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Guerra carestia peste con i frati cappuccini nell’opera manzoniana

“La famine, la peste et la guerre, sont les trois ingrédients les plus fameux de ce bas monde”. Così annotava Voltaire nel suo Dictionnaire Philosophique e parimenti, riprendendo un passo di Ugo Dotti, apre la propria Panoramica corsara (p. 13) Francesco di Ciaccia: evidenziando le tre aree tematiche che saranno affrontate nel proprio lavoro, diviso in sezioni intitolate rispettivamente Guerra e Rivoluzioni la prima, Carestia la seconda e Peste la terza.

Introdotto da una breve presentazione di Costanzo Cargnoni, dalla citata Panoramica corsara e da una nota metodologica in cui l’autore spiega ai propri lettori i criteri formali seguiti nella redazione delle note così come degli indici e degli altri apparati, il volume si apre con la descrizione della guerra, che, pur non costituendo il tema preponderante de I promessi sposi, offre a Di Ciaccia l’opportunità di trattare argomenti a questo strettamente legati, come il potere politico e la dicotomia oppresso-oppressore.

È il secondo paragrafo di questo capitolo, intitolato I frati cappuccini e la guerra “manzoniana” (p. 44), che inserisce la questione letteraria nel panorama degli studi francescani in generale e dei frati cappuccini in particolare, attraverso considerazioni legate al ruolo dell’Ordine in seno a conflitti quali la Guerra dei Trent’anni. Attraverso la descrizione di alcuni personaggi, come Joseph de Paris – al secolo François-Joseph Le Clerc – e il romanzesco fra Cristoforo, nonché di fatti extravaganti (p. 49) quali i dissapori sperimentati in Turchia tra i frati cappuccini e gli osservanti, il lettore è condotto al secondo capitolo, ancora dedicato alle guerre, ma in particolare a quelle rivoluzionarie.

È questo il contesto scelto dall’autore per trattare un tema senz’altro molto presente nell’opera di Manzoni, e cioè il ruolo delle alleanze nella determinazione della storia di una nazione: «chi va a combattere un altro popolo, profondendo ricchezze e rischiando la vita, non si muove per andare a fare un regalo a uno “straniero”; anzi, gli stranieri che si sono combattuti tra loro per un terzo popolo si divideranno i beni di quest’ultimo» (p. 87). Di Ciaccia cita l’esempio assai calzante dell’Adelchi e non rinuncia, pur ripercorrendo i passaggi in cui più viva si presenta al lettore la manzoniana provvidenza, a tracciare le linee principali del patriottismo dell’autore lombardo, secondo cui se è vero che «la soluzione armata costituisce l’extrema ratio», è altrettanto vero che «esiste un diritto naturale – un “consacrato diritto”, originariamente divino – all’indipendenza dei popoli (p. 103).

Un patriottismo che Manzoni non visse soltanto umanamente, ma affidò anche e soprattutto alle sue opere, come spiegato in Funzione patriottica del romanzo storico e principi liberali ne I promessi sposi (p. 115), il paragrafo che chiude il capitolo II e conduce il lettore alla sezione successiva, dedicata ancora alle guerre, e in particolare a quelle ideologiche. Nell’articolata struttura che l’autore ha impresso al proprio lavoro, in cui ciascuna delle tre parti principali si sviluppa in capitoli a loro volta composti da paragrafi e sotto-paragrafi, un ruolo di grande rilievo viene riservato alle descrizioni e alle argomentazioni, come quella dedicata all’attività della Congregazione per la Dottrina della Fede, affidata alle battute iniziali del capitolo III.

Attraverso il ricorso a documenti d’archivio e a paralleli con la letteratura manzoniana, Di Ciaccia descrive conflitti di varia natura, come nel caso del paragrafo Guerra delle idee: il rogo (p. 147), dove la trattazione del tema si unisce a quella delle vicende biografiche di Manzoni, descritte in particolare attraverso la ricostruzione del legame dello scrittore lombardo con i cappuccini (p. 149). Attraverso il confronto tra il pensiero manzoniano e quello di d’Azeglio, trattato nell’appendice alla parte prima, si arriva alla seconda sezione del volume, dedicata al macro-argomento carestia. Anche in questo caso il lavoro si articola in numerosi capitoli e paragrafi, il primo dei quali dedicato alla presenza di questo tema ne I promessi sposi.

Di Ciaccia ripercorre i capitoli in cui Manzoni descrivere l’operato di Federigo Borromeo e di Renzo durante la rivolta per il pane, e indugia nella ricostruzione della storia di fra Cristoforo, entrato nell’Ordine dopo aver commesso un omicidio. È proprio questo riferimento a un episodio della vita del frate che permette all’autore di offrire, nel capitolo successivo, un cenno storico sul ruolo dei cappuccini nelle carestie. Il discorso prende avvio «dalle loro origini, intorno al terzo decennio del Cinquecento» (p. 233) e si snoda attraverso la rievocazione di pratiche come quella dell’elemosina delle noci – cui è dedicato il paragrafo La fiaba per l’elemosina (p. 248) – scelta perché descritta anche da Manzoni entro le sue Osservazioni sulla morale cattolica (p. 257).

Su queste considerazioni si chiude la parte II e si apre la terza, dedicata alla peste. Anche in questo caso il primo elemento d’interesse riguarda il romanzo manzoniano, accuratamente analizzato nel paragrafo Peste e cappuccini ne I promessi sposi (p. 269): la citazione di ampi brani dell’opera di Alessandro Manzoni permette a Di Ciaccia di offrire al lettore le coordinate di un discorso che mira a collegare la vicenda letteraria trattata nel romanzo a quella reale, in particolare in relazione all’operato dei cappuccini che «non solo prestarono servizio nei vari lazzaretti, ma furono essi i principali attori in campo e i più numerosi in attività di servizio continuativo e per tutta la durata dell’epidemia, dal mese di marzo del 1630 fino al mese di febbraio del 1632» (p. 275). Mette conto notare, a tal proposito, un elemento interessante che interviene ad arricchire la trattazione dell’autore, e cioè la presenza in tutto il corpo del libro di eleganti immagini e riproduzioni di opere; queste ultime, infatti, consentendo di avere contezza visuale di quanto descritto nel testo, permettono non solo di avere immediatamente idea delle condizioni vissute nel XVII secolo nel corso dell’epidemia di peste, ma anche di garantire una valorizzazione maggiore delle descrizioni presentate dall’autore.

Il paragrafo Peste e frati cappuccini nel Cinque-Seicento (p. 337) chiude, nei termini appena delineati, il primo capitolo della terza sezione e apre alla seconda partizione, di stampo prettamente storico e dedicato all’attività di personaggi come Felice Casati. Anche in questo caso la trattazione si alterna alla rievocazione di passi de I promessi sposi, come dimostrano i paragrafi La “traversata di redenzione” di Renzo, o lo specchio del “ragionamento” (p. 382) o Il “sogno” di don Rodrigo (p. 398), ma ritorna, in chiusura, all’elemento storico, attraverso l’analisi della figura dell’untore in merito alla quale Di Ciaccia segnala come già Manzoni parlasse di «“pazzia”, a proposito di certe idee circolanti» (p. 419).

L’analisi dell’autore si snoda attraverso i processi subiti da innocenti lavoratori e si propone di valorizzare l’operato dei cappuccini, «più inclini ad andare dietro ai sofferenti che alle fanfaluche» (p. 427), anche in opposizione a quello del tribunale dell’Inquisizione, dove pure è possibile scorgere una luce grazie alla figura di Federigo Borromeo che, «pur incline alla credenza della peste demoniaca, [ha] operato con discernimento e oculatezza, quando erano in causa persone reali che egli riteneva di dover difendere dalla dissennatezza di forsennati cacciatori di streghe» (p. 439).

Chiude la terza parte, e con essa il volume, un’appendice dedicata all’assistenza offerta dai cappuccini in occasione della peste del 1630, cui fa seguito un ampio apparato paratestuale, composto da un Indice dei testi citati o menzionati (p. 485), dalle Indicazioni bibliografiche (p. 513), da un Indice dei nomi di persona (p. 525) e infine da un Indice delle illustrazioni (p. 543), presenti in tutto il volume con un totale di sessantaquattro tavole.

Picenum Seraphicum-Rivista di studi storici e francescani (ISSN 0392-1689, E-ISSN 2385-1341) si propone di portare un contributo alla comprensione del significato storico della presenza francescana in un’area regionale. Per svolgere questo compito Picenum Seraphicum è attenta alla rete di rapporti intercorsi tra francescani e altre realtà ecclesiastiche marchigiane. Il contesto rilevante per una miglior comprensione delle vicende del minoritismo nelle Marche include l’ambiente economico, sociale, politico e culturale in cui le presenze francescane si inserirono, collocandosi in una trama di influssi reciproci. La rivista di conseguenza vuole essere un luogo di incontro tra diverse tradizioni storiografiche, con grande fiducia nella capacità di dialogo degli esperti.

Gioele Marozzi, recensione di Francesco Di Ciaccia, Guerra carestia peste con i frati cappuccini nell’opera manzoniana, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2020 (Centro Studi Cappuccini Lombardi. Nuova serie, 6), 549 pp., in «Picenum Seraphicum - Rivista di studi storici e francescani», vol. 34 (2020) 208-210.

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