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Prefazione a
La
porta del tempo e l’infinito
di Pietro Nigro
la
Scheda del
libro

Giuseppe Manitta
La
porta del tempo e l’infinito
di Pietro Nigro indica sin dal titolo la meta di un viaggio che il poeta
percorre, un vagare della mente (Istanti smarriti) fino ai confini
segreti dell’esistenza. Proprio il tempo è l’elemento misurabile che costituisce
il veicolo alla verità o, meglio ancora, la costruzione di nuove dimensioni. Si
tratta di un’opera estremamente filosofica, attanagliata da una tensione
dialettica che si realizza nel fondamento dell’esistenza stessa. Questa
particolarità si ritrova sin dal testo incipitario, un poemetto in cui il
rapporto vita-morte si inserisce in un’atmosfera visionaria che conduce al
naufragio dell’io e al dubbio dell’oltre:
«Avanzai lentamente / a
schivi passi, / pauroso dell’ignoto, / al di là della piccola duna: / che cosa
avrei visto / raggiunta quell’altura, / passato il varco?». Lo stesso poemetto si conclude con il sogno e con la speranza,
nonostante di fronte ai dolori dell’esistenza il poeta ammetta che alle volte
sia meglio non nascere. Ciò che all’apparenza potrebbe sembrare semplicemente
una citazione letteraria (leopardiana) nel corso della lettura e delle
indicazioni autobiografiche trasmette la realtà del dolore, il segno tangibile
della ferita inferta dalla vita.
Se da un lato
esistono le sofferenze che sono segni tangibili del passato e del presente,
dall’altro l’elemento futurale va a contrastare con l’incertezza: da qui è
necessaria la speranza. Eppure il passato non è solo dolore, è anche il modo di
permettere ai ricordi di tornare in vita e di recuperare pezzi della propria
identità. E’ proprio l’identità, quella di essere umano e di poeta, che va
ricercata e con essa il cammino stesso verso l’essenza delle cose, ma, ammette
Pietro Nigro, solo quando il corpo non chiederà più “sussistenze”, solamente a
qual punto sarà possibile che «il
tuo spirito brancolerà nel cosmico nulla / senza mete d’esistenza / e nella tua
mente cercherai le confortanti immagini / che facciano da contrappeso / a un
senso di affannoso respiro / soffocando un pensiero che la realtà imprigiona». Accettare il mistero, significa accettare la vita.
Una immagine ci rivela ulteriormente il viaggio espresso dalla poesia di Nigro.
Nella
silloge vi è un intenso simbolismo luministico e proprio la luce nelle sue
declinazioni temporali (alba-tramonto, propendendo per una maggiore frequenza
per il tramonto) indica un punto focale della riflessione: la meditatio finis
o meditatio mortis. Per questo motivo l’immagine del tramonto è più
frequente, per questo motivo il mistero dell’«oltre il tramonto»
si fa necessario. Ma la morte non è solo tensione o meditazione, è anche
desiderio e speranza di pace.
«Come vorrei levarmi un giorno
/ e non sentire le sensazioni amare / della vita che scorre / e avvertire
l’immutabile calma dell’eterno!». Questa dialettica si ritrova anche nelle liriche
nate da occasioni artistiche e diventa genuina espressione del vissuto nelle
parole dedicate alla figlia Gabriella, prematuramente scomparsa. Il rapporto
vita-morte raggiunge il suo stadio in un percorso chiaro che dimostra il senso
del viaggio, un itinerarium che partiva dal dubbio e dalla domanda su
cosa ci possa essere oltre il “varco” e che si conclude con la speranza
dell’ultimo componimento: «speranza che al di là della morte / non ci sia rovina
/ ma pace e bellezza, / non energia che si consuma / ma amore e vita».
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Materiale |
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