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Raccogliere i
testi teatrali in un volume “scrigno” può apparire un’impresa letterariamente
complessa in quanto il teatro vive di movimenti “unici”, di atti consapevoli,
circoscritti nel tempo e nello spazio. Non è come un libro di racconti, anche
volutamente dissimili, bensì un giardino studiato a “ stanze”, come nel
Rinascimento, in cui si procede come in una visione consequenziale dei fatti.
Gli scrittori di teatro replicano sempre un dramma cognitivo, un assillo
perpetuato che prende forme diverse, sue inevitabili fantasmagorie. Così per
Liliana Ugolini: nella sua raccolta di opere teatrali c’è l’intimo desiderio di
una decifrazione, nella profonda unicità che la distingue mai la omologa.
Offrire agli altri occasioni di mimesi, di rappresentazione de sé, è un gesto di
grande generosità, di fiducia consapevole nel transfert. C’è infatti la
concessione del “travisamento”, situazione invitabile in cui l’opera si
disarticola, si liquefa e si ricompone in vesti “ altre”.
Questo libro con
la sua eleganza, conferma la “Passione” che illumina tutto il lavoro di Liliana
Ugolini, la sua tensione artistica sempre viva, attenta.
L’autrice ausculta la vita, i suoi malesseri, i suoi battiti, gli scompensi, le
aritmie: una sorta di giornalismo indiretto? Anche. Senz’altro un documento, un‘historia che ferma il tempo e lo proietta nelle direzioni più impensabili,
anche oltre i codici dell’esistere. Con grande maestria.
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Recensione |
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