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Belle le fotografie di Tony Vaccaro, illuminante la
prefazione di Franco Manescalchi. Le une e l'altra amplificano la bellezza di
testi che scorrono lievi e convincenti, che trovano immediatezza di riscontro
nel lettore ormai distratto, di questi tempi, dagli arzigogolii delle
avanguardie seppure mal ridotte.
Non uso mai dire, dopo aver letto un libro di versi, che si
tratta di testi godibili e ricchi di fascino, in questo caso invece lo
ribadisco, perché Nicoletta ha il dono della semplicità e si fa leggere con
estremo piacere.
Di fronte al destino è un libro fresco e sonoro, le
immagini si susseguono felici ed è come se scaturissero da una polla d'acqua di
campagna. Anche quando la tristezza s'insinua e trova la maniera di radicarsi
all'interno delle composizioni, si avverte che Nicoletta, seppure ammaliata
dalla lezione leopardiana, come rilevato da Manescalchi, non si adagia nella
penombra, ma tenta di restare dritta dinanzi agli eventi: "Scendevano | dal buio parole come falde
| di neve |
formavano | spessi muri di illusioni con quel mai | che non ci apparteneva, ||
diventavano | con il passare delle ore | tempo condiviso, tra mille | milioni di
vite, | e il nostro conoscersi | da sempre | era l'unico vero legame col
sentirsi, | sicuri di appartenere | ad un momento ben definito | dell'esserci
davvero".
Come si può notare da questo esempio la poetessa non
demorde, lascia sempre uno spiraglio di luce in fondo agli eventi e così tutto
si colora di qualcosa che apre uno spiraglio al dopo.
Il pessimismo di Nicoletta si stempera nella gioia dei
ricordi, in qualcosa che si accende nei momenti più impensati.
Nella terza parte
di Strappi, che comincia con "Aquilone, l'uomo, | in balia del vento,"
sentiamo tutta la forza, nel finale, di una donna che sa invitare a uscire dalle
spire della condanna del dolore. E il suo grido sa farsi preghiera alta, sa
arrivare al cuore e portarlo a una comunione alta e decisiva.
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Recensione |
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