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Prefazione a
La panchina dei poeti. L'illusione di dialogare
di Giulio Ghirardi

la Scheda del libro

Renato Minore

"Ti piace il gioco della panchina?/ (...)/ E' un duetto di cuori,/ un intreccio di voci...". Canta così, quasi svagatamente, Giulio Ghirardi, a conclusione della Panchina dei poeti - una serie di stanze in prosa, tanto illuminanti quanto eteroclite, funamboliche per la destrezza di saper mantenere sempre vivo, al centro del loro cuore in fiamme, lo scalpore del linguaggio.

Assai più che un privilegiato osservatorio, una solitaria postazione da cui si può sperimentare, letterariamente, il peso del mondo, l'ironica, disingannata, dissacrante panchina di Ghirardi è dunque il medium per un'imprevedibile trasmutazione. La sensoriale fisicità così netta della prosa - una prosa sia pur frammentata, e che fa di una citazione del turpiloquio mozartiano quasi il crisma del proprio tormento - è il preludio, l'avvincente vorspiel per un'inedita, cantabilissima meditazione sul destino e sul tempo. Perché solo apparentemente, benché in maniera quanto mai efficace, Ghirardi è narratore e poeta degli spazi.

La sua ispirazione tende spesso a condensare il flusso immaginativo in una matericità imminente, coraggiosa e in presa diretta, radiosamente fulminea, come nel caso delle apparizioni dell'alter ego del protagonista, la Poetessa. E' come se perfino il settecentesco brulichio dei fantasmi veneziani avesse eluso la fissità della nostalgia, fluisse fuori dalla cornice di un Longhi e di un Guardi, e si confondesse tranquillamente in mezzo a noi. Provvisto di una spregiudicatezza tutta giovanile e moderna nel gettarsi nei meandri del quotidiano, nell'abbandonarsi ad essi senza timore, Ghirardi elabora una personale strategia per mimetizzarsi, e per meglio sferrare alla modernità il proprio dissenso.

"Maledetta panchina! - prorompe ad un certo punto - Poteva essere un nido d'amore. E invece ha fomentato una zuffa di malintesi, di incomprensioni, di silenzi mendaci". Necessario a questo punto risolversi nella categoria del frammento, ossia la sigla della nostra precarietà, del malessere, dell'impossibilità al (e del) romanzo. Ma forse oggi, perché una riprovazione sia più corrosiva, occorre usare le stesse armi. Eccezion fatta, beninteso, per ciò che in questa scrittura non è del tutto manifesto, a piena voce, ma si dà per indizi di indizi, "affluenti di affluenti".

La metafora del mare e dell'acqua, più ancora quella del fiume, attraversa le pagine con l'efficacia di un obiettivo sempre nuovo, intangibile e incollocabile, benché l'autore si dichiari "poeta fluviale". Così come, in un altro passaggio, il pensiero del giorno in cui una pioggia di aghi d'abete annuncerà la morte vicina lo porterà a chiedersi se sarà la propria o quella dell'albero.

Delicatezze rimbaldiane che oggi non esistono più, potremmo dire. Nelle sezioni "In viaggio con la clessidra" e "L'ora della metamorfosi", come nelle "Occhiate del tempo", la graffiante struttura dialogica lancia ulteriori sprazzi di una visibilità sottratta alle illusioni e alle miserie del presente. "Il mare contesta la dittatura del tempo.

La sua forza si vendica con la clessidra: ne provoca la caduta". E poi, in tono più accorato: "Pare che il mare abbia vinto la battaglia col tempo, che il tempo dichiari la sua parziale impotenza...". Emerge sempre più, come già nel caso della "Panchina", l'intatta libertà di uno sguardo capace trattenere la fugacità di innocenze primeve, forse quelle stesse forme dell'infanzia magica che soltanto i poeti più impavidi oggi sono in grado di rammentarci.

Esperto, realistico navigatore nei tempestosi mari della vita, Ghirardi dissemina di acute schegge liriche il suo "duetto" con l'esistere, un attualizzato campiello dove però sopravvivono solo scarne, conflittuali solitudini... Quella dell'io e quella dell'altro, certo, ma anche la persistenza dell'ossimoro. L'eros, la sporca voce di Mozart. Riecheggia nel finale "Amore ed ironia", sotto il crisma di Paolo Silenziario, e con tanto di accorato appello alla voce dei poeti... Non più spazio, allora, per il concreto Ghirardi, ma ascolto e battito profondo del tempo...

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