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Intervista a Francesco Sassetto
Francesco
Sassetto (Venezia, 1961) è un poeta veneziano che ha pubblicato due raccolte:
Da solo e in silenzio (Montedit, 2004) e Ad un casello impreciso (ValentinaPoesia, 2010). Lo incontro a Castelfranco per fargli qualche domanda e
chiacchieriamo un po’ seduti in un bar in centro davanti a un caffè. Francesco
parla di sé e risponde generosamente a tutte le mie domande raccontandomi ora
della sua vita ora della sua poesia, come se tra le due cose non ci fosse
soluzione di continuità.
La prima
cosa che mi ha incuriosito del suo percorso è che le sue pubblicazioni sono
recenti, come se la necessità della poesia – o di far conoscere la propria opera
poetica – fosse arrivata solo in un momento relativamente tardo. “I primi
abbozzi” – risponde – “sono di quando avevo 15-16 anni, e nel mio primo libro ho
effettivamente elaborato anche cose di 20 anni fa. Allora però avevo la passione
della fotografia, la scrittura era più legata allo studio, alla ricerca. Ho
ripreso le mie poesie nel 1995 in un momento di cambiamento nella mia vita
personale, le ho ritoccate, ne ho scritte altre. Le ho fatte leggere, e sono
piaciute. Una cosa molto importante per me sono stati i premi letterari: ho
avuto le prime segnalazioni e ho capito che quella era la mia strada, riuscivo a
trasmettere qualcosa a qualcuno, e questo è stato un grande stimolo per me. Ora
la prima molla che mi spinge a scrivere è ciò che vedo e che mi colpisce, e
scrivere è un bisogno, come mangiare o bere. Amo la poesia, il testo breve più
che la prosa, ho sempre amato focalizzarmi sulla parola, e il mio lavoro è
sempre stato quello di togliere le parole fino all’essenziale.”
Tra le sue
influenze Sassetto annovera non solo grandi poeti, ma anche cantautori come De
Andrè, Fossati e Guccini per l’intensità e la forza di molti loro testi. Tra i
poeti l’amato Dante, studiato per la tesi di laurea. E Montale. L’importanza
della parola, che può evocare e che è nuda, richiama subito il grande poeta
genovese, per la sua essenzialità e asciuttezza. Perché le poesie nascono da una
verità, da un’immagine che ricorda una condizione esistenziale, come i granchi
di Gransi, che si arrampicano alla barena per trovare un po’ di cielo,
che sono metafora di tante altre figure delle poesie di Sassetto, i precari, le
prostitute, i morti sul lavoro… Infatti, oltre alla delicata poesia intima, è
forte in lui l’attenzione nei confronti della società, molta sua poesia è poesia
civile.
Gli chiedo
se non è un rischio trattare temi sociali in poesia oggi, essendoci così tanti
altri canali utilizzati, dalla tv ai giornali a saggi in prosa. “L’Italia ha un
gran passato di poesia sociale, da Dante a Pasolini. Io parlo di cose concrete,
di cose che ho vissuto personalmente o visto. Devi provare tu per primo
un’emozione per comunicarla, non nasce a tavolino ma la vivi, e così non è
diversa da nessun altro argomento. La società ha creato un sistema per cui ci
sono delle vittime, che stanno pagando prezzi altissimi, ma fanno comodo, come
le prostitute che incrociavo nel Terraglio a Preganziol (Le Ragazze per noi),
o i precari di cui ho fatto parte per anni. E la poesia è semplicemente l’unico
strumento che ho per esprimere ciò.”
Venezia e il
veneziano sono le altre componenti fondamentali della poesia di Sassetto, ma la
Venezia descritta non è quella da cartolina o di maniera, e il veneziano nasce
da una necessità. “Cerco di usare il dialetto come l’italiano, lo uso quando
quelle parole mi servono, perché a volte sono intraducibili, perché hanno un
suono di cui ho bisogno, e il suono fa parte del significato.” Infine gli chiedo
cosa rappresenta il casello impreciso del titolo della raccolta “E’ il nostro
tempo. Siamo fermi ad un casello, ci guardiamo attorno per cercare un
orientamento, una direzione perché abbiamo perso le coordinate. Io non sto male,
ma penso che si potrebbe stare meglio”.
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