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Poesie controcorrente e racconti in versiQuotidianità è quanto avviene ogni giorno sotto i nostri occhi e che riteniamo spesso banale, proprio perché ripetitiva nel corso del tempo. Infatti, come scrive Gianfranco Ravasi, «l’impressione immediata che si associa a questa esperienza è quella dell’abitudine, dello scontato, della routine oppure del trantran, per usare un termine onomatopeico, destinato a illustrare una ripetizione monotona». Ma lo studioso continua: «Eppure Rilke ci ricorda che il poeta, cioè chi ha uno sguardo capace di perforare il grigiore della superficie, riesce a intravedere iridescenze colorate anche nell’esistenza più uniforme. Tra le crepe di un muro sbrecciato può sbocciare un fiore; in ogni azione si annida una scintilla che può brillare». La raccolta di poesie di Fabio Dainotti, dal titolo Poesie controcorrente e racconti in versi, può effettivamente essere definita “poesia del quotidiano” e proprio per questo anche controcorrente.
Il suo lessico, aderente al linguaggio parlato, ad un lessico familiare come si legge in una sezione della raccolta, riesce a recuperare infatti nelle trame della propria essenzialità quell’autenticità che non ripiega mai su se stessa, ma favorisce l’immediatezza comunicativa senza mettere a disagio il lettore, coinvolgendolo in una visione che non pone contrapposizione tra quotidiano e ed espressività poetica. La poesia di Fabio Dainotti, che si potrebbe definire epigrammatica, facendoci venire in mente il poeta latino Valerio Marziale che forse più degli altri ha saputo a suo tempo fare poesia della quotidianità, opera una continua ricerca in rapporto a quelle persone che gli stanno intorno, con la passione e la consapevolezza di poter incontrare l’altro o l’altra per raggiungere quell’obiettivo che è la conoscenza del Sé interiore e contemporaneamente dell’altro da sé. Tale obiettivo è possibile raggiungerlo attraverso quelle parole che rendono libera la sua poesia, o tramite quella “limpida meraviglia” di ungarettiana memoria che riesce a farla risaltare dal grigiore scialbo e senza significato di un’azione che si ripete nel tempo, trasmettendo quel bisogno di comunicare, di amare, di meravigliarsi di fronte ad un luogo o una persona che suscita ricordi o emozioni, con una disarmante obiettività realistica e colloquiale che proprio per questo non lascia indifferenti. Dall’intera silloge appare spesso un io narrativo che ci induce a considerare un personaggio Dainotti, altro da sé dell’autore, figura speculare e obiettiva. In realtà il poeta abbandona la poesia solipsistica, idilliaca o larmoyant, anche quando il tema principale è l’amore, manifestato senza alcuna invadenza, come nel «piccolo caffè dove noi due / ci appartavamo. Era bello parlare, noi soli al mondo». D’altra parte la sua poesia, che si può anche definire post crepuscolare per il descrittivismo narrativo, spesso ama raffigurare con brevi pennellate oggetti, situazioni, figure. Gli ambienti sono città, vie, case, ma solo appena accennate, prestando particolare attenzione a fatti e situazioni. In tal senso indicativa è la lirica incipitaria della raccolta, In visita, dove la quotidianità si tramuta in suggestione e in dialogo tra personaggi appena abbozzati, tra gesti appena carpiti, tra sentimenti appena percepiti, ma di una vasta intensità: «Quasi ogni giorno venivo a trovarti / nella casina bassa, / affondata tra il verde dei cespugli; / legavo il mio cavallo / alla grata di ferro del giardino. // Tua madre ti adorava, / impressionata da tutti i tuoi libri / colorati sopra gli scaffali; / tu, però, la trattavi sempre male. // Rimaneva stupita del mio arrivo. / “Quest’umile casina, disse un giorno, / non è adatta nemmeno come stalla / per il cavallo del tuo amico Fabio.”». Nelle variegate situazioni spesso sono alcune cose a relazionarsi con lui: i «vasi tutto attorno», il «sole […] tramontato», «la spiaggia […] dorata», i piatti «che tornavano in cucina ancora intatti», «il giardino liberato con le aiuole», «lo zampillo chiaro del giardino», «una musica triste al pianoforte». In questo contesto non mancano gli animali che fungono quasi da riflesso emotivo: il cavallo legato alla grata di ferro, le cinciallegre rumorose, la cavallina morta; o città che contestualizzano figure umane, gesti o azioni, come Milano, Caserta, Pavia o «l’umile paesello del Bresciano». Su tutto però campeggia la figura umana: l’uomo, la donna, l’amico, l’amica innamorata, la madre, il bambino. I personaggi femminili non sono dive dello spettacolo o figure civettuole, l’uomo non è un raffinato dongiovanni e il tema dell’amore non è invadente. La poesia d’occasione si tramuta allora in un sintetico quadro di umanità e di prospezione psicologica, costituendone un tratto qualificante. Fabio Dainotti descrive e si rapporta ai vari personaggi, i cui gesti sono filtrati da vicende personali e occupano la scena attraverso gli occhi del poeta, il quale appare osservatore attento, ma distaccato, senza impegnarsi in alcun giudizio morale. I suoi personaggi sono sempre caratterialmente e fisicamente circoscrivibili, come i due amanti che si allacciano sull’erba e che si scambiano baci di fuoco, ai quali specularmente si pone il ragazzino «che sta in disparte, timido». Oppure Charlie, che viene caratterizzato per la sua origine e le sue peculiarità fisiche: «è francese; ha la erre moscia, biondino, il ciuffo avanti»; poi ne lascia scaturire l’emotività in rapporto all’altro sesso: «le ragazze lo guardano, estasiate. / Lui ne sospinge una alla parete, / la fruga dappertutto, / la ragazza finge di resistere, / emette gridolini, risatine». E ancora il ragazzo della corriera, che «è ben vestito; / indossa un farfallino», mentre «di fronte a lui sta seduta una donna, / un’aria vissuta che intriga». La figura femminile è l’altro interessante soggetto descrittivo e di analisi psicologica. Bastano pochi tratti, una pennellata per delinearne carattere, abitudini ed emozioni: «le signore sfilavano eleganti / con ombrellini al braccio». E ci viene in mente anche Vittoria «con un bel seno / sotto il succinto costume da bagno», o «un décolleté di donna, / morbida nel guardare, lenta a dire». Nitida è la figura di Agostina che «ebbe anche le sue brave proposte» e che dilatava «gli occhi, dopo l’amore». Poi c’è Valeria, dalla varia complessità psicologica, quella che aveva avuto un grande amore, ma che «come tutte le cose era finito», ed dopo: «Aspettavi con l’amica di stanza, / sulle punte alzandoti dei piedi / per affacciarti al finestrone alto / di un vecchio edificio a Pavia, / che venissero a prenderti gli amici, / la sera, per portarti in trattoria». Infine c’è anche la barbona, la cui immagine viene disegnata con pennellate brevi ma incisive, lei che aveva occupato abusivamente un appartamentino: «Ma la barbona (per la verità / una professoressa, scivolata / sulla china, tra malattie e disagi, una drop out, / una disadattata); non avendo dove andare / (aveva litigato con la madre, / il fratello non voleva nemmeno sentirne parlare) / si rifiutava di sgombrare». Tra queste figure non poteva non mancare la madre che «piangeva / con i singhiozzi, come una bambina», nella quale il poeta lascia trapelare un leggero tono d’ironia, dal momento che piangeva per non aver trovato un abito adatto da poter indossare; ma c’è anche la madre che lamenta il destino del proprio figlio, e che si rivolge a Padre Pio «per sapere il destino ultraterreno / di quel figlio scomparso nell’acqua di un fiume». Poi ci sono le figure maschili come Carlo Enrico: «Una notte guidava strafatto, / andò fuori strada e il compagno, / ebbro anche lui, con flemma: “Carlo Enrico, la pianta»; oppure Claudio che quando fischiava, «il cavallo arrivava» e lo «montava senza sella»; o ancora Marco, uno sbandato, che corteggia Valeria, «nel suo modo / impacciato, di uomo troppo grasso, con gli occhiali, per essere credibile / come tombeur de femmes». Infine c’è l’amore, che colora con le sue note molte liriche della raccolta: «Suono sulla tastiera del tuo corpo / le musiche più belle e più dolenti, / malinconiche, ardenti, / prima e dopo l’amore». E ancora: «Ma dopo lo scopersi: una di loro / aveva un appuntamento d’amore»; amore che a volte può anche essere interrotto: «piangevo, piangevi anche tu, come tutte / le donne che han deciso di troncare»; ma può anche essere l’amore occasionale come per Agostina, la locandiera: «“Ti amo”, dissi io, studentello inesperto; ma tu, diretta, senza orpelli: “Io no”»; o ancora una massima generale: «Ma la donna ha piacere di essere richiesta, / come dice l’Antico, anche quando rifiuta». Da questi brevi tratti è possibile capire la valenza della poesia di Fabio Dainotti, da cui emerge una forte capacità immaginativa e descrittiva, sapendo trasfigurare le immagini in un vorticoso corollario di figure quotidiane intrecciate a ricordi ed emozioni personali, «in ogni caso decisivi nel disegnare un insieme dentro al quale passo dopo passo si evidenzia la riconoscibilità generale, in un alone di magia, eppure restando con i piedi ben piantati per terra dentro il nostro ordinario mondo quotidiano, ma nella consapevolezza di tutto quello che lo trascende», scrive Paolo Ruffilli nella prefazione. Nello stesso tempo l’analisi si fa profonda e introspettiva, in quanto «il poeta si ridesta da un lungo sogno, in un gioco speculare di rimandi psicologici; interiorizza un silenzio eloquente e scompone, nel suo scenario psichico su due piani paralleli, la diade conscio/inconscio, realtà/immaginazione, nel segno di uno spleen liberatorio» secondo l’analisi di Carlo Di Lieto. Dai personali principi di poetica scaturisce quindi quella poesia controcorrente nella forma, nella lingua, nelle immagini, ma che conducono sempre ad una poesia che attraversa il tempo e lo spazio, tramite la conoscenza e lo scandaglio della persona umana nel rapporto tra il Sé e l’Altro da Sé. |
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