Senz’alfabeto
Giuseppe Panella ci porta dentro questo libro di Anna Maria Guida accompagnandoci passo dopo passo, facendoci intendere sia la bellezza dei versi e sia la forza delle argomentazioni. Un’analisi direi serrata alla quale va aggiunto lo scritto di Franco Manescalchi in quarto di copertina che aggiunge altre necessarie indicazioni.
E ciò che sostengono i due critici risulta molto vero: si tratta di una poesia ricca di pathos, che non finge con metafore di mestiere, con accorgimenti mutuati dai repertori tradizionali e non affastella letteratura per suggestionare. La poetessa scrive e va significando ciò che ditta dentro, proprio alla maniera dantesca.
Piace il suo modo sintetico di cogliere le vibrazioni del senso che subito dispare per diventare altro. E la rincorsa ha bagliori che accendono una serie infinita di sfumature. Il verso breve le composizioni brevi hanno l’immediatezza del dettato, ma poi resta nel lettore un alone, una risonanza che non si spegne e diventa via via scoperta di nuovi sensi e di nuovi approdi.
Bisogna comunque soffermarsi a lungo sul linguaggio di Anna Maria Guidi che tende a rinverdire la tradizione e a renderla diversa, con innesti che aprono valenze semantiche davvero inedite. Un esempio:
“s’ingrugna e inventra
l’ungulato fiuto del cignale
furegando in ossari di polvere
le intimità carnali della terra
decolla l’orizzonte
un falco pellegrino
e artiglia il cielo
virando nuvole”
Com’è evidente, la poetessa non s’adagia nel risaputo, non cincischia e non gioca, ma entra nella dimensione linguistica delle cose di cui parla per spremerne l’occasione che dà il passo inusitato alle cose.
Tutto il libro ha questo “indagare” irrequieto, questo andamento che cerca di scovare i segreti che aleggiano intorno alle cose e ai sentimenti e il risultato è un bel viaggio che ci trascina dentro il visibile e l’invisibile, il tanto conosciuto e non conosciuto. Che è poi ciò che dovrebbero fare tutti i poeti invece di essere perennemente (per fortuna non tutti) stupidi nipotini di La Palisse.
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