|
Con una tematica che si avvale di principi universali che nel corso dei giorni hanno contribuito a limare la primitiva rozzezza dell'uomo, rendendola sempre più simile al candore del fanciullino per un insito desiderio di chiarezza gelosamente celato, si dipana la poetica di Roberta Degl'Innocenti.
La maturazione avviene per gradi, perché la natura non fa salti, ma procede con lenta ma inevitabile progressione. La nostra poetessa segue quest'andamento. Non assume nessuna altra forma che non sia la sua, partendo dall'esame esaltante ma altrettanto doloroso delle sue intime frustrazioni, delle periodiche concessioni ai giorni, ai quali regala gelosi bocconi di sé. Niente di nuovo sotto il sole, una generazione va, una viene. Il mondo gira sempre nello stesso verso. Gli uomini lo abitano, credendosi eterni e tramandano il loro indistruttibile ego ai figli e ai figli dei figli servendosi di opere e fatti. Ma il sole sorge ogni mattina e tramonta ogni sera, negli stessi punti cardinali. Si aprono e si richiudono le finestre nell'identico modo. I poeti lo sanno, anzi lo temono e si servono di questo infallibile calendario naturale per incidere i giorni sulla pelle. Parlano di sé anche se non lo vogliono ammettere, rovistano fra ceneri mai spente, si nutrono delle loro esperienze per esaltare o distruggere e seguendo il sole aspettano il buio. La vicinanza di noi stessi non dà felicità, anzi la nega perché genera la consapevolezza della propria identità adulta e risolta attraverso le innegabili dolorose esperienze dell'addio al passato. La Degl'Innocenti lo ammette con reticente umiltà. Appoggia la testa sul davanzale della finestra e guardando la parabola del sole, divide la giornata in fasi alterne.Asciutti sintagmi dal periodare sommesso che gridano il timore della notte. Allora nel suo percorso amaro e struggente si distaccano i periodi della vita, lenti giustizieri del sentimento. E lei dà l'addio al passato. Lo chiama, lo evoca e lo rifiuta. Il percorso pretende che la terra completi il suo giro intorno al sole. La finestra si apre alla mattina e si chiude alla sera. La sua "Antica casa dispone di quattro mura di cartone....e rossi gerani alla finestra", ma lei solo talvolta "si concede come una cortigiana ai suoi ricordi...perché in un impossibile ritorno, sfiora nella notturna quiete, bambole di pezza che il tempo non ha sconfitto". Il Natale arriva puntuale ogni anno, "ma dei tanti giorni spesi a tessere magiche trame, niente è rimasto.... e meglio sarebbe un Natale da non recingere nella stanza". Le emozioni e le percezioni mettono a soqquadro un clima di apparente calma, mentre "le voci impercettibili nate dall'intimo crescono e s'impongono a sovrastare la voce del silenzio". La Degl'Innocenti allora con il suo facile periodare che sembra scaturire da sensazioni ancestrali, arrivare a controllare le prime alle quali dare l'addio è più difficile. Così nei "Primi Versi" che creano attimi di incontrollabile tensione si scopre "Maschera": "in una sequenza di gesti, di false e derisorie parole: imitazione di felicità", mentre nella riscoperta realtà "riesce a sorridere della sua tristezza, della sua stupidità e persino della sua disperazione". A questo punto del tragitto in un malinconico andare si lascia prendere dal sonno "che come ironico folletto insegue, circonda e vince". L'addio pretende l'ascolto e dichiara l'uomo risolto. Portare alla bocca una bambola di pezza senza ricordare, stringere il mazzo dei papaveri senza macchiarsi di rosso e sorridere al sole, mentre tacciono gli echi ribelli di furtive memorie forse è la più catartica delle accettazioni di un percorso iniziato attraverso l'anima, inseguendo chimere. |
|
|