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La fase conflittuale nella poesia di Veniero Scarselli
La poesia di Veniero Scarselli, nel periodo che Rossano Onano ha
chiamato della "Trilogia" e che comprende Pavana per una madre defunta del
1990, Torbidi amorosi labirinti del 1991 e Priaposodomomachia del 1992, prima
comunque di Eretiche grida del 1993, si è manifestata come una continua
travolgente performance, se con il termine si vuole indicare un'azione
drammatica, coinvolgente e fuori dagli schemi. Fortemente trasgressiva, la sua
poesia si compiaceva di questo suo essere, quasi che il degustare termini privi
di innocenza, talvolta dissacratori delle poche verità delle quali l'uomo
dispone, costituisse per il Poeta un particolare godimento estetico, addirittura
fisico.
Esaminando dunque questo percorso poetico da Pavana ai Labirinti fino
alla tanto discussa e provocatoria Priaposodomomachia, si constata un crescendo
di emozioni discordanti e conflittuali, quasi che, irretito suo malgrado nei
lacci della sua stessa ricerca, ne auspicasse l'apertura all'esterno. Ma ormai
il gioco del conflitto aperto con il mondo, costituito di mostruose difformità e
ossessionanti figure dai carpenti sorrisi e dai fetidi aliti, era iniziato e,
troppo pesantemente portato, non consentiva più una uscita liberatoria. Allora
Veniero Scarselli, dal polso forte e dalla sensibilità raffinata, si è lasciato
trasportare dai suoi temi, che lo hanno visto scendere fino all'ultimo scalino
di una scala drammaticamente scoscesa e pericolosa. La raffigurazione della
donna in questo conflitto, mostruoso per la doppia piega che stava prendendo,
era sempre più acuta, violenta, quasi schizoide: tetro e vulnerabile, il Poeta
si presentava così alla lettura travolto dalla sua stessa follia, e desideroso
di uscirne. Ormai comunque il cammino era segnato: la sua poesia seguiva uno
svolgimento logico, tutti i gradini dovevano essere scesi per poi risalire da
un'altra parte. Il suo stesso habitat al di fuori del mondo, il piacevole orrido
dal quale era invaghito e insieme allontanato, segna in questa fase il ritmo
della sua poesia, amara, conflittuale, segmentata, quasi paranoica per
l'avversione inconsapevole – richiamantesi ad antiche proposte edipiche – verso
la donna e la madre che ne riassumeva la forma. Veniero è sconvolto da questo
atteggiamento, ne avverte la tragicità, ma subisce tuttavia il fascino
dell'orrido, che travolge e rispecchia i nostri sentimenti più inquinati dei
quali vogliamo liberarci ma che non osiamo esternare. Lui per liberarsi
dell'orrido ha dovuto gradatamente scenderlo, quasi un viaggio di ritorno, o di
andata, verso quell'inconscio che tutti noi prudentemente non palesiamo per
ipocrisia e timore di venire giudicati.
Ma perché la donna è la mostruosa creatura della quale Veniero vuole
liberarsi e della quale tuttavia sente la preponderante superiorità?
(Superiorità che con ogni probabilità l'uomo ha subìto sin dal momento in cui si
è reso conto di essere schiavo della femmina cui portava gli animali cacciati e
ai cui piedi si prosternava, vittima dell'eterno feminino) Veniero Scarselli, il
ricercatore, lo scienziato, cerca di ridimensionare questo sentimento di amore e
odio che travolge i maschi, e lui stesso che ne rappresenta la specie; cerca di
individuare la causa di questo affascinante e inconsapevole turbamento che gli
presenta la donna come un essere mostruoso fagocitante nel suo grembo i
sentimenti, le paure, i rancori, le ansie, in quanto madre e generatrice di
altre vite. Sotto questo punto di vista, senza di lei scomparirebbe il genere
umano e con la sua estinzione anche i tribolanti effetti che si vengono a
generare, ma allo stesso momento non esisterebbe dolcezza filiale, né idillio,
né delicati sentimenti; la sua forza è la sua debolezza, poiché dal suo grembo
hanno origine anche gli aspetti migliori dell'uomo. Di qui l'odio e l'amore per
la donna, che per Veniero diventa la terra, la natura, la fusione con il creato.
Creato del quale il Poeta subisce forte dipendenza, poiché come biologo ne
studia le variabili, le infinite mutazioni, e come poeta ne subisce la
dipendenza estetica, quella che via via traspare dalle sue pagine in un
drammatico agitarsi.
Tuttavia, accanto alle esegesi scientifiche del Poeta, che offendono
la nostra capacità di ascolto, il Veniero mistico erompe prodigiosamente vivo
quando esplode con versi esplicitamente dichiaranti la sua ricerca di Dio in una
confusa attesa di liberazione: Quell'insaziata idea di Bellezza | che ci
costringe a cercare tra i rovi | della materia informe e spinosa |
freneticamente l'ordine delle cose | per possedere solo pochi istanti | della
luce di Dio. Allora tutto il suo amaro destreggiarsi fra parti anatomiche
mostruose, tutto il suo irrigidimento verso la madre da lui teneramente amata e
resa oscenamente pubblica con provocatorie immagini, è finzione, disperata
finzione di chi si crede diverso dagli altri: in realtà, abbandonata la veste
dello scienziato, è semplice uomo in preda alla disperazione, nella ricerca vana
ed eterna del Vero. Lui come noi, ma con meno ipocrisia e più onestà.
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Recensione |
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