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Una poesia dimessa e incline alla prosa, quella dì Raffaella Bettiol (che è nata a Venezia e vive a Padova). Una poesia come un ventaglio che si apre: intrisa di amori e stagioni, di luoghi e tempi. Quindi niente di nuovo sul panorama attuale, eppure è nuova e fresca la volontà di replicare la musica della poesia, una lunga, interminabile tradizione. La linea lirica che la Bettiol predilige si unisce alla lettura formativa dei classici spagnoli e di alcuni poeti italiani di oggi, come Giuseppe Conte e Umberto Piersanti. Il quadro che si delinea è in sintonia con una ferialità illuminata a lampi, come del resto avviene proprio nel canto novecentesco al quale la poetessa si ispira.

Il titolo dell'ultima pubblicazione, Una sprovveduta quotidianità ammette e sospinge la tenacia dei sentimenti e del ricordo come linee portanti dell'intera raccolta ("Indagavi con lo sguardo il mio, | in una favola c'eravamo persi | senza negazioni, inseguendo | le radici d'un amore, il nostro, | nell'intimità d'un silenzio consenziente, | puro"). L'amore sopravvive, non molla mai. Non si lascia assorbire dall'inerzia della quotidianità e resiste ad oltranza, nonostante le difficoltà. Il messaggio subliminale di Raffaella Bettiol appare questo: il racconto dell'amore e la salvaguardia dello stesso sono al centro di un innalzamento, nel limite del "chiarore di giovinezza". Convincenti le ritualità di un giorno qualsiasi: l'uomo che sfoglia un giornale, la stanza disadorna, i motori delle strade e le "gabbie di cemento" della città. Dentro questo globo comune "le parole insidiano | il silenzio della stanza"; "le mani giocano | annoiate tra le lenzuola". E l’amore, appunto, mostra i suoi gesti.

Il "morbido desiderio" si affaccia come fosse sull'orlo di una porta socchiusa o di una finestra le cui persiane sono accostate: è questa la metafora del sentimento che chiama, che invoca, che svela il proprio sentire senza alcun compromesso. L'evocazione dei luoghi è un'altra visita compiuta in questo libro, come nel porto fluviale di Aquileia, a Guidale del Friuli e nella torre Contarmi del Bovolo. Venezia è vista in tempi diversi, sotto bagliori che accarezzano la presenza umana ("S'apre piazza San Marco | luminosa ed incurante, | turisti a frotte | assiepati in lunghe file. | L'estate perdura | sui davanzali aperti..."). La penultima sezione di Una sprovveduta quotidianità inscena la commedia dell'arte.

Qui Raffaella Bettiol mette in scena una rappresentazione teatrale tra burattini e maschere di carnevale, volendo impersonificare la quotidianità che si traveste: Colombina, Arlecchino, Pantalone, Pierrot, Pulcinella ecc. Sono maschere che traducono una "policromia di sogni" oltre il tempo, cancellandolo del tutto ("Non è più triste Arlecchino, non invecchia il sole |o ammutolisce la laguna. | Non pensa più a lei, | ora tra chiari balconi | un volto nuovo cerca | altre labbra, altri capelli | una luce che l'abbagli").

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