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Mi pare di rilevare dalle novelle di Giunta un rapporto di sincronia e diacronia nello stesso tempo, tra l’essere come condizione quotidiana della vita e l’esistere come dramma dell’essere, come tragedia dell’essere. Non vorrei autocitarmi perché tutto quello che avevo da dire, per lo meno al momento della lettura, è scritto nell’introduzione al libro. Certamente questa serata, dopo quello che ha detto Mario Sansone e Francesco Mercadante che hanno configurato anche delle strutture portanti delle componenti , diverse, divaricate da quelle che io ho cercato di individuare nell’introduzione a questo libro, mi suggeriscono qualche altra riflessione critica su questa raccolta, su questa silloge di Giunta.

Una prima considerazione da fare e mi viene suggerita da quanto ha detto Mercadante è la scrittura semplice, la parola immediata non filtrata attraverso elaborazioni e mistificazioni letterarie. In proposito sono perfettamente d’accordo con Mercadante, l’ho anche scritto e pubblicato, circa quanto ho detto sul romanzo di Consolo Nottetempo, casa per casa. Non ho quindi difficoltà a confermarlo. Quindi di fronte a tale tipo di sperimentazione, così in voga, così di moda oggi, che rappresenta una forma di super affettazione della parola, il fenomeno Consolo; a mio giudizio abbastanza contiguo a quello di Bufalino per esempio e all’ultimo Bonaviri. Non casualmente stiamo parlando di tre scrittori siciliani. Quindi, dicevo, è abbastanza singolare, abbastanza strano che mentre da una parte c’è questo tentativo di super affettazione linguistica, di proliferazione della parola fino a diventare “altro da se” e poi “altro ancora” in un gioco di scatole cinesi, dall’altra parte c’è un tipo di realismo – come ha detto Sansone – da cui muovono questi racconti di Giunta. Allora vorrei dire che a questo punto ci troviamo di fronte ad una sorta di “contro sperimentazione”, nel senso che se da una parte gli scrittori siciliani che abbiamo nominato finiscono per sperimentare sulla parola tutto quanto non è possibile sviluppare lungo il tracciato, lungo il transito dei contenuti – fermo restando quello che diceva Sansone a proposito della “unitarietà” e della capacità di “convergenza” e di “coninvolgimento” che oggi la forma ha sul contenuto e il contenuto sulla forma e del resto il Maestro m’insegna che il De Sanctis diceva: “Tal contenuto, tal forma” – e quindi era qualcosa che già anticipava i tempi di queste realtà solutorie. Ma in che cosa consiste questa “contro sperimentazione” che troviamo in Giunta in questo suo linguaggio scarno, un linguaggio essenziale, che parte da una condizione, da un dato di fatto, da una nozione della realtà come, appunto, accade in tante di queste novelle, per poi trasmigrare in un mondo che non è quello dell’immaginato ma è quello dell’immaginario senza mai perdere di vista la “scala della realtà”, come diceva il famoso filosofo e come ricordava un noto libro di saggi del nostro caro Carlo Bernari, scomparso da poco, intitolato Non gettatemi alla scala, proprio a verifica e conferma della necessità di restare ancorati alla terra, radicati al pianeta anche nei momenti in cui il volo e l’impatto con l’immaginario sembra rappresentare una grossa capacità, una grossa forza di suggestione.

Ora da questa “contro sperimentazione”, che “riduce la parola” – diceva Roland Barthes – “au degré zéro de l’écriture”; qui non siamo al “grado zero” ma siamo ad una gradualità media della parola, del linguaggio
della scrittura, da tutto questo emerge una capacità di tradurre, di trasformare in forma letteraria tutto quanto appartiene alla nozione del vitale quotidiano. Dietro tutto questo mi è sembrato giusto ricordare certe matrici vicine e lontane nelle novelle di Giunta che possono identificarsi in una linea Pirandello-Svevo che, a voler poi superare i confini della Sicilia o di Bonn, a voler superare i confini della Trieste sveviana, ci riportano direttamente ad una configurazione di uno dei più grandi personaggi che la mitteleuropa decadente abbia creato e cioè a Ulrich, il protagonista de L’uomo senza qualità. Bisogna stare attenti: pensare e alla conclusione della Coscienza di Zeno di Italo Svevo; pensare alla conclusione de Il Castello o de Il Processo di Franz Kafka non fa differenza, cioè pensare questa coscienza della propria vittoria; non dico superiorità perché altrimenti entriamo in una sfera ideologica diversa, ma a questa capacità potenziale di far trionfare l’io profondo in una condizione di negatività della vita e della storia. Questo è un processo che Giunta ha capito, ha recuperato pur fra quelle disfunzioni linguistiche anche di contenuto spesso, di cui aveva fatto cenno Mercadante. Il traslato, il passaggio, il tramite, la mediazione mi sembrano abbastanza chiari, abbastanza evidenti cioè l’accentuazione della propria inferiorità e quindi l’accentuazione anche di essere vittime della vita, della storia in fondo questi personaggi delle novelle di Giunta finiscono per essere degli sconfitti della vita e della storia; quando il sessantottismo, quando il terrorismo passa su alcuni di questi personaggi li rende completamente indifesi, completamente inermi. Però attenzione che ciò è una mancanza solo apparente di quei meccanismi di difesa che una letteratura di questo genere non va a cercarsi nel vittimismo puro e semplice ma va, invece, a recuperare, a trovare proprio nelle forme di riscatto dell’io profondo che finiscono poi per individuarsi in questo rapporto – di cui dicevo – tra l’essere come vita e l’esistere come tragedia dell’essere. Tutto questo viene realizzato con una scrittura, con una parola che è quanto più semplice vi possa immaginare. Aveva ragione Sansone quando prima ricordando l’importanza della parola, è arrivato a dire che: “la parola è tutto”, che “dietro la parola, senza la parola c’è il nulla più totale. Assoluto”.

Ecco, dicendo questo, evidentemente ha voluto anche dare alla parola stessa un altro significato. Sansone mi è sembrato anche leggermente polemico nei confronti delle accentuazioni di questo problema e delle prevaricazioni che il discorso strutturalista poi ha finito per produrre perché ha perso di vista quello che poi sono i segni, i contenuti e quindi i significati dell’opera. E qui torniamo a Consolo di Nottetempo casa per casa dove tutto si verifica con enorme evidenza.

Questa ultima riflessione, in aggiunta a quello che dicevo nell’introduzione a queste novelle e come stimolo e suggerimento che è venuto da questa serata, accanto a quanto io dico di positivo nell’introduzione vorrei aggiungere quest’altra nota di merito a questo libro che è quella di avere saputo recuperare, registrare nella propria vita, nella propria esperienza di scrittore questa figura, che è tutt’altro che sbiadita, dell’uomo contemporaneo, dell’uomo che subisce, dell’uomo che tollera, dell’uomo che vive la minimalità della vita e del quotidiano senza apparenti reazioni o ribellioni però, nello stesso tempo, con lo stimolo e quella forza potenziale che viene, appunto, dalla scrittura e che viene dalla letteratura. il fatto che Giunta – e lo sappiamo tutti – abbia abbandonato, abbia rinunciato a qualcosa che appartiene alla prassi del vitale quotidiano per quello che sentiva dentro, al bisogno di esprimere, di fare meglio, sta a significare proprio un processo evolutivo della coscienza del letterato, dello scrittore che, certo, non a tutti è riuscito. Al povero Svevo, al povero Kafka non sono riuscite cose di questo genere ed essi hanno dovuto alternare, in una bivalenza dolorosa e angosciosa, il vitale quotidiano che era negli uffici, nella prassi della vita, con quella che era il lavoro alternativo, proprio, individuale, soggettivo a tutto questo. La forza e la capacità di penetrare, di entrare, di immettersi nella realtà venendovi fuori e poi rientrando, tutto sommato, rappresenta la gioia, la felicità dello scrittore, “le plaisir du texte”, il piacere della lettura che non rappresenta mai il narcisismo perché il momento in cui si formano quelle manifestazioni di autofagogitazione della parola, che si rispecchia nella bellezza estetizzante della parola che si è costruita, allora si perde completamente di vista la realtà e non si può usare più quella “scala” che è tanta necessaria, invece, per recuperare quello che io chiamo nell’introduzione al libro di Giunta il “reale concreto”.

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