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Religio et Scientia or Religio aut Scientia ?Da qualche tempo a questa parte, capita sempre più sovente di accorgermi come la mia mente tenda ad appostarsi su riflessioni di carattere esistenziale con proiezioni dimensionate soprattutto post mortem. Alcune di esse, in particolare, sono sempre presenti e non mi abbandonano mai e ciò avviene, ritengo, a causa del fatto che non sono riuscito a trovare risposte soddisfacenti riguardo ad alcuni “perché?”, ritenuti da me di fondamentale e decisiva importanza orientativa. La natura, in assenza di qualsiasi mio intervento volitivo, ha deciso di farmi nascere in una società civilmente e politicamente organizzata in senso confessionale e, all’interno di essa, mi ha collocato in una famiglia da cui ho ricevuto una educazione secondo imprimatur fideistici cristiano-cattolici, che mi hanno accompagnato per tutta la mia giovinezza perché era, per consuetudine, questo il comportamento da doversi tenere. Non ricordo, infatti, di avere mai avuto la possibilità, secondo il tanto decantato libero arbitrio, di operare alcuna scelta maturata in modo autonomo e originale. In sostanza, la condizione, in cui mi sono trovato non è stata minimamente determinata, a seguito di convinzioni ritualmente maturate, da mie affinità elettive ma, solo e semplicemente, dalla natura o, se si preferisce, dalla sorte. E’ stata la sorte, infatti, tra tutti i diverticoli elettivi a sua disposizione, che ha scelto di farmi nascere italiano di nazionalità e cristiano di religione. E’ evidente che se fossi nato in una società politica islamica oppure buddista o, in definitiva, di qualsiasi altra confessione, sarei stato indirizzato a seguirne i relativi dogmi fideistici. Si può, così, ragionevolmente, concludere che la mia volontà, in merito a tale collocazione, sia stata del tutto assente o, più esattamente, che si sia verificato un momento di coartata e indotta abulia…anche se il concetto potrebbe sembrare, a prima vista, contraddittorio, in riferimento al contenuto di questo scritto. Né, d’altra parte, come sopra accennato, la nascita in altra società politica o in altra famiglia umana di diverse tendenze religiose, avrebbe mutato la posizione sopra descritta. Avrei, infatti, ugualmente rinvenuto i medesimi problemi, atteso che tutta la grande varietà di professioni religiose diffusa nel mondo soffre, com’è evidente, degli stessi, uguali e irrisolti problemi, consistenti nella caratteristica di dovere credere in qualcosa o in qualcuno solo e semplicemente per fede o perché quivis de populo assicura che esista davvero, senza possibilità di instaurare dialoghi chiarificatori con i rispettivi meneurs religiosi, i quali, anzi, quando la loro società statuale affonda le radici dei propri governi in principi e strumenti teocratici (1), si sentono abilitati e legittimati all’uso della violenza, non solo psicologica, ma anche o soprattutto fisica, laddove si verifichino episodi di recalcitranza ai principi statuiti de imperio o, persino, ipotesi di semplici tentativi innovatori di adeguamento alla contemporaneità epocale, come, con ogni evidenza storicamente accertata, avveniva anche in campo cristiano ai tempi nei quali operava l’Ufficio dell’Inquisizione e come ancora avviene, non solo nel dar al-harb (2), ma soprattutto entro l’ambito territoriale del dar al-islam (3). D’altra parte, mi chiedo, se l’Universo è stato creato da un solo, unico Dio, qual’é la spiegazione, razionalmente accettabile, senza ricorrere alla spada di Damocle della prospettazione di una punizione eterna, del fatto che ogni religione esistente sulla faccia della terra si arroga il diritto di professare la propria fede nei confronti di divinità, una diversa dall’altra e, a volte, una contro l’altra ciascuna tenendo a magnificare la propria esclusività esistenziale? Come sarà giudicato, allorquando sarà indetta la sessione del giudizio universale, chi, essendo nato e cresciuto in una sperduta foresta dell’Amazzonia, abbia conosciuto soltanto le sue divinità tribali e abbia adorato i propri totem (4) non avendo mai sentito parlare di cristianesimo? La mancata conoscenza del Dio vero è imputabile alla tribù della foresta amazzonica, oppure alla Divinità che non si è palesata in modo evidente? Ma prima che sia indetta la sessione universale, a cui sopra si è accennato, le anime della Terra subiranno un processo ad interim, in attesa di quello finale? E se fosse così, quale differenza vi sarebbe tra il processo intermedio e quello finale? E, ancora, con attinenza ai criteri di giudizio che saranno adottati, la responsabilità per la mancata adesione al culto della religione cristiana, sarà attribuita al giudicando inconsapevolmente non praticante, oppure a chi non ha inteso palesarsi ad esso per motivazioni di cui a noi sfuggono le ragioni? Quale sarebbe la posizione che assumerebbe la chiesa cattolica, se in altri mondi astrali si scoprisse l’esistenza di esseri animati, come noi, che sconoscessero completamente l’esistenza della religione cristiano-cattolica ? E’ ragionevolmente concepibile che il Signore Dio (dei Cristiani) possa ritenersi soddisfatto di essere conosciuto soltanto da una parte alquanto esigua dell’intera popolazione terrestre, non facendo alcunché per dimostrare come stiano realmente le cose (5) anche per i luoghi ricompresi entro le aree religiose hic sunt leones? Non sarebbe più normale indire un consesso universale, convocando l’umanità intera, alla quale mostrarsi personaliter rivelando, in questo modo, la vera essenza dell’intero problema o, rectius, evidenziando come non esista alcun problema? Questi ed altri interrogativi, riguardanti molteplici punti piuttosto incerti della religione, alla quale la sorte mi ha consegnato, mi hanno indotto ad una forma di genuflessione spirituale sottesa allo scopo di cercare di risolverli ma, sono costretto a dovere confessare che, strada facendo, non sono stato in grado di ottenere risposte soddisfacenti la mia sete di verità, anzi, le domande che precedono, che rimangono senza risposte serie, mi inducono a ritenere che ogni etnia terrestre si sia creata la propria divinità facendo esclusivo ricorso alla propria fantasia, mirando a crearsi una stampella esterna alla quale appoggiarsi per superare gli ostacoli che le forze umane non sono in grado di oltrepassare. Debbo anche aggiungere (per dare l’esatta idea che io, di fronte a tali problemi, mi sono posizionato con serenità e imparzialità d’animo), come tutti i teologi cristiani, nessuno escluso, con i quali io abbia tentato di instaurare un dialogo, finalizzato, esclusivamente, non già a contestare qualcosa, ma piuttosto ad apprendere qualcosa, non scholae, sed vitae (6), in modo da potere trarre, al di là e a prescindere dall’enunciazione di un dogma, soltanto alcune certezze che potessero essere collocate al posto dei dubbi intimamente esistenti, abbiano, al contrario, assunto un atteggiamento di malcelato fastidio, come se avessero voluto dire: “Chi credi di essere tu, che osi porre queste domande tramite noi al Creatore dell’universo ? Non c’ è alcunché da discutere. E’ così e basta!”, in questa maniera, reiterando, con conseguente e gratuita attribuzione dell’autorità, l’antico, categorico e definitivo ipse dixit., che non ammetteva repliche, chiosature o glossemi di sorta riguardo alle enunciate affermazioni dogmatiche. Uno solo di essi, riferendosi ad una mia precisa domanda, ha aggiunto alla condivisa posizione ex cathedra assunta dalla maggioranza dei suoi colleghi, che era necessario operare una netta distinzione in quanto un conto sono i principi religiosi, altro conto sono i principi scientifici, essendo, i primi, fondati esclusivamente sulla fede, lasciando, però, in sospeso l’attribuzione, rispetto ai secondi, delle caratteristiche, qualitative e teleologiche (7), che determinano tale diversità ed omettendo dal precisare quale fosse il comportamento da doversi tenere in ipotesi di evidente contrasto tra affermazioni fideistiche (che hanno come fondamento l’accettazione cieca e acritica di ogni, relativo assunto) ed affermazioni scientifiche (che penetrano con le loro radici in profondità il duro terreno incolto del mondo, evidenziando, in questo modo, l’immane fatica del cammino umano sulla terra). Alla mia naturale e consequenziale puntualizzazione, secondo la quale, anche in base ad uno degli stessi principi cardini che costituiscono le fondamenta della religione di Cristo, in riferimento al quale la fede non è altro che un dono di Dio (con la conseguenza, necessariamente logica, che a chi non la possegga e, conseguentemente, si rifiuti di credere ai dogmi, [8] non possa, poi, essere contestato alcun tipo di addebito, non essendo stato egli, con ogni evidenza, ritenuto meritevole di diventare donatario di siffatta gratificazione), il mio interlocutore ha deciso di interrompere bruscamente il dialogo, preferendo allontanarsi senza aggiungere altro, lasciando sì la mia mente nella nirvanica tranquillità razionale di avere dedotto una eccezione fondata, ma la mia anima nello stagno del suo originario dubbio amletico irrisolto e, a quanto pare, irrisolvibile anche da parte di coloro che sono istituzionalmente preposti proprio alla soluzione dei dubbi. A questo punto e, soprattutto, a beneficio di chi non mi conosce, sento il dovere di precisare che non sono una persona che ha aderito all’ ateismo (9), nel senso che io abbia effettuato una mia ricerca personale, a conclusione della quale sia pervenuto all’approdo di un convincimento di dovermi attestare tra quelli che professano l’inesistenza di Dio. Sotto tale ultimo profilo, dunque, la mia anima si presenta strutturalmente come la platonica tabula rasa (10), così come mi è stata consegnata all’origine, non risultando visibile in essa alcun imprimatur di natura teologica che mi possa far qualificare come seguace di questa o di quella corrente religiosa, oppure di un negazionismo radicale. Il mio è solo e soltanto rammarico, generato dal fatto che, essendo ragionevolmente certo dell’esistenza di un genitore, non sono in grado, malgrado l’impegno profuso, di rintracciarlo perché egli non fa altro che nascondersi, celandosi alla percezione di tutti i sensi che sono stati messi a mia disposizione dalla natura, mentre pochissimi eletti (per quello che loro stessi raccontano) godono, o hanno goduto, del privilegio di vedere apparire il Signore o altri personaggi del suo Empireo (11). Il fatto è che, pur trovandomi da molto tempo continuamente in itinere, de die in diem, spinto come sono sulla strada di tale ricerca, non sono ancora giunto ad un approdo di certezza e tranquillità, che possa soddisfarmi appieno e che vada oltre i dogmi e le contraddizioni in cui si trova la chiesa cattolica. Infatti, come già sopra accennato, per una convinzione che mi é connaturata, credo fermamente nell’esistenza di un principio creatore e regolatore, di una fonte genetica comune, alla quale si debba la creazione e il mantenimento dell’intero Universo, qualunque sia la denominazione che si voglia dare ad essa, non investendo il problema una sfaccettatura di natura formale, perché riguarda, al contrario, la sua struttura sostanziale, essendo costituita dalla ricerca mirata a dare, finalmente, una risposta al “perché?” della nostra esistenza, svelandoci, finalmente, quale sia lo scopo del nostro transito terreno e quale sia il destino, semmai ve ne sia uno, di ciò che resta, semmai qualcosa resti, dopo che la materia ha cessato la sua esistenza. Che, poi, tale principio, al quale mi riferisco, venga appellato qeos-logos-noos- yuch- pneuma oppure anemos (12), non riveste, come appare di tutta evidenza, importanza sostanziale. Tale mia posizione, che, sotto molti aspetti, appare di stampo spinoziano, deriva, non già e non tanto dagli insegnamenti dogmatici ricevuti, ma direttamente dalla mia esperienza personale. Sono stato solito, infatti, e lo sono tuttora, osservare, con cadenza quasi quotidiana, come le leggi che regolano la Natura risultino essere state coordinate e codificate in modo rigorosamente necessitato, organico e intelligente inter se, nell’assoluto rispetto di un visibile modello di consecutio temporum giuridica. Ciò induce a pensare e ritenere, con alto grado di probabilità razionale, che all’origine di tale ordine giuridico-architettonico non possa mancare la presenza di una originaria e superiore attività nomotetica (13), così altamente qualificata da richiamare alla memoria il modello storico di quella attività collazionativa di tipo giustinianeo. Da tale impostazione scaturisce la necessità di dovere ritenere tale fonte creatrice e regolatrice come unica e sola motrice della creazione dell’intero Universo, in quanto se la si ritenesse, a sua volta, creata da altra fonte, di dovrebbe ammettere l’esistenza di una essenza ad essa superiore. Tale fonte originale non può che essere stata, in assoluto, la prima in senso cronologico, per cui il logico corollario che discende dall’enunciato teorema (14) è che la fonte creatrice, non essendo stata, a sua volta, creata, né aliunde, né ex alio, debba necessariamente essere considerata come causa sui (15), ossia generatrice di se stessa. Non è necessario, per questo, frequentare alcun tipo di catechismo (16); basta affacciarsi sull’ infinito teatro dell’Universo oppure guardare all’interno del proprio pensiero, entrambi percepibili ed apprendibili, il primo tramite l’esperienza visiva e quella scientifica e il secondo tramite l’introspezione di se stessi. Anche Albert Einstein, nel corpo letterale della sua autografa “Lettera su Dio”, che venne compilata per essere inviata al filosofo Eric Gutkibd, dimostra sì la sua appostazione religiosa, per così dire, collocata fuori dai ranghi e dagli schemi convenzionalmente comuni, ma evidenzia, allo stesso tempo, in modo davvero straordinario, la spontanea manifestazione di tutta la sua innata spiritualità quando afferma di essere un abituale osservatore dell’impronta sublime e dell’ordine mirabile che si rivelano nella natura e nel mondo del pensiero. Tesi assolutamente antitetica a questa di Einstein viene sostenuta da Agostino (Santo), il quale, con molta probabilità, al fine di ovviare, superandoli, agli inciampi scientifici nei quali è incorsa la chiesa cattolica, opera un distinguo, in verità, alquanto infantile. Dice Agostino (17) che l’intento che il Signore Dio si è proposto non è stato quello di fare delle sue creature umane degli scienziati, ma solo dei cristiani (Christianos facere volebat, non mathematicos). Se fosse davvero così (ma ad Agostino chi ha rivelato l’intenzione del Signore Dio? Forse è pervenuto a tale conclusione tramite la ragione? Cioè quella medesima di cui ci stiamo servendo, oggi, noi stessi? Agostino non si è accorto che, in base al suo assioma, sarebbe poco agevole per uno scienziato diventare un cristiano e per un cristiano diventare scienziato?), dovremmo, probabilmente, concludere che il Signore si è prefissato di raggiungere una finalità del tutto legittima, ma proprio per questo, a nostro modestissimo parere, non avrebbe dovuto consentire che si affermassero teoremi contrari alla verità e, soprattutto, avrebbe dovuto fare in modo che la sua Chiesa ufficiale, che lo rappresenta in Terra quale suo alter ego, parlando nomine eius in maniera autoreferenziata con l’attribuzione di un pretenzioso carattere di infallibilità (per altro, ripetutamente smentito da molteplici fatti storici) non dovesse assumere posizioni scientificamente errate e fuorvianti, così come, al contrario, è accaduto, come vedremo in modo più approfondito, nel punto letterario nel quale, infra, verrà trattato questo argomento. Ci sta bene voler fare dei cristiani e non degli scienziati, ma non ci sta bene voler fare dei cristiani ignoranti, creduloni e analfabeti che, per giunta, si arrogano il diritto non solo di contrastare sul piano meramente scientifico i risultati cui sono pervenuti gli scienziati, quanto di perseguirli con anatemi, scomuniche, veti e (in un passato non tanto lontano), con torture e supplizi, proprio a causa dell’ ottenimento delle loro conquiste scientifiche. Percorrere il sentiero che conduce alla verità, al posto della menzogna, non significa conseguire la laurea di scienziato, come si sostiene sopra, ma significa, semplicemente, conferire dignità alla nostra condizione umana di per se stessa così precaria ed aleatoria, che potrebbe, però, diventare più agevolmente vivibile se qualcuno, che avesse la facoltà di poterlo fare, rivelasse quale sia il vero scopo della nostra fugace esistenza terrena. Un conto, evidentemente, è essere degli scienziati, altro conto è sostenere, contro il risultato cui sono pervenuti gli scienziati, che sia il Sole a compiere la periegesi della Terra e condannare, mettendoli alla gogna o, anche, all’ auto da fé, tutti coloro che la pensano diversamente. Come si fa a sostenere che il Signore Dio, così come viene rappresentato dai suoi ministri in terra, volesse e voglia tutto questo? Possibile che Agostino non si sia reso conto che tra uno scienziato e un ignorante, che, per giunta, intenda arrogarsi il diritto di enunciare teorie sull’astronomia palesemente errate, vi é un baratro abissale? Ricompresa tra le questioni insolute, che trascino nel mio bagaglio appresso mentale, si pone quella relativa alla ginecantropogonia (18), attinente, cioè, alla nascita dell’uomo e della donna sulla terra. In base al dogma professato e diffuso dalla religione cristiano-cattolica, che a sua volta è stato escerpto dalle sacre scritture (alcune, secondo le notizie tràdite, direttamente scritte da Dio: Dieci comandamenti; altre ispirate da Dio e rimaste prevalentemente intonse senza alcun intervento correttivo, quanto meno di adeguamento ai tempi), gli esseri animati (uomini, donne, animali) hanno avuto la seguente genesi e diffusione sulla terra. “Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo (da cui: pulvis es et in pulverem reverteris) e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Genesi, 1-11). E, ancora: “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. In continuazione: “Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Genesi, 2,8). Non è finita: “Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: <Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno, in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire>” (Genesi, 2,16). Per precisare: “E il Signore Dio disse <Non è bene che l’uomo sia solo; voglio fargli un aiuto che gli corrisponda>. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati:in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto” (Genesi, 2,18-22). Qui di seguito, si ha la spiegazione: “Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.<Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta>… Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” (Genesi, 2,20). Per concludere: “Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio,obbedendo alla sua voce e essendo unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità” (Deuteronomio 30:11-20). Gli incisi sopra riportati, escerpti tutti dalle Sacre Scritture della religione cattolica, sono stati posti, secondo quanto hanno detto e hanno scritto i suoi rappresentanti in terra, direttamente da Dio al fine di fare di tutti i componenti l’Umanità, non già degli scienziati, ma dei cristiani. E tale imperativo categorico era così radicato in lui che vietò agli ospiti dell’Eden di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza. Gli scienziati conoscono, i cristiani debbono immaginare. Che i piani, quello scientifico e quello superstizioso (19), avendo caratteri e finalità fortemente differenziali e differenzianti, debbano agire autonomamente, senza essere reciprocamente influenzati, nel conseguimento delle rispettive teleologie, si può anche essere d’accordo, sempreché i risultati ottenuti dalla dinamicità della scienza, in rapporto alla staticità delle credenze religiose, non diventino materia di dispregio o, peggio ancora, materia di supplizio fisico e mentale, così come è avvenuto nei secoli passati. Se tra i due campi i confini saranno netti, autonomi e reciprocamente rispettati, la convivenza si prospetta come possibile. Al contrario, ove si verifichino debordamenti intromissivi, il conflitto è inevitabile e potrebbe produrre, come a volte ha prodotto, ripercussioni negative nei confronti della scienza, la quale non ha, e non ha mai avuto nella sua lunga storia evolutiva, tribunali come quelli della Inquisizione, che gli ambienti religiosi continuano, con inspiegabile caparbietà, a ritenere e chiamare santa. Evidenzierò, qui di seguito, quelle che, secondo il mio modo di ragionare, sono le proposizioni dogmatiche da ritenersi inaccettabili. a)La tradizione dogmatica ritiene che l’uomo sia stato creato da Dio ex abrupto, ex novo et statim, a seguito di un suo intervento estemporaneo, tramite il trattamento di una materia terrosa, non meglio specificata, sulla quale, al termine dell’eseguita modellazione a sua immagine e somiglianza, ha alitato, ottenendone, in questo modo, l’animazione. a-1)Tale versione antropogonica non può essere accettata, essendo dato scientificamente incontrastato quello secondo il quale l’essere umano proviene da una evoluzione di adattamento, rispetto alle caratteristiche ambientali, di durata millenaria che non si è fermata mai, essendo tuttora in atto, e il cui stadio primordiale era quello della scientificamente accertata pitecantropia (20) che sono solito qualificare come di natura biologicamente egregia (21). Non riporto qui i termini della teoria dell’evoluzione della specie, limitandomi, semplicemente, a ricordare il suo maggiore sostenitore, Charles Darwin. Orbene, posta la questione nei termini che precedono, non riesco a trovare, malgrado tanta buona volontà conciliativa, una chiave di lettura che sia in grado di potere risolvere la questione. La versione religiosa risulta essere in aperto contrasto con quella scientifica, alla quale ultima va data la preferenza, essendo essa confermata dai principi delle scienze biochimiche e antropologiche, mentre la prima si fonda semplicemente su una narrazione miracolistica, così come è avvenuto nella diatriba tra geocentrismo ed eliocentrismo. Non v’è dubbio alcuno che Dio (per mezzo dell’ onnipotenza che lo caratterizza) avrebbe potuto, nella creazione dell’uomo, optare per la genesi evolutiva, così come in effetti è avvenuto, ed attribuirsi, anche così, la paternità di tale creazione. Era nel suo potere, cioè, di ricorrere ad un prototipo umano assoggettandolo al principio evolutivo, ma non l’ha fatto, anzi, ha preferito accreditare una operazione genetica del tutto differente da quella accertata scientificamente, per cui la teoria evolutiva, accertata dalla scienza, risulta, alla fine, essere più potente di quella creativa, raccontata dalla religione. Le ragioni per le quali, dal punto di vista dell’informazione, il Signore abbia voluto ricorrere ad un racconto fiabesco e non già scientifico, non mi sono note perché nessuno tra quelli che si dicono abilitati a farlo, ha inteso illuminarmi. Essendo la fonte creatrice Dio, egli non poteva non sapere come si fosse generata l’umanità. Perché, dunque, ricorrere alla fabula biblica dell’impasto fatto con la terra e dell’alito divino? Forse perché il suo intento era quello di volere creare dei cristiani e non già degli scienziati? E’ ovvio che se la proposizione responsiva fosse questa, essa non reggerebbe ad una critica anche se blanda. Per la versione di natura dogmatica non esistono, naturalmente, prove certe a sostegno della sua fondatezza, anzi essa viene smentita dalle testate risultanze alle quali è pervenuta la scienza; per la versione scientifica, al contrario, sono legione le prove generosamente offerte dalla stessa Natura, le quali ne testimoniano la fondatezza sia dal punto di vista antropometrico e fisionomico, che da quello evolutivo psico-razionale. Qui non si contesta affatto che Dio, descritto così come viene descritto dai cristiani, avesse il potere di adottare il prototipo genetico evolutivo; qui si sottolinea semplicemente come il racconto sull’antropogonia diverga totalmente e, soprattutto, inspiegabilmente da quello accertato dalla scienza. Vi è, forse, un motivo per raccontare una fabula, al posto della verità scientifica? Oppure, l’autore di tale mito, essendosi espresso in tempi prematuri e, quindi, non conoscendo la vera origine dell’umanità, ha tirato ad indovinare prediligendo una versione di natura taumaturgica sottesa alla dimostrazione dell’esistenza e della potenza di Dio? (22) Forse che, mentendo sulla vera genesi, si formano più cristiani? Confesso di non possedere per quest’ultima domanda alcuna seria risposta. Posso solamente affermare che, così, si hanno certamente meno scienziati! Ognuno di noi riesce ad immaginare quale effetto, mirabilmente positivo, avrebbe avuto sull’umanità intera se il racconto biblico circa l’ antropogonia fosse stato intessuto con il filo del metodo evolutivo, prima ancora che Charles Darwin approdasse alle sue certezze e le rendesse note! b)Sempre secondo il racconto dogmatico, il Signore Dio, soltanto in un momento successivo, pensò a creare la donna e lo fece non ricorrendo al medesimo metodo tramite il quale aveva creato l’uomo, ma adottando un sistema, diciamo, derivato, parzialmente clonativo, costituito dalla asportazione, tramite una operazione di vera e propria arte maieutica ante litteram, di una costola dal corpo di Adamo (necessitato donatore anatomico), dalla quale modellò la donna, Eva. Per primo e in modo originale, quindi, creò l’uomo. Solo successivamente alla creazione di Adamo, e prima ancora che pensasse alla creazione di Eva, il Signore Dio aveva provveduto alla creazione di altri esseri animati, come si afferma qui di seguito: “Il Signore plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati…Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto” (Genesi 2, 7- 9; 3,1-77). b-1)L’ordine della creazione degli esseri animati, dunque, ha avuto la seguente successione cronologica : 1°)L’uomo; 2°)Gli animali selvatici e gli uccelli del cielo; 3°)La donna. Non voglio mancare di rispetto verso alcuno, ma a me sembra una versione domestico-familiare, ad uso esclusivamente pedagogico, come quando si propina la favola inventata dai genitori ad uso della propria prole, per spiegare come i neonati arrivino tra di noi sulla terra, ossia portati in volo dalle cicogne. Non dubito che niente vietasse al Signore Dio che, anche per l’essere femminile, avrebbe potuto seguire il medesimo originario procedimento seguito per creare l’uomo. Tutta questa impostazione, a mio sommesso modo di vedere, ubbidisce ad una precisa regola di architettura teleologica di natura squisitamente umana. Il ricorso al racconto del procedimento di dipendenza derivativa anatomica racchiude una evidente semenza di un preordinato linguaggio simbolico, con cui si mira ad affermare una originaria inferiorità dell’essere-umano donna, tuttora coltivata da una estesa moltitudine maschile e, addirittura, dalla stessa chiesa cattolica e non solo da essa, ma anche, e in questo caso in modo peggiore, da quasi tutte le altre confessioni religiose sparse sulla faccia della Terra. L’idea del ricorso all’asportazione della costola dal corpo di Adamo, mi sembra, in verità, più una edificazione mitologica dovuta alla fantasia dell’uomo, che un’operazione di asportazione e conseguente trapianto attribuibile a Dio, il quale, per essere tale, avrebbe avuto il potere di astenersi dal dovere ricorrere, per creare l’uomo-donna, a tale primitiva manualità che sa molto di mitologia. Anche a volere ammettere che l’intento originario non fosse quello sopra esposto, bisogna tuttavia prendere atto come la condizione femminile abbia sempre svolto, nello spazio e nel tempo, e continui tuttora a svolgere, un ruolo deutragonistico (23) rispetto a quello protagonistico (24) maschile e ciò, a mio modestissimo parere, lo si deve, anche, alla “favola della costola”. Ancora oggi, la chiesa cristiano-cattolica, deputata ex divinis alla propagazione del verbo di Cristo, sgorgante dalla sua natura divina, uti Deus, tramite una normativa emanata dalla sua sede centrale romana, vieta alla donna di potere prendere i voti, potere officiare la ritualità della messa celebrando il sacrificio divino, così come fanno i preti. Improponibile diventa, poi, l’idea che una donna possa rivestire i panni di vescovo, cardinale o, addirittura, pontefice massimo! Soltanto in determinati settori della mitologia umana si afferma che nella nomenclatura pontificale sia stata presente anche una donna, la papessa Giovanna, la quale sarebbe stata il solo essere femminile a essersi seduta, nell’anno 853, sul trono di Pietro. A tale ultimo proposito, è necessario precisare che gli storici seri, e non già i cultori dei tarocchi, considerano tale racconto quale espressione di un mito creatosi al tempo delle ostilità pontificie tra Roma e Avignone, caratterizzate prevalentemente da intenti di preminenza personale e di attribuzione del potere temporale. Figuriamoci se la Chiesa di Roma avrebbe tollerato di essere guidata da una donna, così come, al contrario, ha tollerato benissimo che i pontefici di una certa epoca storica avessero concubine a profusione, alloggiate anche nella sede pontificia, le quali divennero progenitrici di numerosi figli, di cui la maggior parte divennero, in una con la stima e l’ ammirazione dei cristiani, Principi della Chiesa. La stessa Maria di Magdala, a causa di certe voci di corridoio accreditate da vari racconti demotici, viene guardata dalla chiesa ufficiale non certo con tutta la benevolenza ottriata ad altre figure femminili delle sacre scritture. Perché, mi chiedo, questa umiliante ed esclusiva ghettizzazione? La risposta è di una evidenza lapalissiana: evidentemente, ad una costola, per quanto anatomicamente evoluta essa potesse essere o essere diventata, non è permesso percorrere tale cursus honorum, riservato ai soli maschi! Ma, il punto del racconto che appare, ictu oculi, inaccettabile, è costituito dalla cronologia creativa, che non regge ad un attento vaglio comparativo con i principi scientifici pacificamente riscontrati e acquisiti. Infatti, se l’ uomo, tra tutti gli esseri animati, è stato creato per primo e, dunque, era preesistente quando vennero creati gli animali e, in prosieguo, l’essere femminile, è consequenziale come tale racconto affabulato finisca, di fatto, con l’escludere, tentando di vanificarla, la teoria dell’antropogonia attraverso una evoluzione così complessa e millenaria da un originario essere primitivo (pitecantropo). Il concetto che precede viene ancor più rafforzato dal racconto zoogonico contenente l’ affermazione per cui la creazione degli animali sarebbe avvenuta in un tempo successivo a quello della creazione dell’uomo. Questa prospettata consecutio temporum induce ad accreditare il privilegio della credibilità al racconto biblico a discapito di quello scientifico, essendo di tutta evidenza che se l’uomo esisteva già prima della creazione degli animali (versione mitologica, per cui la sua creazione sarebbe il frutto del modellamento divino di un materiale terroso e conseguente alitazione animativa), egli non può essere nato, per stadi e per gradi, dalla evoluzione da un primitivo essere animale (versione scientifica). L’esame dei reperti anatomici venuti alla luce nelle più disparate parti della Terra, dimostra, con tutta l’evidenza possibile, quale evoluzione abbia subito nei millenni questo essere vivente, a far tempo da quando deambulava a quattro zampe, fino a quando ebbe a raggiungere la posizione eretta (homo erectus) e si trovò a potere disporre degli arti superiori per funzioni diverse dalla semplice ed esclusiva deambulazione. Tramite questi arti, divenuti disponibili, l’antico pitecantropo cominciò, dunque, a modellare la materia, a creare arnesi utili per lavorare e difendersi, sino a pervenire allo stato di homo tecnologicus e, gradatamente, ai nostri giorni, a quello di homo celestis, proteso e pronto a intraprendere la conquista dell’Universo (25). g)L’Eden e l’ albero della conoscenza. “Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai,certamente, dovrai morire”. g-1)Dunque, Adamo ebbe concessa la facoltà, fra l’altro, di potere cogliere e mangiare tutti i frutti degli alberi allocati nel giardino dell’Eden, tranne quelli maturati sull’albero della conoscenza del bene e del male. La spiegazione più immediata per tale veto, che viene in mente, è quella che il Signore Dio volesse che le sue due creature (e, inclusivamente, quelle che, poi, sarebbero state generate in prosieguo) restassero nell’ignoranza e non si impadronissero della conoscenza del bene e del male, che già, con ogni evidenza, dovevano esistere al momento della posizione del divieto. Ma, poi, perché porre tale veto? Per mettere alla prova Adamo ed Eva? La risposta non mi sembra esaustiva, in quanto il Signore Dio, in virtù delle sue qualità soprannaturali, doveva ben prefigurarsi a priori, a prescindere, cioè, dall’esito effettivo della prova, quale sarebbe stato il comportamento di tali nostri presunti progenitori. Egli, per essere il Signore Dio, non poteva non sapere come sarebbe andata a finire anche in assenza di una prova ad hoc. D’altra parte, se fosse stato un divieto rivolto soltanto alla conoscenza del male, avremmo potuto, anche, comprenderne la profonda ragione tutoria, ma che il Signore Dio abbia vietato la conoscenza del bene, sembra davvero eccessivo, contra legem e, soprattutto, inspiegabile anche dall’angolo visuale dei supporti morali posti a sostegno della religione cristiano-cattolica. A questo punto occorre riconoscere la legittimità delle seguenti, due domande: Se il “bene” non si conosce, come si fa, mi chiedo, a praticarlo? E se anche il “male” non si conosce, come si fa ad evitarlo? L’altro aspetto, anch’esso inspiegabile, è costituito dalla punizione applicata dal Signore Dio, dopo che Eva, raggirata, secondo il racconto dogmatico, dal serpente, aveva posto in essere un comportamento contravvenzionale rispetto al precetto divino e aveva, non solo raccolto il frutto proibito, quanto lo aveva anche mangiato. Come narra il testo ufficiale, la punizione divina, ebbe come destinatario, non solo Eva, autrice dell’illecito, ma anche Adamo, sebbene quest’ultimo, sempre secondo il racconto tràdito dalle scritture, non avesse prestato alcuna forma di concorso nell’illecito e, anzi, fosse rimasto estraneo al comportamento antidoveroso. Adamo non partecipò, infatti, a quanto è dato leggere, né alla confezione del disegno criminoso, né alla sua realizzazione, avendo il serpente tentatore preso di mira, evidentemente, il soggetto umano più debole proveniente da una costola dell’essere primigenio. E’ Eva che raccoglie la mela e la mangia all’insaputa di Adamo, eppure la sanzione divina colpisce, indiscriminatamente, sia l’una che l’altro, senza alcun distinguo, che anche una forma di giustizia innata e primitiva avrebbe necessariamente esatto nella applicazione di una pena. E’ principio comune e patrimonio di tutte le genti (jus gentium) quello secondo cui debba essere punito, per la commissione di un comportamento contra legem, solo chi lo abbia posto in essere, a titolo originario e autonomo, oppure a chi abbia aiutato l’agente sul piano concorsuale: ipotesi, queste, che il racconto dogmatico esclude per la figura di Adamo. Ma, l’estensione della punizione non finisce, certo, qui. Infatti, le conseguenze sanzionatorie dell’azione antidoverosa consumata dalla sola Eva, si estenderà, secondo la costruzione dogmatica cristiana, a tutta la progenie messa al mondo da Adamo e Eva, i cui discendenti si videro il certificato penale della propria anima marchiato con la bolla del peccato originale, pur non avendo commesso alcun illecito. Ora, tale ereditarietà della colpa di cui si è resa responsabile Eva, rappresenta, per la mentalità odierna un vero e proprio monstrum juris, atteso che qualsiasi società creata sulla Terra, evoluta o meno che sia e malgrado l’innata imperfezione dovuta alla condizione umana, ubbidisce ad un principio sacrosanto, che si colloca agli antipodi rispetto a quello vigente nel territorio dell’Eden, in quanto statuisce che le colpe dei padri non possano e non debbano ricadere sui figli. Quest’ultima norma, che costituisce un imperativo categorico presente in qualsiasi carta costituzionale di qualsiasi società politica, anche tribale, non ebbe vigore e non trovò applicazione nella giurisdizione del giardino dell’Eden e in quella successiva del mondo intero. Non solo questo, quanto l’atto originario di insubordinazione ebbe a determinare, secondo il racconto delle scritture, la necessità del sacrificio della seconda persona della Trinità, Gesù Cristo, che fu costretto (?) a farsi uomo, scendere sulla terra e sacrificare il suo involucro umano per salvare (?) l’umanità dal peccato originale. Inderogabilmente, la giustizia umana (imperfetta, mutila, fragile, erronea, fallace finché si vuole), quando accerta che alcuno abbia infranto una norma cogente del codice penale, procede alla condanna solo dell’autore del reato (ivi compreso l’eventuale correo), nei cui confronti viene erogata la sanzione edittale senza alcuna acredine, ma con la finalità di conseguire l’emenda e il recupero civile del reo. A noi mortali non verrebbe mai in mente che debba essere il giudice (la seconda persona della Trinità, come nel caso) a sacrificarsi per il reo. A questo punto, un collegamento di pensiero appare inevitabile. Non sono riuscito a spiegare a me stesso, la ragione e lo scopo per i quali il Signore Dio abbia posto il divieto acché venisse raccolto il frutto dell’albero della conoscenza. La domanda non è ultronea e non credo che debba essere annichilita tramite la risposta: “Il Signore, essendo Dio, può fare questo e altro!”. Se fosse data una risposta simile, l’effetto didattico sarebbe davvero disastroso. Che Dio possa fare questo e altro siamo d’accordo, ma sarebbe per noi oltremodo illuminante se Egli desse una spiegazione da semplice docente. Solo una spiegazione. Possibile, mi chiedo, che Egli non volesse che i suoi figli uscissero dalla sacca di ignoranza nella quale, evidentemente, erano impantanati? Possibile che Egli non volesse che le sue creature conoscessero il Bene? Probabilmente, è proprio così, se anche lo stesso Agostino (che non è quivis de populo, avendo acquisito nel campo religioso meriti così grandi da essere posto in un locus amoenus di preminenza nell’agiografia cristiano-cattolica) ha avuto l’occasione di affermare che il Signore Dio “Christianos facere volebat, non mathematicos”. Potrebbe essere, dunque, questa la ragione per cui è stato posto l’originario divieto (per la cui violazione l’intero genere umano ha perso tutti i privilegi di cui godeva nel giardino dell’Eden), in base al quale il Signore Dio ha posto tale interdetto in capo ad Adamo ed Eva e, conseguentemente, alla loro intera discendenza, di avvicinamento all’albero della conoscenza del bene e del male, in quanto il suo intento sarebbe stato quello che le sue creature non venissero supportate dalla conoscenza preferendo che rimanessero degli ingenui e dei creduloni? Sul punto, la nostra mente non ha la capacità di fornire spiegazioni matematiche; può formulare, solo e soltanto, delle ipotesi. d) L’altro labirinto razionale, dal quale la mia mente cerca, senza riuscirvi, di venir fuori e per il quale non sono riuscito a trovare il tanto sperato filo di Arianna che mi consentisse di trovare l’uscita, è costituito dalla inspiegabile ed erronea appostazione assunta dalla chiesa cattolica, sul piano della scienza astronomica, riguardo alla reciprocità dei rapporti funzionali esistenti tra Sole e Terra. La chiesa cristiano-cattolica, ma, per la verità, tutta la società civile a partire dai primordi (e, dunque, a partire dal primo insediamento urbano realizzato nel mondo dall’uomo: Katal Hoyuk, in Anatolia) e sino al 1600 (frazione temporale in cui la chiesa si è esibita nella vergognosa persecuzione di quell’immenso genio racchiuso nel cervello di Galileo Galilei), era intrappolata e dominata dal miraggio, così come percepito prima facie dagli organi sensori, che fosse il sole a compiere la periegesi della Terra (teoria aristotelico-tolemaica: geocentrismo), negando, e applicando dure sanzioni nei confronti dei sostenitori della tesi contraria, la teoria inversa, cioè che fosse la Terra a circuire, in modo ellittico, il Sole (teoria copernicano-galileiana: eliocentrismo). Il tempo ha dato ragione alla scienza. Possiamo anche comprendere come al Signore Dio interessi poco conoscere che, nella diatriba scienza-religione, la verità si sia schierata con la scienza, però occorre precisare come tale disinteresse non può oltrepassare alcuni limiti costituiti dalla circostanza che, sul punto specifico, la versione religiosa sia stata ben altra, assolutamente antipodica a quella, poi, accertata. Di conseguenza è stata proprio la religione ad invadere il campo scientifico, sostenendo l’insostenibile e non già semplicemente sul piano squisitamente teorico, in base, cioè, a utili logomachie (26) di natura scientifica, bensì sul piano pratico delle torture e, a volte, delle autos da fé. Da quanto precede, ognuno di noi può trarre le giuste conclusioni. d-1) Come già accennato, la chiesa, ab immemorabili, ha aderito alla teoria aristotelico-tolemaica, sostenitrice della geocentralità, in base alla quale è l’astro solare a girare attorno alla Terra, così come, empiricamente, percepiamo tramite gli organi della vista. Nessuno, in seno alla chiesa, ha mai pensato che l’apparenza, nella maggior parte delle occasioni, è fallace e tende ad ingannare? A proposito degli inganni che le apparenze possono indurre, il filosofo inglese, Roger Bachon, nella costruzione del suo edificio filosofico, parla dei c.d. idola (=costruzione fantastica non corrispondente alla realtà vera, alias idoli, errori, consistenti, appunto, nelle deduzioni errate e suggestive che ricaviamo dalle semplici apparenze, senza scendere nella profondità dei fenomeni) e, tra questi, enuncia una categoria che da lui viene denominata idola specus (letteralmente, la traduzione è errori della spelonca o, anche, liberamente traducendo, dell’immagine proiettata). In sostanza, Bachon ipotizza che, se noi ci poniamo sull’entrata di una caverna, in una giornata di sole e con l’astro alle spalle, l’ombra della nostra persona fisica viene proiettata sulla parete frontestante dell’antro. Se, in questa evenienza, ci fermassimo alla semplice e superficiale apparenza fenomenica, senza mettere in moto l’intelligenza analitica (27), di cui, pure, la natura ha dotato gli esseri umani, potremmo dedurre che, in fondo alla caverna, vi sia un’altra persona: deduzione contorta e pura immaginazione, in quanto, nella realtà, è la proiezione del nostro corpo. Il medesimo errore deduttivo è stato commesso (a far tempo dall’era del pitecantropo e sino almeno al 1600, salvo qualche eccezione ancora perdurante), nel momento in cui l’uomo si è posto ad osservare nel cielo il cammino del sole da oriente ad occidente. Troppo facile cadere (o meglio, impossibile non cadere) nel miraggio causato dall’effetto apparentemente motorio del sole, essendo fin troppo evidente come la semplice apparenza militi a favore della teoria che sia proprio l’ astro, e non già la Terra, a percorrere, giorno dopo giorno, il campo celeste da est ad ovest, al punto che chiunque si fosse azzardato ad affermare il contrario, sarebbe stato preso per pazzo o, secondo il punto di vista della chiesa cattolica, per eretico con ogni conseguenza del caso. Che per la chiesa cristiana fosse da privilegiare la teoria geocentrica (rectius: che per la chiesa non fosse nemmeno da prendere in considerazione la teoria eliocentrica) nulla quaestio. Le stesse scritture cristiane erano allineate sul medesimo piano aristotelico-tolemaico, al punto che, con la più grande ovvietà pseudoscientifica di questo mondo, riportano la frase pronunciata da Giosué: «Fermati, sole, su Gabaon, e tu, luna, sulla valle d'Aialon!» Nessuno si preoccupò di trarre l’umanità fuori dall’errore in cui si era impantanata, chiarendo, finalmente, come stessero in realtà le cose. Chi avrebbe potuto fare tutto questo? In considerazione della sua natura divina, quale seconda persona della Trinità cattolica e con riferimento ai tempi storici della sua esistenza fisicamente terrena, solo Gesù Cristo avrebbe potuto svelare come stessero nella realtà le cose riportando il corso della storia entro il solco della verità oggettiva, senza alcuna necessità di assumere atteggiamenti cattedratici, ma, al contrario, in tono discorsivo, rendendo edotti tutti di come fosse stato concepito l’Universo tramite l’azione congiunta Sua, di suo Padre e dello Spirito Santo, con il Sole, cioè, al centro della galassia. Solo lui avrebbe potuto correggere l’errore di Aristotele, di Tolomeo, di Giosué e dell’intera umanità, ben milleseicento anni prima di Copernico e Galilei. Certamente vi sarà stato un motivo per cui Cristo ha deciso di non rivelare, neppure ai suoi seguaci, come stessero le cose in astronomia. Oppure, e il dubbio sorge legittimo, neppure egli conosceva quale fosse il rapporto direttamente funzionale tra terra e sole? Comunque sia, la cosa mi lascia alquanto perplesso. Non possiamo, certamente, condividere l’affermazione di Agostino, ipotizzando che Gesù, con il suo silenzio su questo punto, e mirando soltanto a fare dei cristiani, e non già dei matematici, abbia omesso dallo svelare come stessero le cose. Se l’ipotesi di Agostino fosse fondata, la chiesa cattolica non avrebbe dovuto penetrare, tramite il suo ufficio dell’Inquisizione nel campo scientifico assumendo la difesa di una delle tesi, che alla fine è risultata quella errata. Essa avrebbe avuto il dovere di dire “Non cale!” e avrebbe dovuto dirigere la propria attenzione, solo ed esclusivamente, ai problemi della fede, non travalicandone i confini. Nessuno è intervenuto, poi, né nell’ambito delle autorità della terra, né nell’ambito di quelle celesti, per fermare la mano dell’ Ufficio dell’Inquisizione romana, quando essa la alzò, a pugno chiuso, sul viso di Galileo Galilei accingendosi a colpire ove non avesse ritrattato la sua teoria eretica. Nessuno è intervenuto quando, per ciò che egli affermava, Galileo venne incriminato dalla Inquisizione e, quindi, dalla chiesa, con la contestazione di quattro capi di imputazione tra i quali emergeva, per la gravità del comportamento antidoveroso attribuito, il fatto di avere diffuso idee eretiche in quanto contrarie alla Bibbia, cosa che ci fa intendere quale valore e quale provenienza (certamente, umana) possa avere lo scritto biblico, atteso che il Signore Dio non poteva non sapere che quella di Galileo non era affatto una eresia. Non stiamo qui a ripetere cosa affermasse Galileo in contraddizione a quello che affermava la Bibbia, in riferimento alle due, contrapposte teorie dell’eliocentrismo e del geocentrismo. Le residue tre imputazioni, meno gravi, come si è accennato, rispetto alla prima, riguardavano la violazione di norme di natura amministrativo-canonica, ma pur sempre costituenti un aggravamento, considerato il cumulo accusatorio. Detto questo, ritengo che la chiesa cattolica non sia abilitata a ricordarci la storia del resto dell’umanità, quando essa, dimenticando la propria, non ha saputo usarla come strumento catartico e continua ad appellare santo quel tribunale che rappresenta la negazione dell’Umanità, del Perdono, della Giustizia e dello stesso Credo religioso in nome del quale è stato istituito. Esso altro non fu se non la figura da contrappasso del processo terreno che il Sinedrio fece nei confronti di Gesù Cristo. Secondo l’opinione di chi scrive, in questa particolare vicenda non si può operare alcun distinguo riferito alla diversità di linguaggio (come si pretenderebbe da parte cattolica) tra Cristiani e Matematici che si fondi sulle divergenti finalità che ognuno di loro si prefigge di raggiungere. Occorreva, invece, ed occorre, privilegiare da parte di chiunque, solo e soltanto, la Verità, in qualunque forma essa fosse stata confezionata e in qualunque forma essa si manifesti! Forse che, sostenendo la teoria che afferma che sia il Sole a compiere le rotazioni attorno alla Terra, e non già viceversa, il Cristiano del riferimento di Agostino avrà maggiori possibilità di guadagnare il Paradiso, attesa la caparbietà ecclesiastica del cattolicesimo nella persecuzione (ne nomino uno per tutti) di Galileo Galilei, imputato di eresia per avere contraddetto la Bibbia esponendo i risultati della sua ricerca? In paradiso si può andare ugualmente sia che si sostenga la teoria eliocentrica, sia che si sostenga quella geocentrica. L’elemento differenziatore è costituito semplicemente dal fatto che chi sostiene la teoria geocentrica, chiunque egli sia, commette una eresia scientifica e se la religione vi passa sopra, l’intelligenza umana e la scienza, al contrario, subiscono una profonda e vergognosa offesa. e) L'ulteriore, e terminativa, riflessione riguarda il rapporto che si è creato tra il Signore Dio e i suoi figli, i quali ultimi vengono onerati di credere in lui, nella sua esistenza e nella sua equanime giustizia, senza che, però, vi sia una manifestazione tangibile e originale della sua presenza. E’ necessario credere nella sua esistenza per fede. Si sa che esiste questo Padre in cielo, perché questo viene predicato da persone, che si qualificano sue mandatarie e procuratrici, le quali non affermano che ad esse egli si sia realmente appalesato, ma sostengono, semplicemente, di essere più che sicure della sua esistenza. E fino a questo punto, si può ritenere la cosa, anche se con notevole difficoltà, digeribile. Quello che, però, con il normale, anche se limitato e fallace quanto si voglia, buon senso umano non si riesce a comprendere, riguarda questa perseverante volontà di latitanza e reticenza, di cui si avvale l’entità divina nei confronti delle sue creature terrestri. Perché mantenere tale incomprensibile stato di latitanza, generatore di incertezze psicologiche e, a volte, anche stati di criminoimpellenza tra i più atroci che si possano leggere nella tabella delle forme della delinquibilità umana, in quanto non contrastati da efficaci corredi di criminoresistenza che la condizione di abbandono genitoriale può produrre? E’ superfluo sottolineare, essendo storicamente accertato, come i contrasti religiosi abbiano generato nei secoli persino scontri bellici risultati tra i più crudeli e sanguinari, ai quali non è rimasta estranea neppure la Chiesa cristiano-cattolica (28). Perché occorre instaurare questo stato di incertezza, scegliendo di catechizzare il mondo, sempre e comunque, tramite interposte persone? Che tali interposte persone abbiano titolo per potere parlare nomine alieno chi lo garantisce al di là della loro stessa parola? Forse che nel mondo politeista pagano non si usava il medesimo modus procedendi? In seno al paganesimo, falso e bugiardo, non erano forse i sacerdoti, gli aruspici, gli auguri et similia che traducevano, a loro piena, assoluta e insindacabile libito, senza possibilità di applicazione di una prova del nove circa la loro esattezza, il volere degli Dei pilotando, così, i comportamenti umani? Qualcuno può illuminarmi rivelandomi cosa sia cambiato oggi, nella sostanza, rispetto ai tempi pagani se non un dato meramente formale, atteso che al conclamato e vituperato politeismo (29) la chiesa cattolica non ha fatto altro che sostituire un altrettanto affollato poliaghismo? (30) Qual’é il motivo necessitato per il quale il Creatore non debba mostrarsi e farsi vedere dalle creature da lui stesso generate, di modo che, dopo avere accertato la reale sua esistenza, ognuno sia, poi, libero di seguirne o non seguirne i precetti senza potere, in ogni caso, accampare esimenti liberatorie? Anche se (lo diciamo subito al fine di evitare aggressioni verbali fuori luogo) il paragone appare improponibile, è opportuno evidenziare come per la maggioranza delle legislazioni statuali del nostro pianeta, i genitori che abbandonino i figli, si allontanino dal domicilio domestico, facendo in modo da sparire dalla circolazione e curando di non farsi mai reperire e, così, si sottraggano ai loro naturali obblighi e doveri genitoriali, infrangono ben precise norme contenute nel codice penale, commettendo reato dinanzi alla giustizia umana (ad esempio, per l’Italia si può fare riferimento a molteplici norme contenute nel codice penale, particolarmente agli articoli 570 e 591). Perché non sentire il bisogno di potere instaurare, non dico tutti i giorni, ma almeno semel in anno, un interloquio diretto tra padre e figlio? A che cosa servono gli intermediari tra l’Umanità e il Padre, se non a confondere le idee e intorbidire le acque? Perché non sentire il bisogno di assistere ed educare i propri figli personalmente preferendo adottare affidamenti pedagogici a terze persone? Perché consentire che la maggioranza della popolazione terrestre non segua e, addirittura, nella maggioranza delle situazioni, addirittura non conosca la religione cristiano-cattolica promanante dal vero Dio? Perché instaurare e mantenere tale incomprensibile stato di reticenza omertosa, curando di celare se, post mortem, vi sia o meno una proiezione vitale ed, eventualmente, in che cosa essa consista? Così come il sistema è stato strutturato, si ha la netta impressione che ciò che viene detto dagli altari religiosi di oggi sia soltanto frutto e creazione delle menti umane, per una naturale e comprensibile esigenza di dare un senso a questa nostra esistenza, evitando, così di dovere concludere che essa non sia altro che una combinazione, fortuita e casuale, di alcuni elementi chimici che, alla fine si esauriscono e tutto finisce nel niente. Proprio come avveniva al tempo degli Dei falsi e bugiardi, quando, è evidente, a parlare con l’umanità intera non erano gli abitatori dell’Olimpo, ma i sacerdoti, i vaticini e gli oracoli della Terra, i quali tutti, dopo essere stati istituiti dall’ Uomo per fungere da stampelle alla sua naturale claudicanza, hanno finito per mirare alla costituzione e mantenimento di un loro potere personale attraverso il quale tenere in timorosa soggezione i popoli. A tutto quanto precede occorre, necessariamente, aggiungere che, in ipotesi di affermazioni palesemente erronee, provenienti dalla religione, non mi è mai capitato di assistere ad alcune doverose ed opportune errata corrige (come nel caso occorso a Galileo Galilei; come nel caso della scoperta di Charles Darwin che portò alla formulazione della teoria evoluzionistica, e così via), anzi le scoperte scientifiche in contrasto con le affermazioni religiose sono state sempre motivo di reazioni violente da parte della chiesa, mentre, al contrario, la scienza è apparsa sempre più serena, equanime e responsabile, pronta a riconoscere i propri errori, quando il suo cammino ha inciampato in essi, e pronta ad impegnarsi ancora di più nell’andare avanti proseguendo nell’impegno di conoscenza con l’intento di emendarli. Abbiamo il dovere di non fermarci e di non consentire che venga ripristinato lo stesso regime che vigeva ai tempi dell’Eden, reintroducendo il divieto di poterci avvicinare all’albero della conoscenza per alimentarci dei suoi frutti, rimanendo, così, nell’eterna, atavica ignoranza che, ancora oggi, ci impedisce di dare una risposta soddisfacente alle fondamentali e terminative domande: “Perché, se vi è un creatore dell’Universo, egli debba celarsi e nascondersi alla nostra sete di conoscenza? Perché ci viene negato di potere conoscere in modo tangibilmente certo quale sia il fine essenziale della nostra effimera (31) esistenza terrena e quale sia la sorte che ci attenda post mortem, semmai vi sia una sorte in attesa o piuttosto tutto non finisca nel nulla ?”. E’ evidente che, fino a quando non giungerà il tempo in cui il nostro muscolo cardiaco smetterà, alla stregua di un comune orologio, la sua funzione di misura del tempo biologico di ciascuno, così come è stato e come è ancora, secondo dopo secondo, battito dopo battito, a far tempo dal giorno della nascita, non v’è alcuno che sappia cosa sarà di noi. E’ solo una previsione di probabilità diverticolata quella secondo la quale arriverà un giorno nel quale o sapremo ciò che sarebbe stato utile sapere durante la vita terrena (anche se, purtroppo, con tale connotazione, sarebbe una conoscenza che non potrebbe essere oggetto di interscambio tra i componenti l’umanità, in quanto la condicio sine qua non di realizzazione di tale mutualità sapienziale è rappresentata dalla morte di ciascuno e dal conseguente stato di incomunicabilità che intercorre tra la morte e la vita!), oppure tutto finirà dissolto nel NULLA ASSOLUTO e di noi non resterà alcuna traccia oggettiva, se non nel ricordo di chi rimane in vita, ma non sempre ciò accade. In conclusione, forse conosceremo la verità, ma, considerando il tempo in cui ciò potrà avvenire, si può ritenere che, a quel punto, la conoscenza non avrebbe alcun valore, né didattico, né catartico (32), attestandosi su fondamenta sapienziali di natura formale e non sostanziale, che ci autorizzano a potere invertire, conseguentemente, l’ordine terminologico della nota proposizione di Seneca, ricavandone altra antipodica, in virtù della quale potere affermare che non vitae, sed scholae discemus, ossia, quando arriverà quel tempo, noi impareremo non per la vita, ma per la scuola! Come se un ingegnere meccanico, dopo avere costruito un motore efficientemente funzionante e all’avanguardia, non intenda, poi, collegarlo ad un albero di trasmissione, preferendo goderselo facendolo girare a vuoto.
(1) Dal greco:qeos=Dio;kratos=Potere. Forma di governo in cui finalità politiche e religiose risultano essere coincidenti, anche se nella evidente preminenza delle seconde e sottomissione delle prime. (2) Dall’arabo:dar al-harb=”Territorio della guerra”:in questo modo, da parte dell’ islam, vengono considerati tutti i territori statuali, che non siano ricompresi nei suoi confini, non solo dal punto di vista del territorio, quanto, e soprattutto, da quello della fede religiosa. (3) Dall’arabo:dar al-islam=”Territorio-Casa dell’ Islam”. (4) Il termine proviene dalla lingua ojibway, parlata dal popolo degli Algonchini appartenenti ai nativi dell’America del nord. Rappresenta una corruzione linguistica per elisione proveniente dall’originario ototeman, che vuol dire “Tu appartieni alla mia tribù”. Indica, quindi, qualcosa di simbolico che richiama i concetti di identificazione e appartenenza etnico-religiose. (5) La percentuale dei cattolici si attesta sul 17,7% rispetto alla popolazione mondiale, ossia sono un miliardo e trecentotredici milioni in rapporto ai sette miliardi e quattrocentootto milioni della intera umanità. I dati sopra riportati sono stati escerpti dall’ Annuario Pontificio 2019 e dallo Annuarium Statisticum Ecclesiae. (6) Seneca, Epistolae. (7) Dal greco:teleos=Fine, Scopo;logia=Studio. Ramo dello scibile (prevalentemente di natura filosofica e religiosa) che ha come oggetto l’escatologia del creato. A sua volta il termine escatologia deriva dal greco: eskatos=Ultimo; logia=Studio. (8) Dal greco: dogma=Opinione. La parola deriva dal verbo dokew=Decidere, Stabilire un giudizio, Affermare un principio. Ha assunto il significato, sia demotico che protocollare, di enunciazione espressa con dotazione apparente di natura pro veritate, ma, nella sostanza, è una sentenza non discutibile, non contrastabile, non sottoponibile a verifica, non appellabile. Il suo effetto è quello di non insegnare alcunché, ma solo di ingenerare maggiori incertezza e confusione. (9) Dal greco:a-Alfa privativa;qeos=Dio. Corrente di pensiero che si basa sulla negazione della esistenza di Dio. (10) L’ epiteto epistemologico tabula rasa venne usato, per la prima volta, da Platone nel suo Teeteto. Il concetto di tabula rasa (riferito all’anima umana che, alla nascita, risulta essere immacolata e che solo con l’ esperienza quotidiana è destinata ad essere impressionata alla stessa stregua di un negativo fotografico) verrà ripreso da molti dei filosofi successivi a Platone e sino ad interessare l’età moderna. (11) Dal greco:empuros=Infiammato, Infuocato, Ardente-Da pur-puros=Fuoco-Secondo la teologia cattolica medievale (Cfr., per tutti, la Divina Commedia di Dante), il cielo empireo rappresenta l’acme dei cieli, dove vengono collocati il Signore, i Santi, i Beati e tutte le anime che hanno meritato il paradiso. (12) Dal greco:logos=Verbo, Parola; qeos=Dio, Divinità; noos=Mente; yuch= Anima; pneuma= Soffio (vitale); anemos=Vento. (13 )Dal greco:nomos=Legge;tiqhmi=Porre. (14) Dal greco:qewrhma (a sua volta derivante dal verbo qewrew)=esaminare, osservare. (15) Dal latino:causa sui=Creatore di se stesso, in quanto natura naturans, come spiega il pensiero filosofico di Baruch Spinoza. Se qualcuno, che crede in Dio, argomentasse che Dio sia stato, a sua volta, generato da altra fonte più alta, anteriore ed esterna (ritenendolo, quindi, come incluso nella natura naturata e cancellando, così, le sue qualità fondamentali di onnisciente, onnipotente ed eterno), finirebbe con il relegare, automaticamente, la sua posizione protagonistica sul primo generatore che diverrebbe, così, l’autentico causa sui. (16) Dal greco:kathcew=Insegnare (in funzione, prevalentemente, ecclesiastica). (17) Agostino, De actis cum Felice Manich. (18) Dal greco:gunh=donna;anqrwpos=uomo;gonh=nascita. Apparizione sulla Terra della donna e dell’uomo. (19) Dal latino:super=Sopra;stare=Stare.Visione deformata, o creata tramite la fantasia, della realtà, alla quale ultima viene sovrapposta attribuendole fondatezza storica, senza che vi sia alcun supporto probatorio oggettivo. (20) Dal greco:piqhkos=Scimmia;anqrwpos=Uomo. (21) Dal latino:e=Fuori;grege=Gregge. In origine, quell’essere che sarebbe, poi, diventato l’uomo, pur appartenendo alla species delle scimmie, si distingueva da esse per le eccezionali sue potenzialità di cui lo aveva dotato la natura: occorreva soltanto farle venire fuori. (22) Dal greco:qauma=Prodigio,Miracolo;erg (dal verbo ergomai=Fare, Produrre)=Fare. (23) Dal greco:deuteros=Secondo (in senso di successione numerica);agwnisths=Attore (dal verbo agwmai=agire). In qualsiasi rappresentazione umana, è l’agente più importante, dopo il protagonista. (24) Dal greco:prwtos=Primo;agwnisths=Attore (vedi anche sopra, sub n. 19). (25) Riportiamo qui di seguito, non a carattere esaustivo, ma solo indicativo, il lungo cammino dell’umanità attraverso i principali suoi stadi evolutivi durati 55 milioni di anni:Sahelanthropus tchadensis; Orrorin tugenensis; Ardipithecus;Australopiteco;Paranthropus aethiopicus;Homo habilis; Homo ergaster; Homo erectus; Homo heidelbergensis; Homo neanderthalensis; Homo floresiensis; Homo luzonesis; Homo sapiensis. (26) Dal greco. logos=Discorso,Parola;makh=Battaglia. (27) Dal latino: intus=Dentro;ligere=Connettere. Facoltà che ci consente di cogliere l’ essenza interiore delle cose e dei fenomeni. L’indagine, poi, può essere analitica deduttiva quando dal principio universale si ricava il dato particolare, oppure sintetica induttiva quando dal dato particolare si perviene al principio universale. (28) Delle innumerevoli stragi compiute dai crociati cristiani in terra di oriente, ricordiamo, a mò di esempio, come il 15 luglio 1098, espugnata Gerusalemme i cavalieri cristiani non si fermarono di fronte a tale risultato raggiunto, ma procedettero alla strage di più di sessantamila persone, tra musulmani ed ebrei, non facendo alcuna distinzione tra uomini, donne e bambini, al punto che le strade della città erano diventate veri e propri fiumi di sangue. La prima crociata è costata la vita, “Grazie a Dio!”, come si disse allora, ad oltre un milione di persone etichettate come infedeli. (29) Dal greco:polus=Molto,Numeroso; qeos=Dio. Religione che consentiva al fedele di potere adorare una lunga, quasi infinita, teoria di divinità. (30) Dal greco:polus=Molto, Numeroso;agios=Santo. L’ elenco agiografico comprendente tutti coloro che sono stati aureolati di santità in seno alla chiesa cattolica, rappresenta una nutritissima nomenclatura che supera di gran lunga il numero degli Dei del paganesimo. E, così come è avvenuto per gli Dei del paganesimo, anche i Santi cristiani hanno, ciascuno, un proprio campo specifico di competenza superstiziosa. Tanto per volere fare brevemente qualche esempio, riportiamo che San Michele arcangelo è il patrono dei giudici, mentre Sant’ Ivo Helory e Sant’Alfonso dé Liguori sono i patroni degli avvocati; San Cosma e San Damiano, entrambi sono patroni dei medici; San Giovanni Leonardi lo è dei farmacisti; San Servazio di Tongres è patrono dei falegnami, mentre San Crispino lo é dei calzolai; Santa Barbara é patrona dei Vigili del Fuoco; Maria, Virgo Fidelis, è la patrona dell’Arma dei Carabinieri e così via di seguito. Sul medesimo piano, per il paganesimo, Ares o Marte era il dio della guerra; Eros era il dio dell’amore e della sessualità; Calliope era la dea della poesia epica, mentre Euterpe era la dea di quella lirica; Vulcano era il dio del fuoco e della metallurgia e così via. (31) Dal greco:eis=Uno (numerale ordinale);hmera=Giorno. La vita umana ha la durata di un giorno appena, se paragonata all’ eternità. (32) Dal greco:kaqarsis=Purificazione. Deriva dal verbo kaqarew=Purificare. In questo caso specifico è il comportamento consequenziale all’ apprendimento e all’elaborazione di una lezione magistrale che così diventa bussola orientativa di corrette azioni umane. Anche quando la storia ricostruisca avvenimenti orribili e disumani, la catarsi serve ad ingenerare nell’animo umano un senso di ripulsa ed avversione verso sempre possibili (un fenomeno è possibile quando, in base alle norme fisiche conosciute dell’universo, può avverarsi) e probabili (un fenomeno è probabile, secondo scale matematico-statistiche, quando si sia avverato o non avverato con maggiore comparata frequenza), iterazioni comportamentali. |
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