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La donna del ventesimo secolo
“Secolo breve”. È Hobsbawn a definire così l’arco di
tempo compreso tra il 1914 e il 1991, dalla prima guerra mondiale al crollo
dell’Unione Sovietica. Rapido, terribile e difficile da descrivere per la
sconvolgente metamorfosi che lo caratterizza. Anna Gertrude Pessina, in La
donna del ventesimo secolo, di quest’epoca analizza caratteristiche e
ruolo della figura femminile, scegliendo come inizio il periodo in cui regna il
cancan e come momento conclusivo quello in cui impazza e trionfa il
charleston. Da un ballo in cui la donna è soprattutto corpo da offrire allo
sguardo più o meno morboso dello spettatore a un tipo di danza che vede il
cosiddetto “sesso debole” in una posizione più elevata e, comunque, pur sempre
inferiore e ben lungi dall’essere paritaria a quella dell’uomo.
Il punto di vista dal quale la studiosa napoletana esamina
e registra mutamenti è decisamente lontano dai paradigmi e dai pregiudizi
ideologici che, a suo avviso, hanno inquinato la ricerca orientandola, di
volta in volta, in direzioni unilaterali e distorte; è un’arena sulla quale
puntare il suo obiettivo come si fa con un fascio di luci indirizzato verso un
palcoscenico sul quale, una dopo l’altra, si alternano donne che, per la parte
rispettivamente recitata, risultano emblematiche e chiarificatrici di quanto
accade nell’universo femminile nel corso del secolo in questione. Si vedono
sfilare, in successione: Contessa Lara, La Bella Otero, Lina Cavalieri,
Margaretha Geertruida Zelle, Mata Hari, Matilde Serao, Carolina Invernizio, Sibilla Aleramo, Ada
Negri, Amalia Guglielminetti, Rosa Luxemburg…
Dalla donna amante, bella e
fatale, alla spia; dalla prima titolare di una casa editrice alla scrittrice
di noir rosa; dalle tre signore della scena letteraria all’apologeta
del riscatto femminile e, infine, alla femminista rivoluzionaria e scienziata.
Pessina scrive: “La prima guerra mondiale” è da considerarsi “un
acceleratore di trasformazioni”: l’abbigliamento è stato “indizio di
sdoganamento”; “la moda e la danza“ hanno espresso “un codice di trasgressione”;
il teatro è diventato, per le donne archetitpo di “sghettizzazione”.
L’indagine, pur sorretta da documentazione rigorosa, è
tuttavia condotta, dalla poliedrica intellettuale napoletana, con leggerezza,
con invenzione misurata e con il suo inconfondibile e geniale registro
linguistico; tanto che il saggio, pur ricco e degno di ben figurare in un elenco
di testi universitari all’altezza della loro funzione, risulta godibile alla
stessa stregua di un romanzo.
Pessina ha realizzato in pieno lo scopo dichiarato nell’ouverture
dell’opera: “Il presente ha la pretesa di esulare da conformismi vieti per
attestarsi a ciclo di conversazioni… […] Mi stimola l’ardire di affrontare il
problema da un’ottica, se non rovesciata, prismatica e caleidoscopica.”
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Recensione |
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