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Non sono molte le poesie di questa silloge: sono ventuno, suddivise in cinque chiare sezioni e precedute non da prefazioni altisonanti, ma da forti tocchi epigrafici che delineano, fin dall’inizio, lo stile e il tono con cui l’autore desidera coinvolgerci. Sono solo ventuno, ma di un’intensità tale che vanno lette e rilette con attenzione: ogni volta vi scopri qualcosa di nuovo e d’interessante. Al di là, infatti, dell’umorismo che le caratterizza e che ci attrae notevolmente e al di là dello straordinario anticonformismo che ne distingue la forma, esse ci conducono in un mondo di piacevoli sensazioni e percezioni, di serie riflessioni sulla vita che scorre e avanza, di schietti rendiconti sulle problematiche attuali, sulla precarietà del pensiero umano e sull’essenza di quanto, a questo mondo, viene considerato autentico e reale valore. E tutto ciò è espresso in maniera originale, decisa, senza fronzoli o sbavature, con un dire a volte scanzonato, ma forte di inesauribili dettagli da meditare e con un lessico anticonvenzionale, nutrito di neologismi, di metafore sorprendenti e di ricca e appropriata aggettivazione. L’originalità già si manifesta nei titoli dei capitoletti e delle liriche stesse, titoli concisi, puliti, a volte tratti dalla stessa parlata locale siciliana. Bello, veramente, il trittico dedicato alla moglie, a quell’unicità dell’amore che, pur velatamente sottinteso ovunque, si rileva a pelle. È proprio nei primi due versi di Come quando, dedicato alla sua donna, che risuona apertamente il titolo dell’opera: “Non starmi lontano – poco o molto − | ogni tua assenza mi lascia a mezz’aria.” E anche se, egli afferma in altre liriche, “sperimentiamo | da tempo loquaci antenne di silenzio”, “celebriamo il miracolo | di questo amore che muta | di forma e di colore | non di essenza”. Ma, pur nell’elogio dell’amata, il tocco umoristico e il gioco di parole non mancano di stupire: “Sorse da obliati album la chiesuola | di pietra. – Ci risposiamo qui? – proponesti. | − Ci riposiamo per ora. Sul gradino −.” (Nuvole e foglie).

Splendidi in Wagon lit i tocchi descrittivi che danno la netta sensazione dello sferragliare del treno, dell’accozzaglia di pensieri che si accavallano nella mente in quell’ambiente del tutto particolare, della strana magia che percorre e coinvolge l’essere “tra palese e recondito”; pure attraente quella “chiarìa” lasciata dalla scomparsa della pioggia in Lustrura. Non si direbbe, ma anche il sogno trova spazio tra le righe vergate dall’autore, il sogno di poter migrare “come gru | come cicogne” “in direzione dell’altrove”, il sogno di un “transito alare”, come quello degli angeli “in punta d’ala a in/sondabili porti”. Opera, dunque, questa, breve, ma calda, brillante e arguta, che lascia trasparire come Lucio Zinna, scrittore siciliano già noto come autore di romanzi, di racconti e di saggi, sia anche indubbiamente profondo conoscitore della tastiera poetica.
Recensione
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