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Ombíe

La poesia come inquietudine e malinconia

Da molti anni Lilia Slomp Ferrari si dedica alla poesia in dialetto trentino e in lingua, interprete di se stessa e del mondo che la circonda. Rivela sensibilità diverse nell’unicità e nell’originalità di persona, differenti modi di cogliere la realtà, varie sfaccettature del sentimento, affonda nelle radici delle emozioni. Sia le precedenti sillogi poetiche in lingua: Nonostante tutto, Controcanto, Leggenda, All’ombra delle nove lune, Come goccia di vetrata che quelle in dialetto: En zerca de aquiloni, Schiramèle, Amor porét, Striarìa sono pubblicazioni che, valide di per se stesse, hanno costituito la palestra per l’affinamento della forma e della versificazione. Il che si concreta in Ombrìe, il recente volume lirico dove la poesia ammalia e inquieta, rivelando un’invidiabile omogeneità stilistica e una ricca varietà di tematiche. Certamente primaria è quella dell’amore, affrontata in parecchie composizioni; particolarmente importante è la dedica allo sposo Paolo come lo sono altre liriche a lui ispirate. In esse la passione si unisce alla tenerezza, si alternano il brivido erotico e la serena quotidianità di una lunga vita condivisa, un romanticismo che rinverdisce gli ardori e gli incanti della giovinezza.

Me spègio come ’n pòpo ’ntéi to òci
che i gà robà al mar el so color
senza parlar te digo: te vòi bèn

te ’nvènto ‘ntrà le nùgole ’l seren
la nòt dei pradi alti, quel slusór
de stéla che te nini sui ginòci.

Mi specchio come un bimbo nei tuoi occhi | che hanno rubato al mare il suo colore | senza parlare ti dico: ti voglio bene || ti invento tra le nuvole il sereno | la notte dei prati alti, quel bagliore | di stella che culli sulle ginocchia.

Sono presenti quadri di costume che gettano lampi sulla società agraria del passato, ne descrivono gli ambienti naturali, i vecchi villaggi, le case con antichi ballatoi, le atmosfere psicologiche e i personaggi definitivamente scomparsi: le lavandaie e le contadine, nelle stalle le lavoratrici a maglia, le cròmere: ambulanti che vendevano oggetti lignei per la cucina, le madri fattrici di numerosissimi figli, dedite alla spossante vita di casalinghe. Quella della poetessa rappresenta una memoria storica partecipe, e insieme, una nostalgica testimonianza.

La cròmera la sa el zich del vènt
la cognós l’us che no ’l s’à spalancà
la scràizera ’n l’antàna l’è ’l lament
de ’n tèmp che l’è oramai desmentegà.

La cròmera sa l’urlo del vento | conosce l’uscio che non si è spalancato | la scràizera in soffitta è il lamento | di un tempo che è ormai dimenticato. (scràizera: portantina di legno).

Molto intensa è la lirica Feride, incentrata sulla solitudine, un sentimento che ritorna, a volte velato, in altre composizioni. Solitudine, struggente malattia dell’anima che come un tarlo lacera la società odierna, che ai rapporti amicali antepone il culto dell’individuo, isolato nel proprio limitato universo. Quella di Lilia è anche e soprattutto la solitudine del poeta che, pur aperto al mondo, si ritrova solo nelle proprie riflessioni, nella percezione dei sentimenti, nell’analisi della vibratile sensibilità. E il poeta questa dolorosa solitudine la riversa sulla pagina, ma non la condivide nella vita quotidiana, anzi la cela agli altri, riservandola con estremo pudore a se stesso. Questo è l’itinerario che il poeta conduce giorno per giorno e che lo allontana dalla gente, ma lo affina spiritualmente. Un itinerario che non ha la funzione di erigere un muro d’orgoglio, ma è invece essenziale all’uomo di pensiero, all’artista e, più specificamente, al poeta per vivere il più intimo se stesso. Nell’accuratissima e centrata “Presentazione” Elio Fox coglie appieno questo fattore psicologico: “Apparentemente estroversa, (l’autrice) in realtà non lo è affatto, è sempre alla ricerca di sicurezze e di conferme. Vive, come tutti i veri poeti, la sua inquietudine intellettuale”.

A questo punto, mi sia permesso aprire una digressione per rilevare che l’opera realizzata dal poeta presuppone l’immersione di questi nella propria anima. Nel contempo, come genialmente sostiene Percy B. Shelley, avviene l’adesione all’anima universale che corrisponde a “quel grande poema che tutti i poeti, come i pensieri di un’unica grande mente cooperanti tra di loro, hanno continuato a costruire dall’inizio del mondo”. Lo stesso percorso viene compiuto dal critico nella marcia d’avvicinamento al poeta, nel tentativo di aderire a lui, pur restando autonomamente se stesso. Nel riprendere l’esame della silloge, rilevo che nell’arco dell’esistenza e della produzione lirica, la scrittrice ha proseguito la sua maturazione di donna e di artista. Mediante l’invenzione della parola ella ha espresso una poesia palpitante d’immagini, di metafore e di suoni. Pertanto, con la parola ha compiuto l’ascesi spirituale che, soprattutto, si manifesta nel grande tema esistenziale, di cui la raccolta è impregnata.

Gnanca na carezza sora la piaga
nòt dopo nòt al sol engremenì.
De là de la coltrina, terlaìne
de ragni da la cros empresonadi.
Perché fiori de angóssa Sioredio?
Perché no gh’è pù vòia de zugar?

Nemmeno una carezza sopra la piaga | notte dopo notte al sole intirizzito. | Di là della cortina, ragnatele | di ragni dalla croce imprigionati. | Perché fiori d’angoscia Signore Iddio? | Perché non c’è più voglia di giocare?

Lo sguardo di Lilia sempre di più è volto all’interno di se stessa a cercarsi, a porsi domande, a scavare le emozioni viscerali, a penetrare gli oscuri meandri psichici. In questa prospettiva, ella rievoca la sua infanzia nel rapporto profondo con la madre e, in particolare modo con il padre, al quale è unita da una singolare tenerezza e da un teso struggimento. Ciò si evidenzia in Passi, una composizione di particolare bellezza, giocata sul filo della memoria, ricca di suggestive immagini liriche.

Te savevi la lengua de le fade,
i passi ’ntéi ziéli dei aquiloni,
te gavevi en prest tuti i segreti
scondudi d’istà soto le zope.

Tu sapevi la lingua delle fate, | i passi nel cielo degli aquiloni, | avevi in prestito tutti i segreti | nascosti d’estate sotto le zolle.

C’è una composizione a me particolarmente cara, che mi penetra le arterie e la mente, mi commuove l’anima. È “A Lucia”, tutta incentrata e dedicata alla mia sposa, che fu legata a Lilia da una duratura, profonda e ricambiata amicizia.

Gh’è ’n girasol che ’l pìndola stranì
su la stropaia fonda de l’angóssa.
E penso a ti, Lucia, ombra de zald
girandola de ale che le sponze.

C’è un girasole che ciondola stranito | sulla staccionata fonda dell’angoscia. | E penso a te Lucia, ombra di giallo | girandola di ali che pungono.

In questa silloge segnata da un’alta ispirazione, spesso affidata alla memoria, la fonte del lirismo proviene dalla spiritualità, dalle profondità viscerali che generano le ombrìe presenti in gran parte dell’opera. Sovente è citata la parola anima a mettere in luce una forte interiorità, nei versi appare di frequente il termine ombrìe a indicare, oltre che le illusioni cadute e i sogni evaporati, la nostalgia, la tristezza e un tormentato crepuscolo esistenziale. Elio Fox ha analizzato il tema con giustezza; così egli scrive: “Dobbiamo infatti rammentare al lettore che le ombrìe di Lilia vengono da molto lontano e che sono sempre state presenti in tutto l’arco della sua poesia. Questo libro in un certo senso rappresenta l’approdo, l’elemento terminale che le condensa e le riassume. E le vivifica”. È certamente vero; e io credo che l’anima di ogni artista sia permeata di quell’intensa, oscura malinconia che è all’origine del flusso poetico. Esiste un filone importante che serpeggia nelle liriche, talvolta sotterraneo, talvolta chiaramente visibile: è il mistero interno alle ombrìe, che le pervade e le rende inquietanti. Un mistero che, appartenente a ogni individuo, lo marca indelebilmente, che in questa raccolta si esalta nel silenzio, si evidenzia negli aspetti del paesaggio, si cela nei segreti della natura.

L’ombrìa de la to ombrìa l’è la me ombrìa
en braz al sol, bedóla
da la scorza d’arzènt enrizzolada
come na pergamena
che spèta qualchedun col lapis fin
per contar la to storia
el to parlar en braz a le stagión.

L’ombra della tua ombra è la mia ombra | in braccio al sole, betulla | dalla scorza d’argento arricciata | come una pergamena | che aspetta qualcuno col lapis fino | per raccontare la tua storia | il tuo parlare in braccio alle stagioni.

Le ombrìe richiamano immediatamente il senso drammatico del tempo che s’insinua in tante poesie; si tratta di un sentimento denso di emozionalità collegato alla più alta e razionale coscienza del tempo. Tutto ciò fa parte del cammino umano che si dipana durante l’esistenza e che, obbedendo alle leggi della natura, volge drammaticamente verso il tramonto di ognuno. Composizione dopo composizione, prosegue l’analisi interiore a cogliere nel riflesso degli anni l’ombra della vita. La poetessa è in continua tensione psichica ad ascoltare nei sussurri, nei bisbigli il silenzio dell’ anima, lo esprime nei versi pieni d’incanto con parole tratte dal mondo della natura, al quale Lilia da sempre aderisce. Sono parole che trattengono una singolare malia, soprattutto, se riferite all’universo dei fiori che appare in moltissime composizioni. La Slomp Ferrari ne è affascinata, a sua volta affascina il lettore.

E zerco scorze ‘nrizzolade
lagrime pianzùde a ’n quart de luna
per n’altra nevegada ai ziresari
en fior…

E cerco scorze arricciate | lacrime piante a un quarto di luna | per un’altra nevicata di ciliegi | in fiore…

Man mano procede la silloge, fluisce un’esistenza fra la concretezza del reale, la fiaba del sogno, l’incanto della fantasia anche quando è densa di angoscia, di tristezza, di soave malinconia. Ricorrono frequentemente i vocaboli dolorosi, e tuttavia, Lilia può affermare come consolazione:

Ne resta el pedonar gref dei ensògni.
Ci resta lo scalpicciare greve dei sogni.

Parrebbe una contraddizione con quanto sopra scritto, ma non lo è, poiché sia la realtà, che il sogno, che la fantasia fanno parte dell’unità dell’essere. Tutto ciò è insito in Ombrìe, raccolta di spessore intellettuale e poetico, dove la versificazione raggiunge una musicalità equilibrata, grazie all’endecasillabo usato con sagacia, grazie anche alla scelta dei vocaboli dialettali di solare cantabilità. Lo attestano i versi sotto riportati, in cui la frequenza delle r genera una vibrante sonorità.

Ladroni de luméte ’ntéi biceri
demò per quela sbrìndola de istà
zugada ’ntrà morari e cavaléri.

Ladroni di lucciole nei bicchieri | solo per quel brandello d’estate | giocato tra gelsi e bachi da seta.

Con acutezza, nella Postfazione Paolo Ruffilli mette l’accento sulla grande importanza del dialetto, sottolinea infatti: “Il dialetto permette di andare più a fondo di una lingua nazionale, conduce direttamente ai sentimenti”. Prosegue poi: “E proprio il dialetto, con il suo canto aperto e la sua voce gioiosa, è capace di rappresentare con le metafore più significative quella resistenza della vita al tempo che passa”. Da parte mia, ritengo che nel primiero linguaggio materno il poeta sia più se stesso. È da rilevare che l’architettura delle espressioni linguistiche è rivelatrice delle forme linguistiche che si formano nella mente. Il che, anteriore alla scrittura e pertanto vissuto interiormente, si realizza consciamente nei temi sviluppati. In più, il dialetto esprime le proprie origini e la propria terra, la madre arcaica, la propria storia e la primaria cultura che si fanno poesia e nostalgia del tempo. È quanto è contenuto nella lirica: Dialèt, con la quale mi piace chiudere queste note di lettura. Lascio la voce a Lilia Slomp Ferrari, ringraziandola del dono luminoso della sua poesia.

Te me sbrìgoli font enté le vene
come na bissa ’n zerca de la tana
dialèt de la me tera, ninanana,
lengua s’cèta che sa ’l saór dei spini,
de l’ùa fraga, la piòza de luméte
e ’l sgól de balonzini a San Giusèpe
scampadi ai girotondi de la Féra.

Mi formicoli fondo nelle vene | come una biscia in cerca della tana | dialetto della mia terra, ninnananna, | lingua schietta che sa il sapore delle spine, | dell’uva fragola, la pioggia di lucciole | e il volo di palloncini a San Giuseppe | scappati ai girotondi della Fiera.

Bergamo, 27 gennaio 2013

Recensione
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