| |
La poesia
dialettale negli anni passati era stata posta in secondo piano, in quanto
ritenuta espressivamente inferiore e soprattutto meno raffinata che quella in
lingua. Negli ultimi tempi invece c’è non solo una rivalutazione dei dialetti,
ma pure una maggiore coscienza che il dialetto, quale lingua localizzata, è più
espressiva. Ed in effetti espressioni dialettali, di qualunque dialetto, sono
spesso intraducibili nelle lingue nazionali: più vasta è la lingua, e quindi
utilizzata da un maggior numero di persone, meno espressiva e più banale essa
appare. Il dialetto siciliano ha una sua lunga tradizione storica. Esso sta alla
base della prima letteratura italiana. Ed oggi molti poeti siciliani scoprono il
dialetto, anzi trovano molto confacente come propria forma espressiva solo il
dialetto.
Scorcia ri
limuni scamusciata è una silloge dialettale che sa fondere perfettamente
tradizione, espressività poetica, memoria, sentimento e cultura contadina e
popolare. Filippo Giordano in un percorso onirico da una parte e realistico
dall’altra percorre i temi della tradizione attraverso il ricordo, evidenziando
una società in continua evoluzione, cogliendola soprattutto nel suo passaggio
dal mondo contadino a quello industriale, o meglio telematico. Il problema
dell’emigrazione è forse il punto nodale, il tema che unisce il passato al
futuro nell’ambito di una continua e perpetua trasformazione del mondo agro
pastorale.
La silloge corre
su due filoni particolari: il luogo e la memoria. Tanti e tanti sono i luoghi
presentati nella silloge. Da Messina ad Enna, da Limina a varie contrade che
suscitano continua emozione. Ai luoghi si contrappone la memoria: è la memoria
della festa patronale, viva per chi è andato via e ritorna, è l’asino sostituito
dai più moderni mezzi meccanici, i fichidindia, i limoni che evocano odori e
profumi.
Il tutto si
eleva poeticamente attraverso sottili riflessioni, una poesia che scaturisce
dall’animo e dal cuore, dal legame con la propria terra e con la propria gente:
amicizie, colloqui, ricordi. “Iddi, l’amici, | turnannu runni sunu, |
(addabbanna ru mari, | addabbanna a muntagna) | pigghiaru i paroli, | i
sfruniaru, i vuncieru”. A questo aspetto si contrappone quello riflessivo,
che è dato dal momento di annichilimento da dove il discorso muove mettendo in
circolo tutti i possibili dati dell’uomo: il suo essere, il suo dover essere, il
suo essere stato” scrive nella prefazione Giuseppe Cavarra. “Il groviglio di
situazioni e di motivazioni che viene ad incidersi sulla pagina non reca mai
segni labili o inerti: le ragioni poetiche si fanno rivelatrici di una linfa
vitale straordinaria proprio mentre ci consegnano un mondo in frantumi.”
| |
 |
Recensione |
|