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Ombrìe
È stato recentemente pubblicato Ombrìe, il quinto
libro di poesie in dialetto di Lilia Slomp Ferrari, una sessantina di liriche
non sempre di facile comprensione e, forse proprio per questo, da leggere con
attenzione ancora maggiore. Alcuni nuclei rilevanti si possono, comunque,
individuare con una certa immediatezza: il tema degli affetti familiari, per
esempio, è uno dei fili conduttori che si intrecciano fra i testi della
raccolta.
La prima poesia è dedicata a Paolo, il marito, a cui è legata da un
amore che dura da quarant’anni, ma è ancora forte e intenso come il primo
giorno. Altre presenze care vivono, invece, attraverso il ricordo, perché ormai
sono solamente ombre: la nonna, con quattordici figli tutti attaccati al
grembiule, oppure la madre, che la poetessa vorrebbe avere di nuovo al suo
fianco, almeno per qualche istante, e prenderla per mano, come faceva da
bambina. Oggi vede la sua foto sulla tomba e quell’immagine sembra ancora avere
voce e chiamarla come faceva un tempo.
Dal padre contadino, invece, ha imparato
a guardare la natura, a coglierne la bellezza spesso misteriosa e ad apprezzarne
il silenzio. È dunque, una poesia dove i ricordi del passato affiorano spesso e
in modo gioioso: l’infanzia con le bolle di sapone, i canti e i balli delle
feste di paese, semplici eppure genuine, i mestieri svolti con maestria dagli
artigiani e oggi scomparsi. Un mondo si è perso, ma rivive attraverso la
fantasia che ha trasformato tutti i ricordi in favole, che pertanto durano nel
tempo. E quello del tempo che passa è un altro tema che si ritrova più volte in
queste liriche: le lancette degli orologi avanzano, sono inesorabili e non si
arrestano. Ciò può essere fonte di smarrimento, di una sottile inquietudine, di
malinconia, anche di uno struggimento che provoca un nodo alla gola e che mozza
il respiro, come quando si sale verso la cima di una montagna e il fiato si fa
corto, perché non ci sono più le forze e il vigore di una volta.
Eppure,
nonostante la consapevolezza che le ombre si allungano a mano a mano che scende
la sera, la poesia di Lilia Slomp Ferrari non è ripiegata su un passato da
rimpiangere, ma è aperta al futuro, alla ricerca di attimi di felicità, di una
sorgente a cui attingere energie e linfa per continuare il cammino della vita, è
una poesia fatta di slanci, di promesse, di progetti da realizzare, di speranze,
di occasione che aspettano di essere colte. Allora le ombre non saranno così
diffuse come il titolo della raccolta evoca, ma resterà sempre lo spazio per la
luce, lo spazio per la poesia, per il canto, per la natura con i suoi colori, lo
spazio per la vita che continuamente si rinnova e si arricchisce di esperienze.
Ad un certo punto, verso la fine della raccolta, compare anche l’immagine della
morte, presentata come una falce che si abbatte allo stesso modo su torti e
ragioni. Il tempo dei sogni e del carnevale è concluso, i giorni si spengono
nella notte, i colori si annullano sopraffatti dall’oscurità. Tuttavia, dopo
questo momento di smarrimento, le sue ali tornano a volare sicure verso
l’eternità.
Come detto, le
liriche di Ombrìe non sono facili da decifrare, ammesso che sia
semplice comprendere la poesia, specialmente quando racconta il mondo che
abbiamo dentro in tutte le sue sfaccettature. La scelta del dialetto, che è più
diretto e immediato, risponde a questo bisogno, far sgorgare le parole in modo
più fluido e portare alla luce quelle realtà interiori che, altrimenti,
resterebbero avvolte nell’ombra.
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Recensione |
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