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La lirica che apre questa nuova raccolta di
Lilia Slomp Ferrari e una vera e propria dichiarazione di poetica; il titolo è,
infatti. ”la mia poesia” e vi si legge: È | un saltimbanco povero | la mia
poesia . || Rimbalza, palla azzurra | in sguardi giocolieri. | A volte sa
sfuggire | il controllo degli occhi | e spicca voli arditi | nel trapezio dei
cieli. || È | un saltimbanco | da baraccone, senza | rete di protezione, | la
mia poesia. Ricorrono, inoltre, altre espressioni che richiamano direttamente
immagini circensi: la palla azzurra che rimbalza, gli sguardi giocolieri, i voli
arditi spiccati nel trapezio dei cieli. Leggendo questo testo, viene in mente
una poesia scritta nel lontano 1909 da Aldo Palazzeschi e che porta il titolo di
«Chi sono?».
Ebbene, pure in tale circostanza il poeta chiama in causa e fa
propria un`immagine che desume dal mondo clownesco paragonandosi ad un
saltimbanco: egli si rende cioè conto che non è più possibile fare poesia in
modo serio, trattando di questioni alte, nobili, elevate, essendo magari anche
sicuri di risolvere i problemi proponendo adeguate soluzioni, ma si è invece
costretti a scendere in basso, ad occuparsi di vicende più dimesse, umili,
prosaiche e quotidiane, spesso appartenenti ad una dimensione privata, lirica,
intimistica e puramente soggettiva. Una simile impressione si ha leggendo le
poesie di «Nonostante tutto», dove, se è pur vero che non mancano testi che si
richiamano direttamente all'attualita ed al sociale (come lo sfruttamento a cui
sono sottoposti i bambini del Nicaragua. o come la paura che si è diffusa un po’
ovunque dopo il disastro nucleare di Cernobyl), è altrettanto vero che queste
poesie si nutrono di stati d’animo, di sensazioni, di emozioni che
appartengono prima di tutto ad una sfera privata: sono immagini che la
sensibilità di Lilia Slomp Ferrari è riuscita a carpire traendole dalla realtà
quotidiana.
È una poesia che non ha la pretesa di cogliere l’universale, ma il
particolare, anzi, tanti particolari, frammenti ora reali, ora invece di
fantasia e d`invenzione. Il linguaggio, sempre misurato, calibrato, regolare, si
nutre talora di espressioni auliche, un po’ preziose, mentre il verso,
solitamente di lunghezza medio-breve, in alcune occasioni si allunga: è il caso,
ad esempio, delle poesie «Io so» e «Marrakech», situate verso la fine della
raccolta, dove il discorso si fa più colloquiale e diretto, più simile a quello
della prosa, più sciolto e discorsivo, ma anche più intenso, mediato, soppesato
e filosofico. È una poesia, come ha già fatto notare Renzo Francescotti, che si
muove su due versanti: quello diurno e quello notturno. Da una parte immagini
luminose, solari, dal tono cantabile e sereno, come tante fotografie fatte alla
realtà. ai suoi colori, dove si nota una particolare attenzione ai suoni e ai
profumi; ad esse, tuttavia, si contrappongono altre immagini, di tono e segno
opposto, notturne per così dire, dove serpeggia una sottile inquietudine, una
vena di malinconia a volte celata e nascosta da espressioni un po’ troppo
ermetiche e non sempre immediatamente comprensibili, ma che mettono in luce e
colgono gli aspetti meno piacevoli del nostro tempo. Da un lato, allora,
assistiamo al trionfo della natura che ci circonda, fatta di fiori che
sbocciano, di piante, di erbe dai nomi spesso poco consueti (il convolvolo e la
miosotide, per esempio), di suoni dolci e di lievi movimenti, con la costante
presenza della luna come interlocutrice privilegiata; ma oltre a queste immagini
di vita e di speranza, ce ne sono altre molto diverse, che risultano più
interessanti e fonte di spunti per la meditazione; ad esempio, in «Schianto» si
legge: “Piange il mio prato | la sua coda rossa | come biscia avvinta | alla mia
angoscia.” In «Bimbi del Nicaragua» si fa riferimento a questi bambini innocenti
e ai loro occhi che «sgranano la paura | nel silenzio violentato dagli scoppi·.
In «Magia di un ritorno» si accenna al sentirsi spersi, stranieri in un mondo
in cui spesso non ci si riconosce e non ci si identifica, ma dove si manifesta
il desiderio di «un cavallo a dondolo | per spiccare il volo | verso qualcuno |
che mi riconoscesse». Anche la solitudine è infatti una tematica a cui Lilia
Slomp Ferrari fa riferimento in più di una lirica; in «Silenzio» si legge di un
davanzale «dove la solitudine | si affaccia provocante | nuda | allo stupore
del vicolo». E in «Tepori» si trova scritto: «Cerco tepori al fuoco | freddo
della solitudine – e per poter far questo bisogna spiccare – balzi al cielo | come
lo scemo del paese | che allunga braccia al vento | per catturare stelle». Quasi
a dire che si tratta di un’impresa ardua e proibitiva. Un’altra tematica che si
riscontra sovente in tali liriche è proprio il bisogno di fuga, di andare verso
un’altra dimensione, totalmente differente da questa, di trovare un varco attraverso cui passare e che ci immetta in una realtà nuova, tutta da esplorare e
da scoprire; in «Attesa» leggiamo: “Nel groviglio confuso | di visi velati, | di
corpi ondeggianti | nel solito andare | c’è qualcuno che attende | lo squarcio
di un velo... Oppure, in «Conta», la poetessa scrive senza mezzi termini e in
maniera ancora più esplicita: ·«E ho voglia di cielo...» Poi, in «Nel trionfo
dell`anima», l’immagine diviene ulteriormente più chiara, allorché manifesta il
desiderio di sparire «oltre la siepe» e di uccidere il buio. Ma è un percorso
non facile da compiere, bensì estremamente tortuoso quello di ritrovare «tracce
di stelle | sui sentieri perduti | e brividi di tenerezza | in gocce di
cristallo, » anche perché il nostro esile stelo rischia di essere spezzato da
«mani di naufrago» e, soprattutto, perché noi siamo soltanto ombre che « si
abbracciano | intrecciando contorni | sempre più lunghi, | proiezioni di luce |
quando il sole stanco | cede il passo alla luna».
In una poesia dal titolo “Una tasca
bucata”, pubblicata in una precedente raccolta, la poetessa paragona la sua vita
appunto a una tasca bucata, a “sementi calpestate | sul sentiero dei rovi”. Per
procedere su questo erto sentiero (metafora della vita) è necessaria “ogni tanto
una sosta | alla sorgente | foraggio profumato | al crocevia” per poter
riprendere fiato, forza ed energia. E come immagine finale, quella della
poetessa che ha ancora il coraggio di aspettare “paziente la carrozza | della
pariglia | di cavalli bianchi”, come se fiabe simili a quella di Cenerentola si
potessero ancora realizzare e concretizzare.
Da questa raccolta si ricava anche l’invito
a frugare nelle pieghe più profonde, per trovare le cose più belle, più vere e
più preziose, quelle che l’esteriorità e la superficialità non permettono di
cogliere; è una poesia che, a tratti, si fa anche religiosa, con l’immagine
delle “mani giunte in preghiera” e con l’invito ad un trascendimento, a volare
“oltre la neve, | alla soglia del colore”.
Ma, per concludere, sembra opportuno
citare, ancora da un’altra raccolta, un testo che s’intitola “Se solo riuscirò”
e che vale la pena di riportare per intero in quanto ci permette di evidenziare
ulteriormente tematiche di questo tipo: “Se solo riuscirò | a non lasciar
scalfire | le perle nascoste | nel profondo del cuore, | potrò bighellonare |
fra le pagine del tempo. | Un giorno sarò parola | oppure solo virgola, | punto
di domanda |soffocato da parentesi. | Forse cancellatura | o punto esclamativo.
| In ogni caso avrò | lasciato la mia traccia | forse, cambiato un rigo.”
Se, dunque, riusciremo a proteggere e
difendere le perle che si celano nel segreto del nostro cuore, avremo già
compiuto qualche cosa di importante e di significativo e avremo lasciato una
traccia di noi stessi, un segno del nostro passaggio, magari soltanto una
impercettibile virgola. Ancora meglio se saremo riusciti a cambiare un rigo:
allora la nostra opera non sarà stata inutile. E, di certo, anche la poesia ci
può aiutare a cambiare qualche rigo. Nonostante tutto.
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Recensione |
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