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Se di maschere nude si pua parlare nell'arte emblematica del nostro tempo, nulla di piu attuale del teatro di Liliana Ugolini, la drammaturga fiorentina che, col suo Carro di Tespi rivisitato o la Barraca del suo ritrovamento personale, partita dalle rappresentazioni casalinghe (di appartamento), nella convinzione che il teatro non possa e non debba rappresentare altro che la vita e l'esistenza e che, ai fini della verità che da ogni parse si ricerca senza trovarla oppure camuffandola, poi, nei velami del senso e dell'apparenza, sia indispensabile guardare coraggiosamente all'assoluto del soggetto nel confronto serrato con l'oggetto che muta, di volta in volta, ma che permane nel discorso dell'umano, del sociale, della conflittualità perenne tra il desiderio ed il quadro delle possibilità. Non inganni l'esordio poetico con il quale ha tentato un ordinamento del suo mondo interiore rispetto alla realtà del quotidiano e che le ha consentito di individuare, in se stessa, la strada giusta nel panorama della scrittura, se poesia vuol essere davvero creazione, farsi del pensiero e del sentimento che tendono, in casi come questo, soprattutto all'azione, in un "teatro in versi".

Da Il punto e La baldanza scolorata, attraverso Flores, Bestiario, Fiapoebesie/vagazioni, Il corpo e gli elementi, L'ultima madre e gli aquiloni, Marionetteemiti, Pellegrinaggio con eco, Imperdonate, Liliana Ugolini perviene ad un dettato che va sicuramente interpretato nella sua qualità d'arte, al capolinea con questo ultimo Spettacolo e palcoscenico, nel quale si evidenzia appieno la sua capacità di dare spazio al più nudo teatro che si possa immaginare, ossia ad una serie di azioni che si concentrano e si corrispondono in un punto di non ritorno, nel quale sprizza la violenza di un vissuto capace di schierarsi con le creature e col creato, in una recitazione/dimensione che tocca gli alfabeti di quell'intimità particolare che chiede alla parola d'essere acquisita, affidata, inquisita nella sua scarna pubblicizzazione di realtà vissuta. Ella fa tesoro di tutta una tradizione ideologica che guarda al teatro italiano, da Pirandello in poi, agli ultimi decenni del Duemila, nel senso di una ricerca formale volta a scardinare i codici della tradizione, con una potenziale comica eversiva. Ed entrano in gioco, quindi, l'operato dell'avanguardia americana, i gruppi italiani di sperimentazione che non perdono di vista la lezione di Carmelo Bene, con l'ideologia del rinnovamento politico che comporta una riforma stilistica, lo scambio culturale, nel quadro del vasto movimento dell'animazione teatrale. Senza per altro trascurare il teatro d'arte realizzato nei circuiti periferici decentrati che sconvolge la geografia monopolistica, elitaria dello spettacolo italiano. Né le novità del Carrozzone di Firenze, anni Settanta, con i suoi interventi su base analitica ed esistenziale. Nel libro in questione, l'Autrice dà alle stampe e presenta, con un incipit di Carlo Marcello Conti ed una postfazione di Maria Pia Moschini, in un solo titolo, due opere teatrali, Palcoscenico (ultimamente andato in scena con grande successo, per Giusi Merli e Sabina Cesaroni, in varie rassegne fiorentine e non) e Spettacolo, pur rimanendo nelle medesime coordinate civili e morali.

Siamo ad un teatro di avanguardia, dunque, con la Ugolini, e di naturale sperimentazione sul campo che non cessa di stupire, specialmente in un versante che apre alla deriva del sentimento, dell'angoscia, che può rasentare, tra l'ironia e il sarcasmo che negano alla pietà ogni spazio, la rivolta ad uno stato presente, nonostante tutto, di insostenibile durezza e sacrificio. In questo caso, l'attenzione del "personaggio" attraverso la "persona" dell'attore individuata nella scrittura della Ugolini, acquisisce una particolare qualità d'insieme che si fa convinzione riflessa nell'animo del lettore/spettatore. Lo Spettacolo, dopo il rituale Prologo, ove il clinamen della passione e del "sogno" favorisce l'avvio sequenziale al dispiegamento del discorso drammatico, in undici scene sviluppa un'azione teatrale assai intensa e diversificata nella presenza degli attori, nel quadro generale della "mise en espace", impegnati nella mimesi verace dell'esperienza di ciascuno e di tutti, nel corpo della società in cui ci troviamo a vivere. S'incardinano nelle profondità più scarne dell'intimo essere umano le ragioni di una lotta per l'esistenza che sia un'accettabile sfida agli eventi, sicché tutto ci riguarda e corrisponde, a partire dall'Inizio, fino alla Partenza, l'Arrivo, il Ritorno, l'Approdo, il Quotidiano, la Leggerezza, di nuovo la Partenza, l'Atterraggio, la Passeggiata, il Finale, quelle che sono le fasi esclusive, all'interno di un percorso ove si tratta, comunque, del "viaggio", quello della speranza, dell'azzardo, della conclusione finalmente affidata all'Anima del violino, con le armi della musica e del sublime, nello scenario di una Venezia carnevalesca, strumento misteriosamente incarnato nel Viso minuto della ragazza, che nel fantasmagorico passaggio delle maschere ignote, si rendeva visibile. Siamo alle Fondamenta degli Incurabili. E La selcia dei rettangoli lisi | e l'impianto del palco, groppa di maree, | pagliuzze di universi percorsi ragtime | e gli angoli di pietra (pietre d'angolo). In principio, era la stanza delle marionette, nel loro gioco serio, dove l'autrice concretizzava l'immaginario nel teatro | invece di sognare una realtà. Quindi avanzano le sagome determinate, i personaggi, con la casa di Gretel, la Costumista, la Barbona, la Bambola, nella serie della donna, autrice-attrice-protagonista, che opera secondo la richiesta del pubblico. Identificata la Protagonista, nelle sue varie maschere che mutando si moltiplicano pur restando, essa stessa, la Burattina di base, ecco nella Scena IV, la dichiarazione: sul mio silenzio, lo scavo | s'incide ridondante e mi sommerge | inferno di parole. Immersa sto diversa | a capir come, grana di pieghe ed orme, l'Arte divenga luce di riscatto | nel mostrar tra le spine (capogiro immane) la Bellezza. | Ma non è che un sordo rituale, tra luci, lucciole, magia. Poco dopo, nella Scena VII, il quotidiano, ove l'enigma fu la meta più nostra, luogo dell'arte della metafora, dove l'interpretazione vale la realtà dell'esistenza e disvela la donna aggiogata al suo servizio. Che, ad un tratto, impugna la sua rivolta nel satrapo colore. Ed accadono eventi, tra silenzio e parola, in questo particolare soliloquio. Il quotidiano della casa dove la lavatrice, modernità della macchina che sostituisce la fatica fernminile (i lavatoi di pietra in bellavista nelle foto dell'Alinari), oramai consente alla marionette tuttofare le consunte braccia e lo spazio di un biro, in un dono d'ore, un tempo regalato. Altrove, la donna appare come creatura rappezzata (p. 44), messa in vista da un sipario in movimento. E, per quanto riguarda l'artista, la creatrice di luoghi, immagini, parole, ha la sua doppia vita e Lì sta il difficile coro | l'intrigante scommessa. In conclusione, la luce in fondo | al foro dell'occhio | quasi cieco per un tentar col morso | della coda la chiusura del cerchio. Sempre aperto. In tutto questo È lì nascosto quel che si voleva dire. | Se il teatro è metafora dello scritto, poi che a dimensione suono siamo usciti | sull'uscio dell'inconscio | tra teatro e realtà (p. 47). Ed è chiaro che, a questo punto, scompare con la scena l'autore e restano, nella consacrazione del gesto, le sue parole.

Nel Palcoscenico, in una teoria di Isole, trattandosi di monologhi e coro, sfilano le altissime icone femminili dell'arte: Ecuba, Andromaca, Ifigenia, Lady Macbeth, Euridice, Penelope, nelle loro ragioni di individue, cittadine, donne, nel caos del mondo, ove emerge il lamento della vittima, la maledizione delle madri, l'orrore del delitto, il rigetto della violenza bellica e del dolore insanabile, come la costruzione di una lunghissima promessa vederla nella tela, piegarla mentre cade lunga lunga e contarne le pieghe e i suoi auspici. È evidente che, qui, la metafora cede il passo alla ricognizione degli errori umani, all'incapacità del superamento della propria debole misura.

Recensione
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