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Esistono ancora le lumache e le lucciole?
Certo abbiamo avuto qualche difficoltà
a ritrovare la nostra identità anagrafica dopo aver percorso gli elevati
sentieri di un mondo iperuranio dove le uniche utili indicazioni erano
indizi d'ambrosia, profumo di zagara e viole, nuvole di forma cangiante
secondo la prospettiva e l'umore, lucciole lampionaie perse nel bleu e
angeli in rotta verso i sogni dei mortali.
Né, d'altra parte, avremmo potuto
ancorarci ad un quotidiano costituito da oggetti antropomorfi capaci di
intelligere, di provare sentimenti e persino di ricordare. Così tra banchi
pensanti, roseti vanitosi e sciroccate agavi erranti, angurie logorroiche e
biro depositarie dell'immaginifico degli alunni solerti e delle insipienze
dei più refrattari non abbiamo potuto far altro che imbarcarci, da
cibernauti o asini volanti, e partire per il "Paese delle meraviglie di
Mirella". Perciò siamo diventati bambini, e abbiamo potuto finalmente
vedere, assaggiare, odorare, sentire tutto quello che le categorie del
"saggio esistere" avevano ordinato e costipato nello sgabuzzino della
memoria, tra gli scaffali del "non utile". Abbiamo dovuto assimilarci ad
inverosimili ranocchi per capire finalmente che solo la fantasia è
prefigurazione della realtà (Platone mi avrebbe dato dell'empia e tuttavia
anch'egli considerava divine le favole dei poeti). Infine un computer
esaurito ci ha detto di seguire le corna e la scia azzurrognolo-stellata di
una lumaca per la "via siderale" e, nel punto d'incontro tra l'essere e il
divenire, in prossimità del presente che non è più non è ancora, passando
per la "Piazza della Sapienza", ci siamo ritrasformati. E' questo il mondo
della Genovese, è il reale trasportato vertiginosamente verso l'alto,
divenuto lieve e patibile, perché ormai non più gravoso di un petalo di rosa
o di un soffio di zefiro. E' il sogno che cambia la vita, che realizza
pienamente il sognante, che dà corpo e senso alle fantasie più aeree. E'
l'amore che pervade ogni cosa, che salva, gratifica e rigenera. In Viola
in peplo il miracolo della germinazione può verificarsi solo nella
compiutezza dell'amore madre-figlia: è amore fecondante; è amicizia,
espressa dal grazioso e delicato motivo etiziologico della viola che, oltre
a divenire, insieme al grano, simbolo dell'alternarsi del ritmo della
vegetazione, è sogno che unisce la vita e la morte, che ribalta la clessidra
del tempo, quando l'amore "chiama e sente". Il parto d'amore di Elena Pellas
consente alla finestra del cuore di aprirsi sul mondo e scorgervi finalmente
la Bellezza, dea esiliata su un rametto d'acacia e restituita in dono a Dio
dall'angelo Tindaro Ayala. Ed è ancora l'amore speranzoso e salvifico di
Eufrosina a far guarire i santi ammalati che non le recavano più doni perché
ormai era cresciuta. I cuori dei fanciulli, infatti, possono resistere agli
attacchi demolitori di ogni inconfutabile evidenza, di ogni ragionevolissima
certezza, sanno dare corpo all'evanescenza e vestirla di trepidazione, di
fondate illusioni, di attesa. Essi continuano a sognare incuranti delle
"scadenze temporali degli adulti" (come Olimpia Camejo; come la bambina
cinese, e Geli, e Gemi nei racconti diversi, e così deliziosamente semplici,
della Pupattola), si ostinano a vedere nella nebbia e nel buio. E oppongono
ad essi, "ciechi che non vogliono vedere e sordi che non vogliono sentire",
la loro cocciuta veggenza: i miracoli accadono solo a quelli che ci credono.
E allora, finalmente, quando l'anima diventa leggera e impalpabile come una
nuvola può elevarsi vertiginosamente verso un regno collocato in una
distanza rassicurante, dove non esistono più il giorno e la notte e
l'esistere, ormai indifferente a qualsiasi forma, diventa pura essenza,
eternità di luce. Ma anche quando non è ritorno alla primigenia, paradisiaca
perfezione che non è di "questo spazio", l'amore è unico nutrimento dell'
anima, come risponde Francisco ad Alicante, che rende sazi gli uomini e che
non riceve il suo alimento neppure dalla visione dell'amata: "Principe,
rinchiudetemi in questa torre per vent'anni e sarò sempre sazio...Quando,
vent'anni dopo, fu aperta la prigione, Francisco fu trovato morto ma un'eco
ripeteva senza sosta : Azmira, Azmira".
Amore che si rassegna solo all' amore
in La bambina sotto la campana, quando Basilina deve concedere a
Zefiro l'amatissima e iperprotetta Candidina ma mai, mai alla stanchezza,
all'infermità, all' inettitudine, anche quando, in La batteria della
signorina Lucciola, di una luce che abbaglia non resta che un fioco,
intermittente chiarore.
Favole? Fiabe? Racconti mitologici?
Exempla? Testi drammatici? Che ognuno se li legga come gli pare: con la
meraviglia infantile dei piccoli o la vis materializzatrice dei ragazzi, con
il simbolismo speranzoso degli adolescenti o la misteriosofica presunzione
degli adulti.
Favole raffinatissime per la
delicatezza dei sentimenti, per la profondità dei concetti espressi, per la
versatilità dello stile, una prosa poetica dal ritmo magico che accarezza
l'occhio mentre i suoni vestono le parole di immagini. Indubbiamente un
fonosimbolismo che centrifuga un lessico estremamente vario, attinto agli
ambiti più diversi, costituito da parole auliche, tecnicismi plurilingue,
termini settoriali, modi colloquiali, ricercatezze onomastiche.
Il calderone
di una fata con dentro, ad libitum, le stregonerie di un folletto : il
sortilegio non rende immortali ma, se i santi sorridono e dalle nuvole (tra
un bagnetto e l'altro) gli angeli assistono, dona un cuore nuovo, puro,
eternamente fanciullo.
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Recensione |
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