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Affari di cuore di Ruffilli

L’ultima opera poetica di Paolo Ruffilli – Affari di cuore (Einaudi) – si inserisce nella migliore tradizione della lirica erotica, risultando a tutti gli effetti, sia per la materia trattata che per l’habitus formale, un moderno canzoniere d’amore. Nei versi che danno corpo al testo, infatti, la passione amorosa è rappresentata in tutte le sfumature che essa può assumere tra due persone, l’amante-autore e l’amata, tanto da costituire un mosaico completo di quel mondo interiore, ricco e complesso, che si cela dietro la parola eros.

La “passione dominante” è còlta nei momenti in cui nasce, quando ancora timida e flebile prende possesso del cuore dell’innamorato, per poi esplodere con violenza, divampare come un fuoco e, infine, a volte, proprio come questo, spegnersi e finire, riverberando con pallidi echi luminosi nelle parole di tale canzoniere. In esso trovano posto gioie, dolori, e poi cadute, litigi, tradimenti, assenze, presenze, distanze, sogni, ricordi. Tutto è vissuto e narrato in prima persona dal poeta che rappresenta, dunque, il punto di vista privilegiato delle varie storie d’amore analizzate e registrate nelle pagine che si susseguono.

Tutto viene annotato in questo taccuino, che è anche un diario di viaggio del proprio cuore, spesso anche con precisione e minuzia, con metodo quasi scientifico, vòlto a spiegare l’inspiegabile e a redigere un’ars amandi in cui possano essere rappresentati, quasi scomponendoli, come un prisma fa con i raggi di luce, gli effimeri e labili moti dell’animo umano. È poesia del cuore, certo, ma anche d’intelletto. Alcune antitesi, che caratterizzano parte dei componimenti, così come le iperboli, alcuni paradossi, i vari giochi di pensiero non rari a trovarsi in questi versi, sembrano voler richiamare certa poesia del Seicento. Ciò non perché si tratta di contaminazione o di dipendenza da modelli prestabiliti, quanto perché l’autore di questi versi sembra essere nella consonanza spirituale con qualche cantore d’amore secentista, palesando con lo stesso un comune sentire poetico.

Formalmente i componimenti sono caratterizzati da versi brevi, mezzi espressivi già utilizzati da Ruffilli in altre sue opere poetiche precedenti. Qui il ricorso a settenari e quinari, variamente mescolati e alternati, riesce a tradurre una intensa musicalità, oltre a un indugiare ora più mosso ora meditativo. La qual cosa avviene anche grazie alle rime sparse che, nella prima sezione, sono pressoché usate solo alla fine del componimento, quasi a dare maggior risalto alla conclusione. Nelle sezioni seguenti, invece, sono presenti, sempre usate in forma libera, anche negli altri versi. In un’opera come questa vi era il rischio di sfociare e di scadere nell’esplicito, finendo così di controllare poco e male certo materiale che invece non è raro reperire in alcuna moderna lirica erotica.

Ma la bravura di Ruffilli consiste anche nell’aver saputo mantenere un equilibrio perfetto e costante tra i poli opposti del dire e del non dire, tra lo svelare e il lasciare immaginare. Vi sono parti più crude e realistiche delle altre, ma non tali che il lettore non aggiunga, ad ogni componimento, del suo per ricostruire il senso o svelare un simbolo o capire un’allusione. Sono versi sempre garbati, raffinati, a volte ombrati da un colpo di pennello più audace, ma sempre stesi con buon gusto. A tal ragione il loro autore ha saputo far uso di tutte le tinte della sua ricca e curata tavolozza, ora marcate ora tenui, per dar corpo a quel quadro dell’“amor profano”, che non si poteva immaginare più completo, intitolato Affari di cuore.

Recensione
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