sintatticamente
chiusa in sè, le lacerazioni e l'infinita frantumazione del reale, rendendo
appieno le potenzialità drammatiche del suo linguaggio, in una partitura
espressiva arricchita da massicce immissioni di grottesco, da agglomerati
espressionistici, da un citazionismo tecnico che si traduce, per un peculiare
attivismo di fondo, in elementi biologici del discorso dato come primario.
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Recensione |
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