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Preceduti
da “La deriva”, pagina di delicatissima prosa, in cui il quadro di una casa in
abbandono, descritta per pause e lievi squarci di memoria, appare subito
fissato, anche se Non si percepivano odori, né vi erano resti o segni
abbandonati al buio che stava per giungere, questo ben curato, nuovo volume
di poesia di Danilo Mandolini sceglie un percorso di qualità che consente alla
sua scrittura di guardare al lento fluire delle cose, dei sentimenti, degli
uomini in viaggio (verso dove ?), appuntandone i capisaldi delle sponde, delle
stazioni, vie, strade con tranquilla, ma visibilmente drammatica, pur rassegnata
disposizione.
Tra
solitudine e risveglio ripetuto | si apre come una finestra senza tende, | un
soffio di luce interrotta | che penetra l’abisso delle stagioni…,
sono versi che inducono alla considerazione di un teatro di prova, su un
palcoscenico aperto a pochi, rari elementi dell’interpretazione.
Momenti di
un quotidiano particolare, vissuto nel ritmo delle non infinite possibilità che
si offrono all’uomo, in questa vita, accendono di luce riflessa un mondo di
bellezza quasi opacizzata da una resistenza interiore, tuttavia registrato in
una luce di crepuscolo, quasi in avaria, risultano definitivi riguardo alla
consapevolezza della precarietà in cui ci avvicendiamo attraverso le varie
generazioni, distanti sempre e per sempre, l’una dall’altra e incomprensibili
dinanzi a tutto. Cosa dire | di uomini che enumerano, | senza ricordare,
prima risvegli | e poi avanzi di immote notti ?… suggerisce l’autore
accompagnando chi legge queste pagine con quella fraterna comprensione della
fatalità del lutto che, ad ogni passo, ci precede e contrasta, mentre
inconsapevoli andiamo incontro alla notte tenuto conte delle vicende Degli
uomini, degli sguardi e degli oggetti, secondo il titolo, qui, impaginato.
Allo stesso
modo, chi vive nella città dietro la collina, e conosce la vanità del
tutto, non ignora che esistono stazioni in cui all’affanno frenetico degli
uomini sfugge il senso della precarietà del viaggio, come di tutti i viaggi,
e si confonde la gioia con il lutto.
L’autore
non esce dall’ottica in cui si affissa il suo sguardo più per allontanare il
presente che per indagarlo e possederlo. Egli sa bene che Occorre, sul limite
della sera, | toccare altre vene, contarle, | sotto la superficie della propria
pelle, | e quindi riporle, intatte e parallele, | sopra le venature delle porte
aperte. | Soltanto allora si riesce ad intuire | che dei finti cardini ci
reggono da un lato, che solo ruotare ci consentito…
La “distanza”, di cui al titolo di questo libro, per quanto concerne Danilo
Mandolini, è in un’aristocratica quanto malinconica visione di un proprio mondo,
oltre il moto frenetico, ma vivace e normale del presente, rifugio privilegiato
e, quasi, distacco dalla presa di coscienza della divaricazione e
dell’impossibilità, assai frequente, fra noi, di ogni reale incontro.
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Recensione |
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