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La poesia nasce dalla poesia. Ne danno conferma i versi intensi e ben
costruiti di Parole d'ombraluce, l'ultima raccolta di Giorgina Busca Gemetti,
artista sensibile e colta, avvezza a catturare e a coinvolgere, allo stesso
modo, sia il lettore comune che il critico raffinato ed esperto. La poetessa fa
il punto su un presente che, indifferente, precipita, sempre più in fretta,
verso l'autunno buio e irreversibile. Analizza, con lucida e mai compiaciuta
amarezza, il cammino percorso: ne coglie le ombre, le luci, le contraddizioni,
le angosce... Ha paura, anche se non lo confessa mai. E, tuttavia, non riesce a
celare l'inquietudine che la tormenta. Si sente sola, incompresa, impotente,
prossima alla sconfitta. Solo la letteratura è in grado di salvarla. Perciò
chiede sostegno e forza a quanti, nel passato e nel presente, hanno saputo dare
forma e dignità alla pena di 'esserci', all'inganno della caduta dentro il
ghiaccio di un'esistenza le cui ragioni, da sempre, si nascondono e le cui ore
continuano a frantumarsi in momenti troppo dolorosi e insostenibili. E riceve
risposte che, se pure non cancellano le sue sofferenze, riescono almeno a
renderne più tollerabile il peso. Saffo, Ibico, Teognide, Mimnerno, Virgilio,
Orazio, Carducci, Pascoli, D'Annunzio, Rilke, Kavafis... non rimangono muti di
fronte alla sua richiesta di aiuto: accettano di dialogare con lei, di
raccontarle tutto quello che sanno: forse anche di più...
Giorgina Busca interroga con umiltà, ascolta, apprende: riassapora favole già
a lungo frequentate, allo scopo di coglierne ulteriori messaggi, di
scandagliarne le verità non ancora del tutto comprese. E le basta. Altro non
domanda per riprendere il viaggio all'interno della propria anima, per
auscultarsi con strumenti più sottili e adeguati, per meglio modulare la propria
voce. Senza fare il verso a nessuno. Con un linguaggio limpido e controllato:
inconfondibile per l'armonia che l'attraversa e ne garantisce l'originalità.
E vero: sotto di noi sta l'ombra, che nasconde il vortice letale; il buio
soffoca, ottunde la mente, sulla via senza meta; l'attimo fugge
inesorabilmente... Ha ragione la poetessa quando dice di sentirsi smarrita,
zattera abbandonata alla deriva, ignara dell'approdo; di aver perso le coordinate della propria
identità; di ritenersi assai meno fortunata dei gabbiani che ignorano l'angoscia
e volano appagati d'infinito; di scoprirsi monade inconsapevole, chiusa nel
segreto di una monade ignota. Né esagera quando, lanciando un rapido sguardo
alla storia e alla natura, è costretta a elencare nomi che hanno il suono
sinistro della crudeltà e della morte: Bagdad, Nassirya, Beslan, Shoah, Foibe,
Tsunami...
Ma il prendere atto dell'ottusa ineluttabilità del male radicato come
inestirpabile gramigna dentro gli uomini e le cose, mai si trasforma in un alibi
atto a sostenere le ragioni della resa. Giorgina Busca non cede alla
rassegnazione. Lei conosce la formula segreta per trasformare le parole in
musica vivificatrice e sublime. Questo le dà vigore, la rasserena. Vincerà,
dunque, la solitudine e la malinconia plumbea dell'inverno. Varcherà la soglia
dell'Inconoscibile. Chiederà perdono a sua madre.. Riceverà, finalmente, le
carezze a lungo attese. Sarà di nuovo gemma a primavera. Non morirà. Si
trasformerà, anzi, in bianco uccello. E ritroverà Eros, l'immortale che rivela e
illumina l'immenso, la forza vitale che genera l'universo e anima lo spirito.
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Recensione |
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