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Nostalgia di “Dio Madre” nel pensiero poetante di Veniero Scarselli

1 .Parlare di Dio

Pensando alla poesia di Veniero Scarselli mi viene in mente la risposta che Carlo Coccioli – straordinario scrittore livornese scomparso nel 2003 – dette a un noto conduttore televisivo, in un popolare programma di intrattenimento, quando gli venne chiesto di cosa parlassero i suoi libri: «Di Dio! Di cos'altro vuole che parlino? C'è forse qualcos'altro di cui parlare?»

Certo, in Veniero Scarselli non si parla solo di Dio, ma anche di temi fondamentali e cruciali per l'uomo, come la morte, l'amore, il dolore, il male, la giustizia; così come si affrontano nodi filosofici più raffinati e complessi (tra i quali la tensione tra l'Io e il mondo, l'esistenza e la sopravvivenza dell'anima...) eppure tutto il fiume poematico delle riflessioni dell'autore, appassionatamente ramificato in "frattali" simbolici, delinea una principale corrente, costantemente diretta verso un solo, enorme estuario, che è appunto il definitivo interrogativo sull'esistenza e sulla natura di Dio. Ecco perché la citata risposta, tra il sorpreso e l'innocente, data da Carlo Coccioli, mi sembra calzare a pennello per sottolineare questo centro pulsante della poesia di Scarselli.

Tuttavia, sono tante e tali le questioni esistenziali e metafisiche sollevate dall'autore, che una sigla riassuntiva non esaurisce certo l'orizzonte interpretativo di una così vasta e profonda impresa fllosofico-letteraria. Proprio perché la materia poetica di Scarselli richiede un'attenzione non frettolosa, lo stesso autore ha voluto stamparne un'antologia ragionata, intitolata Il mio pensiero poetante, pubblicata dall'editore Genesi nel maggio 2011, in cui egli traccia lo sviluppo delle tematiche presenti nei suoi poemi, intrecciando dati biografici e inquietudini esistenziali, considerazioni scientifico-filosofiche e soluzioni poetiche, convinto che «nessuno può interpretare un pensiero poetante meglio dell'autore stesso». Ciò è vero, e se già Hermann Hesse dichiarava, net suo romanzo Demian del 1919, che «possiamo comprenderci l'un l'altro, ma ognuno può interpretare se stesso», è comunque evidente come la bellezza della scrittura risieda anche nella sua inesauribile capacità di provocare intuizioni e approssimazioni sempre nuove.

Quest'antologia ragionata è dunque preziosa per entrare più profondamente nell'officina poetica e nel teatro esistenziale di Veniero, perché ne svela gli snodi, l'evoluzione, il sottobosco motivazionale, il cozzare delle contraddizioni, lo slittare degli interrogativi verso soluzioni simboliche ardite, il tutto accompagnato da una prosa scorrevole e confidenziale, che incornicia i passi antologici tratti dall'opera scarselliana.

2.Una sensibilità biblica

Ritornando alle tematiche del "pensiero poetante" di Scarselli, esse dipanano dunque un "filo rosso" che è appunto la strenua e inestinguibile ricerca di Dio, una ricerca che, sin dal primo romanzo lirico Isole e vele del 1988, fino all'ultimo Ascesa all'Ombelico di Dio (in corso di stampa per Genesi Editrice) si contraddistingue per una costante coloritura nostalgica, una sorta di "basso continuo" che fa da sottofondo alle domande, alle invocazioni, alle ruminazioni speculative, persino alle "bollature a fuoco" che circondano la "questione Dio".

Una questione davvero fondamentale per Veniero, perché sembra radunare ogni volta, come nodo stringente, la vasta quanto omogenea gamma degli argomenti trattati nei suoi versi: il senso della morte, l'estinzione dell'Io, l'entropia della materia, l'ingiustizia regnante nel creato, l'origine del Male, il rapporto tra l'Io e il Cosmo, l'esistenza dell'anima, la questione dell'aldilà, la corruzione insita nell'umanità e nella natura, il divario tra Essere e Avere, e ancora altri temi, tutti capitali e incalzanti, che fanno però da corollario all'unico, ineluttabile tema, che è quello teologico.

Il nostro autore si impegna in questa ricerca teologica con varietà di approcci, unendo indagine scientifica a slancio mistico, ragionamento logico a frenesia erotica, sentimento infantile e vivisezione speculativa, in una tensione sempre altissima, che non censura e non smussa, specchio di una preghiera laica che rievoca, anche se in chiave contemporanea, la complessità e la varietà delle voci oranti del Libro dei Salmi. I quali Salmi, come è noto, non sono tutti di lode a Dio, ma contengono anche un gran numero di invettive, di moti di rabbia e di rimproveri, anche duri, verso il Creatore, restituendo però al lettore quell'umanità reale e quella concretezza di vissuto che attraversano la tradizione biblica. E infatti Veniero Scarselli si rivela vicino alla sensibilità biblica più di quanto si possa immaginare. Intanto egli, illustrando il suo pensiero poetante, parla di «lacerazione fra la ragione che nega e it sentimento che spera», e questa tensione e appunto inscritta nella parola biblica, nel suo tessuto umano fatto di contraddizioni, di dissidi laceranti, di itinerari di ricerca, di negazioni, di tradimenti, di semplici abbandoni. Inoltre, pur nella sua postura intellettuale di attento scienziato – ereditata dalla sua formazione di biologo – egli non risulta affatto cerebrale nella sua ricerca di Dio, perché nel suo percorso raziocinante e spesso puntiglioso c'è comunque una tale forza immaginativa ed emotiva che ogni suo ragionamento non risulta mai astratto, semmai vivacizzato da una sotterranea inquietudine.

Dunque la ricerca del divino, in Veniero Scarselli, non solo è sottilmente biblica in questa autenticità del benedire e del male-dire di Dio (la cui tensione e splendidamente rappresentata nel suo capolavoro Eretiche grida, del 1993), ma è già implicitamente religiosa in questa posizione che lega l'indagine al desiderio. Egli infatti vuole scrutare, vuole penetrare, vuole sfondare il "muro" che lo separa da Dio1 , ma non con l'atteggiamento gradasso di chi vuole legittimare una presunta vittoria della Ragione, semmai con la foga e l'urgenza di rinvenire il Dio di cui egli desidera la viscerale presenza.

3. Il Dio materno

Dunque il nostro autore sembra voler cavalcare la sua poesia "geoepica"2 come novello cavaliere alla ricerca di quel "Dio-Graal" che egli sente come irrinunciabile. Egli pere si accorge presto dell'inanità delle sue velleità muscolari e mascoline, e ripiega allora nella malinconica nostalgia del Grembo divino, della dolcezza tutta femminile di un contatto caldo, di una Presenza non certificata da teoremi, ma irradiata dal sentimento.

Su questa immagine materna di Dio sembra infatti riversarsi la tensione religiosa del pensiero poetante di Scarselli. Ma andiamo per gradi. Fin dalle prime sue opere l'autore tende a inquadrare la sua ricerca del divino su un piano logico-razionale, e l'immagine di Dio assume i contorni ora del Capobranco, ora dell'Io demiurgo, ora della Mente Universale, ora del Serbatoio di Luce delle coscienze, ora del Grande Chirurgo, e così via, tutte soluzioni allegoriche per un ragionamento che cerca di spiegare, attraverso agganci simbolici brillanti ma molto rigorosi, la presenza o assenza di Dio nell'uomo e nel cosmo. Scarselli vorrebbe innanzitutto squadernare il Dio filosofico, che trova vulnerabile alla disamina del pensiero. Attacca pertanto il Dio "motore immobile", proprio di una teologia cristiana che ha mutuato dal pensiero greco l'idea di un dio immoto, un dio demiurgo e imperturbabile. Ma nel severo tribunale della teodicea questo Dio si svuota immediatamente di consistenza e di valore, rivelando un difetto di onnipotenza e di giustizia.

Scarselli si rende conto allora che non è possibile racchiudere il senso del divino in protocolli scientifici, e nelle sue ultime opere3 tenta di deviare il corso della ricerca verso l'invenzione fantascientifica, verso la trasmutazione tecnologica dei grandi temi metafisici ed esistenziali riguardanti Dio, l'anima e l'immortalità. Se non c'è niente da dimostrare -sembra dire l'autore – ebbene, inventiamolo. Così, la "fabbricazione" delle anime digitali, con la loro ipoteca di immortalità, cerca di supplire all'assenza della Provvidenza di Dio.

In questa disfatta della Ragione, dunque, che non può rispondere al bisogno del divino con l'arsenale scientifico di cui dispone, e che neppure l'invenzione fantascientifica può soccorrere, con ipotesi fantastiche che reggono solo nella pagina letteraria, ecco allora avere più chances il misticismo, che nel residuato di verità scientifiche ritrova pieno diritto di cittadinanza. Anche la poesia di Veniero, pur nella sua architettura raziocinante, è impregnata di un caldo e sanguigno misticismo, soprattutto laddove la ricerca di Dio assume una tensione erotica che eleva l'orgasmo sessuale ad esperienza, breve quanto intensa, del divino. D'altronde, eros e misticismo sono strettamente apparentati, come attestato da gran parte della letteratura mistico-religiosa, e non solo agiografica, e da molte opere artistiche, soprattutto barocche, che mostrano un desiderio di Dio apertamente erotizzato.

Dunque Veniero Scarselli parla di Dio in diversi modi e con diverse immagini, come si è visto, in una fertile simbologia in cui l'umano, il meccanico e l'astratto si coniugano in una poematicità mai didascalica, mai pedante e, soprattutto, mai seriosa. L'ironia che attraversa it fiume dei suoi versi è infatti una costante sentinella liberatoria che scongiura derive sussiegose o querule al suo pensiero poetante, e che inoltre caricaturizza alcune icone religiose, in un'operazione filosofico-letteraria tanto dissacrante quanto purificatrice.

Viene naturale pensare, a questo punto, che a Veniero non interessi proprio il Dio demiurgo. Lo si avverte bene nei suoi poemi, in cui l'invettiva colpisce precisamente l'idea di una divinità asettica, lontana ed estranea al dolore e al bisogno d'amore e di protezione degli uomini e di tutti gli esseri viventi. Paradossalmente, il nostro autore cerca in tutti i modi – con gli arnesi razionali e le invenzioni funamboliche di sapore tecnicistico di cui dispone la sua officina di scrittore – di mettere alla berlina e di demolire quel dio-assenza di cui però non avverte l'esigenza fondante. Egli sembra sforzarsi infatti di dimostrare la fragilità di quella forma imperturbabile di Dio di cui però constata l'irrilevanza esistenziale. A lui non interessa incontrare un tale dio burattinaio. La vera lacerazione di Veniero sembrerebbe dunque inscritta nella sua incapacità di poter dimostrare scientificamente quel Dio Persona che la ragione non potrà mai avallare, ma di cui egli avverte l'incidenza esistenziale. Il Dio cercato da Scarselli, il Dio che dà senso alla sua infaticabile ricerca di agnostico non radicale (se no, da granitico ateo qual egli non è, avrebbe già chiuso la partita con tutte le idee di divinità e avrebbe parlato d'altro) non è dunque il Dio-Luce che si affaccia nelle timide aperture fiduciose dei suoi poemi, divinità ancora metafisica e dunque labile e lontana, ma un Dio positivo e concreto, un Dio di cui fare esperienza. Ma è soprattutto un Dio da cui potersi nutrire, da cui ricevere sicurezza e protezione, da cui suggere amore e pace. E se non è un Dio femminile e materno, questo Dio cercato da Veniero4, cos'altro potrebbe essere?

Dunque questo Dio Persona, nella poesia di Veniero, più che di Dio Padre ha le fattezze di Dio Madre. Un Dio materno che peraltro non è estraneo alla Bibbia, di cui siamo troppo abituati a una lettura fuorviante e maschilista, con l'immaginario del Dio barbuto e severo, ma che non corrisponde affatto al Dio aniconico del popolo ebreo. E invece non sono poche le immagini bibliche che rimandano a un Dio protettivo, femminile e materno; basti qui ricordare due intensi versetti del Libro del profeta Isaia: "Sion ha detto: Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato'. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai" (Is 49,14-15). Il biblista cattolico Gianfranco Ravasi ha riscontrato ben sessanta aggettivi femminili per il Dio biblico e l'uso del termine "viscere materne del Signore" per più di 260 volte5. Il termine ebraico rakhamim, tradotto con "viscere femminili", esprime infatti la sollecitudine e le cure della madre verso il suo bambino, e nella Bibbia assume il significato di "misericordie".

Tutti i poemi di Veniero Scarselli, ad eccezione di Isole e vele, Priaposodomomachia, Genesis e Trionfo delle anime artificiali riportano eloquenti simbologie femminili e materne per evocare il Dio tanto agognato, seppur nell'iniziale fascinazione metafisica. Ma anche quei componimenti che non mostrano dei diretti riferimenti supportano, in più passi, questa costellazione semantica declinata al femminile di Dio (Grembo divino, Utero di Dio, Cordone ombelicale...). Non manca poi l'accostamento Morte-Madre, presente in molte immagini dell'opera di Scarselli, ad affermare la qualità ipnotica e stordente dell'amnio materno, che fa pensare al trapasso come ritorno a quel Nulla intrauterino in cui la tanta temuta estinzione dell'Io e superata da una pace nirvanica.

Ma è nel poema ancora inedito Ascesa all'Ombelico di Dio che Scarselli ha condensato nell'immagine della gigantesca mela un potente immaginario femminile e materno, i cui riferimenti abbondano in maniera significativa tra le lasse del componimento. Leitmotiv di tutto il testo è il Cordone Ombelicale (metafora già incontrata in Straordinario accaduto a un ordinario collezionista di orologi), figura bifronte che riassume il Dio demiurgo (la "via" a Dio) e il Dio Madre (la "Mente Placentare"), in un'inquietante immagine-ossimoro che racchiude l'aspetto astratto e nello stesso tempo concreto dell'esperienza di Dio. Qui il divino "budello" assurge dunque a vero e proprio itinerarium mentis in deum, che rivela tratti inequivocabilmente carnali e materni.

Senza dunque voler scomodare analisi etnico-antropologiche (quali i culti della Dea Madre) o psicoanalitiche (il ruolo della madre nella vicenda umana ed esistenziale di Scarselli), già la sola analisi letteraria dimostra che la figura della Madre riveste un ruolo decisivo nell'immaginazione teologica del nostro autore. La costellazione simbolica del Dio materno attraversa, come un sistema carsico, la struttura testuale dei poemi di Veniero Scarselli, emergendo in frequenti passaggi, tutti sempre cruciali per tracciare dei confini leggibili all'immagine di Dio. In questa "punteggiatura" simbolica che richiama al materno, alla pace intrauterina, alla simbiosi parentale femminile, Scarselli aggancia la sua ricerca del divino e solo in questa tessitura materna riesce a decantare e ad allentare la sua tenzone intellettuale. Sempre affascinato dalla ragione per indagare un Dio enigmatico e lontano, ritrova nel volto materno un possibile volto di Dio. Egli tenta infatti di assegnare una cifra scientifica a questo Dio Madre che sente come unico volto plausibile della divinità. Non ci riesce, è vero, ma alla fine questo volto così irrazionale risulta incredibilmente vicino a quello del Dio biblico, Dio "viscerale" e misericordioso. In Scarselli questa immagine materna, protettiva e armonizzatrice, con la sua struggente nostalgia di tipo edenico, rimbalza dunque in ogni tentativo di circoscrivere il volto di Dio e assurge ad unico volto di cui si spera di fare esperienza, perché è il volto stesso della Madre, generatrice e fautrice di cure e di amore. Questo Dio Madre non può dunque essere il "totalmente Altro" barthiano, semmai il "totalmente Vicino", che giunge inaspettato a scompaginare tesi e formule. E' un Dio-grembo-vagina-cordone ombelicale, Dio-utero, che attira e inghiotte, ma che conforta di un contatto veramente intimo, totale.

Nel discorso teologico portato avanti da Scarselli non c'è dunque tensione escatologica, semmai una teologia "circolare", sostenuta dal mito materno, vissuto in chiave nostalgica. Nei poemi di Scarselli la ricerca di Dio è infatti vissuta nel paradossale itinerario ad reditum, all'incontrario, verso l'Origine, verso il Grembo divino.

La sollecitudine materna e la cura filiale, che solo una madre sa rendere preziose e sapienti, sono dunque direzioni di ricerca e di desiderio per questa "opera unica" che il romanzo lirico di tutta una vita, l'opera poematica di Veniero, segnata dall'epica dell'Io e dall'epica del Cosmo, entrambi fusi nel crogiolo del mistero di Dio. La stessa teodicea scarselliana, severa nel puntualizzare lacune e latitanze divine, e continuamente messa in scacco dalla presenza sorprendente di questo Dio femminile, che fa capolino ogni qual volta il fallimento scientista si dimostra netto e indiscutibile. Dove il dio onnipotente e sconfitto dall'implacabile Ragione, resiste il divino materno, Dio di relazione; dove il dio metafisico soccombe ai colpi dell'intelligenza umana, si solleva il volto femminile dell'Eterno. Se Dio esiste, sembra dunque voler dire Scarselli, non può che essere un Dio Madre.

Note

1) E lo fa pure con verosimiglianza metaforica, con la fantasia erotica presente in alcune opere, ad esempio in Straordinario accaduto a un ordinario collezionista di orologi, Pasian di Prato 1995.

2) Secondo la felice denominazione assegnata dal poeta, saggista ed editore Sandro Gros Pietro, che rileva uno stretto collegamento tra uomo e ambiente nella fabula poematica di Veniero Scarselli.

3) Si vedano Trionfo delle anime artificiali, 2009 e La Suprema macchina elettrostatica, 2010, entrambi pubblicati dall'Editrice Genesi di Torino.

4) Già la poetessa e saggista Maria Grazia Lenisa (1935-2009) aveva rintracciato la caratura femminile del Dio di Scarselli: «(..) la più alta e tragica poesia religiosa che abbia mai letto, frutto di secoli bui e splendidi, di misoginie taglienti, superate qui finalmente nel riscatto della femminilità di Dio, Grande Utero Cosmico o comunque infinita Forza Generante,), in "La Vallisa", XII n.35, 1993, p. 77.

5) Intervista rilasciata da Gianfranco Ravasi alla giornalista Lucia Bellaspiga, pubblicata sul quotidiano "Avvenire" il 29 dicembre 2005.

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