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Incontro con Mario Luzi, senatore a vita
Il segreto della felicità è abbracciare la felicità delle altre persone. Io Mario lo ricordo così… Suono il campanello della casa di Mario Luzi. Sono le 21,30 ed ho fatto tardi. Piove, chiudo l’ombrello sotto la tettoia della sua palazzina. Firenze nella pioggia è poesia. Attendo. Nessuna risposta. So che è tardi, ma devo consegnargli un telegramma che so per lui essere importante. Solo dodici ore prima il Presidente Carlo Azeglio Ciampi lo ha nominato Senatore a vita, ai sensi dell’articolo 59, secondo comma, della Costituzione per “Aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo letterario e artistico”. Il decreto è stato controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Suono di nuovo il campanello. Acqua e vento, le luci dei lampioni. Ancora poesia. Odo la voce di Mario Luzi al citofono. “Sono io” rispondo “perdona l’ora tarda”. Mi invita a salire. Faccio le scale quasi di corsa. Lui è lì in piedi, sul pianerottolo del quinto piano. Mi soffermo, sono emozionata. “Perché non hai preso l’ascensore?”dice. Poi apre le braccia ed io, piccola e smarrita, attingo forza da quelle mani che mi stringono. Mario Luzi sprigiona umanità da tutti i pori, essere accanto a lui fa stare bene. Il tono della sua voce è pacato, sommesso, i gesti misurati. Uomo di grande carisma, non è solo un Poeta di altissima voce, non è solo un maestro di molte generazioni, ma anche un esempio di indipendenza e di cultura libera. “Sei grande, Mario” dico mentre lui mi fa accomodare in salotto. “Ciampi mi ha fatto il più bel regalo per i miei novant’anni”. “Un compleanno meraviglioso. Tutta Firenze si prostra ai tuoi piedi, Mario, la nostra Toscana, i poeti, i letterati, l’Italia intera”. Sorride, si asciuga gli occhi. È commosso. “E tu, il tuo lavoro?” “Non parliamo di me, è questa tua vittoria che mi rende tanto felice, bacerei Ciampi. Presto, a Palazzo Madama ti unirai agli ex Capi dello Stato Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro, Giulio Andreotti, Rita Levi Montalcini ed Emilio Colombo, anche loro di nomina presidenziale”. Con il consueto garbo e con la pacata misura che lo caratterizza risponde: “Oltre alla gratificazione personale sono particolarmente contento perché questa nomina corrisponde alle aspettative di tutti voi amici che avete manifestato, anche sottoscrivendo appelli pubblici, affetto e stima nei miei confronti”. Penso che la sua generosità è senza limiti. “Dimenticavo il telegramma” dico poi. “Leggimelo”. “Lietissimo di essere rappresentato da un senatore illuminato e saggio, faccio i migliori auguri. Alberto Ronchey”. Sorride soddisfatto. “Un grande uomo Alberto. Un ministro eccellente”. “Ma adesso è meglio che vada, devi riposare”. “Aspetta ancora un po’. È tutto bello ciò che mi accade, ma è anche bello stare qui a conversare, in questa sera di pioggia, nella quiete della casa. Vuoi dei biscotti, un caffè, qualcosa da bere? Hai i capelli tutti bagnati. Sarebbe meglio asciugarli”. Ha la premura di un padre affettuoso. È umano così, con tutti. Sul pianerottolo ci salutiamo, lo abbraccio forte. “Ci vediamo il giorno del tuo compleanno a Palazzo Vecchio” gli dico. “Prendi l’ascensore” mi suggerisce. Sono già al quinto scalino. Luzi scuote la testa: “Chissà perché ti ostini a fare le scale”. Fuori mi accoglie la pioggia. Ed io penso a Mario, alle sue poesie, alle crete senesi, “terra senza dolcezza d’alberi” terra di mistero, di inganno o verità, la nostra terra. Firenze 18 ottobre 2004
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