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Gli angeli sulla Cupola
Dalla città divisa alla città
luogo d’incontro fra Est ed Ovest: un percorso storico-politico attraverso la
città simbolo della fine del “comunismo reale” e della nuova Europa
“Berlino è divisa come il nostro
mondo, è scissa come il nostro tempo, è separata come lo sono uomini e donne,
giovani e anziani, poveri e ricchi, è frantumata come ciascuna nostra esperienza
(…). Il film si intitolerà::
Il cielo sopra Berlino,
essendo il cielo, oltre il passato ovviamente, l’unico elemento comune alle due
città, contenute in questa città. Quasi a dire: “Solo il cielo sa … se ci sarà
un futuro comune a entrambe.”
Wim Wenders,
1986
Il cielo
sopra Berlino
Dall’alto le
città si presentano con immediatezza al nostro sguardo curioso di osservarle nel
loro insieme e nei particolari, per cogliere i tratti impressi dalla storia nel
corso del tempo. Nel film di Wim Wenders Il cielo sopra Berlino, gli
angeli si posano nei luoghi più alti per osservare l’intera città e seguire le
vicende degli abitanti. Per i bambini è facile, secondo il regista, riconoscere
quei puntini che volteggiano nel cielo e si fermano sulle guglie delle chiese o
sui cornicioni dei palazzi. In una delle prime scene del film, è proprio uno
scolaro in gita con i compagni, con gli occhi sempre rivolti in su, a scorgere
l’angelo Damiel
in cima ad uno spezzone del campanile della chiesa distrutta dai bombardamenti
dell’ultima guerra, nell’affollata piazza Breitscheid, di fronte al Giardino
zoologico. Il campanile, che non si volle abbattere dopo la guerra, è uno dei
simboli più famosi di Berlino.
L’angelo Damiel
insieme agli altri angeli, ha la possibilità di dominare la città dal cielo, in
tutte le sue parti, al di là delle divisioni artificiali costruite dagli uomini.
Il film, girato a metà degli anni 80, quando l’occupazione delle forze
vincitrici della guerra era ancora in corso, rimane un documento prezioso sulla
vita di Berlino, divisa in due parti dal muro che simboleggiava la divisione
del mondo in due blocchi di influenza, quello sovietico e quello americano. Era
una struttura incombente, mostruosa che separava due realtà politiche
antitetiche, di continuo presente nel paesaggio urbano di tutti i giorni. In
una scena dell’opera di Wenders, ad esempio, si vede un gruppo di bambini che in
un cortile fra i palazzi, giocano a pallone a ridosso del muro, sul quale hanno
disegnato una delle porte del campo di calcio.
Il muro visto
dall’alto del campanile di piazza Breitscheid, nel ricco quartiere occidentale
di Kurfurstendamm, o dall’altissima Torre della televisione sopra Alexander
Platz, appariva come una profonda cicatrice nel tessuto urbano, in gran parte
una striscia piatta, grigiastra, larga da cento a duecento metri, che formava un
grande spazio vuoto nel cuore di questa metropoli.
La “barriera di protezione antifascista”
Il governo
della Germania Est fece costruire nel 1961 la cosiddetta “barriera di protezione
antifascista”, per bloccare l’esodo verso Ovest dei suoi cittadini. Il muro
segnava un confine serpeggiante, in parte coincidente con il corso della Sprea,
lungo 155 chilometri, fissato da due file di alti lastroni prefabbricati di
cemento, protetti da un’ampia fascia di terra di nessuno e da filo spinato,
mine, cani addestrati e circa 300 torrette di sorveglianza. Sul versante
occidentale invece i lastroni di cemento si potevano raggiungere, toccare,
dipingere.
Più di 5000
persone cercarono di superare il muro nel corso dei 28 anni in cui è rimasto in
piedi: 3200 vennero catturate, 191 uccise. La prima vittima, che tentò di
raggiungere l’Occidente lanciandosi dalla finestra di casa propria, morì pochi
giorni dopo la costruzione del muro. Nell’agosto del 1962 uno degli episodi più
sconvolgenti di questa storia: “il diciottenne Peter Fechtner fu colpito durante
il suo tentativo di fuga e lasciato quindi morire dissanguato dalle guardie di
frontiera della RDT.”
Come si
presentavano le due parti della città, ognuna delle quali era governata da
un’amministrazione civica diversa, con il sistema antico delle comunicazioni
spaccato in due e con servizi sociali, formativi, culturali differenti? Dopo la
seconda guerra mondiale i caterpillar spianarono i resti lasciati dai
bombardamenti, che si erano succeduti in oltre 380 attacchi aerei.
Nella Berlino
Est gli edifici furono ricostruiti, in parte, ispirandosi al principio
dell’imponenza, specie intorno alla Karl-Marx Allee dove si costruirono palazzi
in stile “torta nuziale”, come venivano chiamate le monumentali strutture di
impronta stalinista. Il grande viale che ha inizio da Alexander Platz, fu
percorso il 20 aprile 1945 dall’avanguardia dell’Armata rossa, per raggiungere
il cuore del Terzo Reich, così come fecero le truppe sovietiche chiamate a
sedare le manifestazioni di piazza del giugno 1953. In questa zona, quello che
era sopravvissuto alla guerra fu abbattuto per costruire la strada modello della
Berlino socialista.
Allo stesso
tempo, furono edificati in molte aree palazzoni anonimi e interi quartieri tutti
uguali – i Plattenbauten, costruiti con moduli edilizi prefabbricati –
che fornirono la maggior parte delle abitazioni necessarie. Per gli amanti del
cinema è agevole richiamare le scene del film Good bye, Lenin !, riprese
nei quartieri orientali della città, percorsi dalle inconfondibili auto
Trabant, con il motore a due tempi, e dai vagoni rossi della metropolitana.
Berlino Ovest, la vetrina dell’Occidente
Anche a Berlino
Ovest una parte della trama urbana rivela l’affannoso impegno di dare nel
dopoguerra un tetto ai cittadini, per procedere poi ad un’edificazione più
ricercata e differenziata. Per lo più si progettarono, in una seconda fase,
palazzi che richiamavano lo stile “internazionale”, con la prevalenza di forme
geometriche squadrate, tetti piatti, facciate semplici e lineari con un
abbondante uso di vetro e metallo. In particolare alcune zone come quella che
gravita intorno a Kurfurstendamm, furono trasformate in una brillante vetrina
dell’Occidente, con vivaci poli turistici e commerciali, animati da grandi
magazzini e negozi pieni di prodotti, illuminati dalle sfolgoranti insegne di
cinema, alberghi e caffè. Berlino divisa diviene dunque il terreno di una sfida
fra due diversi sistemi politici ed economici che determina paesaggi urbani
nettamente differenziati.
Fra i segni di
questa sfida, le opere di questo periodo progettate da grandi architetti di
tutto il mondo, che ancora oggi rappresentano pagine illustri del panorama
cittadino e mete frequentate da folle di turisti. Fra queste emergono le
strutture dedicate alla cultura, costruite non lontano dal Tiergarten Park. Mies
van der Rohe, uno degli architetti più famosi del XX secolo, realizza alla fine
degli anni 60 la Nuova Galleria Nazionale, dedicata all’arte contemporanea: il
museo, che rappresenta l’ideale della sobrietà stilistica, è un cubo in vetro ed
acciaio, articolato all’interno da spazi aperti e continui. Completa l’opera,
con un tono di grande leggerezza, il tetto piatto in acciaio, sorretto da otto
colonne anch’esse in acciaio e da un’unica vetrata d’ingresso che va dal
pavimento al soffitto. Da questa opera si può immaginare lo svolgersi di un
percorso con più tappe che rappresentano la visione di Berlino Ovest come luogo
di sfida nei confronti dell’Est e, allo stesso tempo, come laboratorio nel
quale si cimentano i maggiori esponenti della cultura dell’epoca. Di queste
tappe si può citare la realizzazione del quartiere Hansa (con la partecipazione
degli architetti Walter Gropius, Luciano Baldessari, Alvar Aalto, Werner
Duttman; terminato nell’anno 1957), la Casa delle culture del mondo (Hugh V.
Stubbins, 1957), la Filarmonica di Berlino (Hans Scharoun, 1963), l’Archivio
Bahaus/Museo del design (Walter Gropius,1976), la Nuova Biblioteca Nazionale
(Hans Scharoun, 1978).
Riprendendo uno dei temi del film
di Wim Wenders, il regista ci mostra l’interno di questa biblioteca come il
posto di ritrovo preferito e frequentato dagli angeli. Sembra un luogo ideale
per simboleggiare lo stretto rapporto che intercorre, secondo l’autore del film,
fra l’Arte e la Vita, uno spazio dedicato a coltivare la conoscenza, dove, come
in una cattedrale, risuona il coro delle voci – che gli angeli intendono - di
coloro che studiano e che hanno fede nella capacità della mente umana. In
questa biblioteca si reca anche un personaggio particolare del racconto, il
vecchio Omero, un uomo che ha visto tutti i cambiamenti avvenuti dagli anni 20
in poi e si propone di restituire alla poesia il senso e la dignità che le era
riconosciuta nel passato.
Potsdamer Platz, la città scomparsa
Sono stato a
Berlino un anno dopo la caduta del muro e ho potuto cogliere i segni profondi
lasciati nella città dal lungo periodo di divisione. Appariva ancora in tutta la
sua crudezza la cicatrice lasciata nel tessuto urbano dalla presenza del muro,
anche se ormai in gran parte abbattuto. Nel centro della città appariva
necessaria un’opera di profondo restauro per gran parte degli edifici
monumentali, scampati dai bombardamenti della guerra, prossimi a quello che fino
a poco tempo prima era stata una rigida linea di confine, dal Reichstag, alla
Porta di Brandeburgo, agli edifici del viale Unter der Linden, all’Isola dei
Musei.
L’esperienza
per me più sconvolgente è stata quella di prendere la metropolitana in uno dei
quartieri più animati e di giungere alla stazione sotterranea di Potsdamer
Platz. Una volta risalito in superficie, per scale ingombre di vecchie
impalcature, mi si presentò uno scenario incredibile, raggelante: intorno
all’uscita della metropolitana vi era letteralmente il vuoto con i colori delle
erbe spontanee dei campi nelle lontane periferie delle nostre città, solcate da
alcuni sentieri; pensare che in quello spazio vi era prima della guerra, la
piazza più trafficata ed elegante d’Europa e tutte le guide non mancano di
ricordare che fu installato nel 1924 il primo semaforo del continente per
regolare il flusso giornaliero di più di 100.000 persone, 20.000 auto e 30 linee
tranviarie. E’ interessante riprendere ancora oggi la guida del Touring del 1991
che segnalava riguardo a Potsdamer Platz: “La guerra ha distrutto tutto e il
muro l’aveva chiusa entro Berlino Est. Oggi la piazza è aperta e lo spettacolo è
desolante: una spianata immensa di terra nuda verso est, un bosco spontaneo
verso ovest; la sua sistemazione rappresenta uno dei maggiori problemi
urbanistici dei prossimi anni.”
Le ultime
parole della guida esprimevano una facile previsione riguardo a questo spazio
libero nel cuore della città, in cui era stata fatta tabula rasa dei
segni del passato; un passato animato da figure come quella dell’imperatore
Guglielmo II, che nell’Hotel Esplanade, vicino alla piazza, soleva dare grandi
feste, e dai terrificanti fantasmi del nazismo. In questa area si trovavano il
Tribunale del popolo dove furono condannati a morte 5000 oppositori al regime
nazista e il Bunker dove Hitler visse le ultime settimane della guerra prima di
uccidersi.
Ritorno a Berlino
Sono ritornato
quest’anno a Berlino. Rifacendo lo stesso percorso per raggiungere Potsdamer
Platz dalla stazione sotterranea della metropolitana, grande è lo stupore nello
scoprire un paesaggio completamente diverso, “costruito” dagli architetti più
famosi, “il vuoto”, si direbbe sotto la furia dell’horror vacui, è stato
invaso dal “pieno” dei nuovi edifici. La piazza e la zona circostante si sono
trasformate dalla metà degli anni 90, nel più grande cantiere d’Europa per dare
corpo ai progetti di Renzo Piano e degli altri architetti chiamati a formare
l’équipe internazionale di progettisti. Da poco tempo molte delle gru dei
cantieri sono state smontate e da un desolato terreno abbandonato, è sorto un
nuovo e dinamico distretto urbano brulicante di indaffarati berlinesi, di
turisti, di appassionati di musica e dei divertimenti presenti nella zona e,
naturalmente, di impiegati amministrativi.
I primi segni
del passato che si incontrano sono la copia del semaforo che negli anni 20
regolava il vorticoso traffico e la “Sala dell’imperatore”, tratta in salvo
dallo storico Hotel Esplanade e posta ad uno degli accessi alla piazza coperta
dell’avveniristico Sony Center : la Sala è rivestita di specchi e marmi rossi
che creano una particolare relazione con la luce riflessa attraverso il tetto a
tenda della piazza.
Quindici anni dopo il Muro
A quindici anni
dalla caduta del muro, i progetti per Berlino capitale della Germania stanno
dunque prendendo forma. La città è oggi un organismo unitario, impegnato a
recuperare la fisionomia e l’efficienza di una grande capitale europea. Le
ferite inferte da una divisione durata quaranta anni, stanno in gran parte
scomparendo. Possono essere molte le domande e le curiosità alle quali cerca una
risposta il visitatore di oggi. Fra queste la ricerca del modo in cui la città
sta facendo i conti con il suo tragico passato, con la memoria dei luoghi e
delle persone. Una ricerca senza dubbio difficile, complessa, contrastata, ma
importante per coltivare le speranze per un futuro diverso. Per il turista
legato ai tempi, di solito brevi, della sua visita, è importante la ricerca dei
segni che sono rimasti della storia e del significato che la comunità berlinese
attribuisce alle testimonianze del suo passato: fra questi segni hanno un
indubbio rilievo quelli legati alla storia del muro.
Dopo la fine
della guerra fredda il muro è stato smantellato con indescrivibile entusiasmo.
Dal 9 novembre 1989, giorno di apertura della frontiera verso ovest, al giugno
del 1990, mese nel quale le due autorità municipali hanno assunto la regia della
demolizione, “migliaia di berlinesi e di turisti si sono improvvisati
guastatori, armandosi di scalpelli, martelli, cacciavite, persino temperini per
andare a sbrecciare un po’ di muro. Dalla mattina fino a notte inoltrata: non li
fermava il freddo, né la pioggia battente, né l’oscurità. E nemmeno i colpi
maldestri; anzi, le nocche ammaccate e le dita livide erano un segno di
riconoscimento. L’emblema ufficiale della DDR, martello e compasso, si era
trasformato, da questo lato del muro, in martello e scalpello.”
Oggi ne è
rimasto poco più di un chilometro e mezzo e, in tutta Berlino, brevi segmenti,
opere d’arte, musei e cartelli tengono viva la memoria di questo importante e
nefasto capitolo della storia tedesca.. Per aiutare i visitatori a identificare
il tracciato del muro, circa 800 metri sono stati contrassegnati con una doppia
fila di lastre di pietra conficcate nel selciato.
Nel distretto
di Friedrichshaim, non lontano da Alexxander Platz, si trova il segmento più
lungo, meglio conservato e più interessante del muro. Parallelo a Muhlenstrasse,
lungo la Sprea, è una vera e propria galleria d’arte all’aperto – East Side
Gallery – realizzata da artisti internazionali nel 1990. Molti dei murales
lanciano messaggi politici, altri mostrano immagini surreali, altri sono
semplicemente decorativi. Qui si trova il famoso dipinto che ritrae la Trabant
che sfonda il muro, oppure quello del bacio fra Erich Honecker e Leonid Breznev.
Al Centro di documentazione sul muro, in prossimità del centro storico della
città, è presentato un tratto del muro: muro frontale, striscia di ghiaia,
camminamento per le pattuglie, fascia illuminata e muro di fondo.
Nelle vicinanze
del Reichstag, che era lambito dalla linea di divisione, sorge il monumento a
coloro che persero la vita nel tentativo di superare il muro. Croci bianche, con
i nomi delle vittime, o targhe che ricordano i vari episodi, sono poste in più
parti della linea di confine. L’ultima vittima si ebbe nove mesi prima che il
muro crollasse.
Potente simbolo
della guerra fredda, il Checkpoint Charlie, situato nella parte sud-est della
città, fu il principale punto di transito riservato agli stranieri fra le due
zone di Berlino. Nell’ottobre del 1961, poco dopo la costruzione del muro, il
mondo trattenne il fiato mentre i carri armati americani e sovietici si
fronteggiavano sui due versanti della linea di frontiera. Per quasi
quarant’anni la bandiera americana sventolò sul tetto del posto di guardia e un
cartello scritto in inglese, russo, francese e tedesco avvertiva: "“State
lasciando il settore americano." Oggi ritroviamo un modello ricostruito del
posto di guardia, il cartello con l’avviso e la gigantografia, posta in alto
sulla strada, dell’immagine di un soldato americano che guarda a est e di un
soldato sovietico rivolto verso ovest. Nella vicina Casa di Checkpoint Charlie,
è illustrata la storia del muro attraverso foto, documenti ed oggetti. Fra le
fotografie quelle di persone che fuggirono nascoste nei bauli delle auto, nelle
valigie, o volando in alto con la mongolfiera.
Infine nella
periferia occidentale della città, nel verde sobborgo di Dalhem dove si trova il
complesso dei musei dedicati all’arte e alla cultura dei popoli di tutto il
mondo, il Museo degli Alleati documenta vari episodi della guerra fredda. Con i
reperti del muro, sono conservati, fra l’altro, un aereo militare statunitense e
un treno francese. Un particolare delle esposizioni ci ricorda che la città fu
un luogo di duro confronto nel campo dello spionaggio: è stato ricostruito il
Berlin Spy Tunnel, che fu costruito dalla CIA per introdursi nel sistema
telefonico sovietico. Largo 2 metri e lungo 450 metri, permise di registrare
mezzo milione di telefonate fra il maggio del 1955 e il 1956, fino al momento in
cui un agente che faceva il doppio gioco, informò i Sovietici.
Fra i segni
legati a questo periodo, vi è il Monumento al ponte aereo, costruito nel 1951 di
fronte all’aeroporto di Tempelhof, che la gente chiama familiarmente “il
rastrello della fame”.
Le tre punte rappresentate nel monumento, richiamano i tre corridoi aerei che
assicurarono la sopravvivenza della città durante il suo completo isolamento nel
1948-49. Sul basamento sono incisi i nomi dei 79 uomini, piloti e altro
personale, che persero la vita in questa impresa. Per circa undici mesi l’intera
città fu rifornita per via aerea dagli aerei che trasportavano carbone, cibo e
macchinari. Le cronache dell’epoca riportano che ogni giorno, a tutte le ore,
talvolta al ritmo di uno al minuto, atterravano apparecchi negli aeroporti di
Berlino, carichi di materiali. Fu un momento cruciale della storia del
dopoguerra, in cui si impose la volontà di non arrendersi all’aggressività del
potere sovietico. Il monumento rappresenta il simbolo di questa volontà di
resistere, che portò dieci anni dopo alla costruzione del muro, segno della
debolezza del sistema orientale e strumento per frenare l’esodo dei cittadini
della DDR.
Percorsi della memoria
Nella Berlino
che incontriamo a quindici anni dalla caduta del muro, sono molti i percorsi di
visita, insieme a quello appena illustrato, segnati dai luoghi nei quali si
ricompongono frammenti della memoria di un tragico passato. Ci limitiamo ad
alcune tappe di questi percorsi, che presentano un significato ed un interesse
universale.
Nell’animato
quartiere di Kreuzberg, si trova il nuovo Museo Ebraico che aveva suscitato
tante attese e del quale si era parlato molto già prima della sua apertura
avvenuta nel settembre 2001. E’ il più grande museo ebraico in Europa e presenta
un’impostazione particolare, celebra le conquiste degli ebrei tedeschi e i
contributi da loro apportati alla cultura, all’arte alla scienza e a tutti i
campi della vita sociale. Allestito secondo un criterio cronologico, comprende
anche una sezione sulla Shoah che tuttavia non costituisce il punto focale della
mostra: la caratteristica di questo museo è proprio il fatto che la panoramica
sulla storia ebraica si spinge ben oltre i dodici anni di regime nazista, si
sofferma su episodi del passato importanti per pensare a progettare un futuro
comune, non separato. Gli ebrei non vengono presentati soltanto come vittime, ma
come cittadini che svolsero un ruolo importante nella storia tedesca attraverso
i secoli. Un parte della mostra è dedicata alla rinascita della comunità ebraica
berlinese dopo la riunificazione, con una crescita esponenziale dei suoi
componenti, soprattutto per via del flusso di ebrei proveniente dall’ex Unione
Sovietica. Merita soffermarsi sulle caratteristiche dello stesso edificio che
nel paesaggio della nuova Berlino rappresenta un notevole esempio di
architettura d’avanguardia. In questa opera di Daniel Libeskind, l’interno
rappresenta una metafora della storia del popolo ebraico. Da un passaggio
sotterraneo si arriva in una piccola piazza interna, da cui si dipartono tre
“vie”. La prima, senza uscita, conduce alla Torre dell’Olocausto, la seconda
“via” porta ad uno spazio punteggiato di colonne di cemento che rappresenta la
diaspora e l’esilio del popolo ebraico. La terza “via” porta ad una rampa di
scale che dà accesso alla mostra allestita nell’edificio dalle pareti rivestite
di zinco, che si innalzano verso il cielo su una pianta articolata ad angoli
secondo l’interpretazione astratta di una stella. Il profilo generale è ripreso
dalle finestre, squarci triangolari, trapezoidali e irregolari nella superficie
scintillante dell’edificio.
In questi
percorsi della memoria una tappa emblematica è rappresentata dalla visita a
Rosenstrasse, la breve via che si apre a fianco di Marx-Engels-Forum, dal lato
di Marien-kirche. All’inizio della strada è stato collocato un chiosco sul quale
sono affissi pannelli illustrativi che, in lingua tedesca e inglese, ricordano
l’episodio del 1943, reso celebre recentemente dal film Rosenstrasse di
Margherethe von Trotta (2003) e dal libro della giornalista Nina Schroder: Le
donne che sconfissero Hitler. In questo luogo accadde uno dei rari episodi
di opposizione al nazismo che ha dell’incredibile: dal 27 febbraio al 6 marzo
1943, un gruppo di donne tedesche sposate con uomini ebrei, presidiarono la
strada e l’edificio dove i loro mariti erano stati rinchiusi in attesa della
deportazione nei campi di sterminio. Le donne rimasero immobili al gelo della
stagione resistendo alle minacce delle armi con cui i militari le
fronteggiavano, fino a quando i loro mariti non vennero liberati. Nello slargo
che si apre nella strada fra gli attuali edifici, il visitatore di oggi trova
nel suo itinerario alla scoperta dei monumenti della zona, un gruppo di statue
in pietra a ricordo di quei fatti, posto in un giardino circondato da alberi
ombrosi.
La riunificazione, luci ed ombre
E’ stato enorme
lo sforzo di questi ultimi anni per la riunificazione e lo sviluppo di Berlino.
Le questioni da affrontare sono state di una grande complessità in tutte le
direzioni, nel quadro delle politiche volte a superare il sistema statalista
della DDR, per passare all’economia di mercato. Nella città si è trattato di
riallacciare le vecchie vie di comunicazione e di ricomporre per ogni settore
amministrativo, sociale e culturale, due diversi corpi burocratici. Con gli
enormi investimenti effettuati, si è dato attuazione a progetti studiati per
realizzare strutture moderne ed efficienti, in grado di far competere la
“ritrovata” capitale della Germania con tutte le altri capitali e città
metropolitane d’Europa e del mondo. Le rilevazioni statistiche mostrano che
negli ultimi dodici anni, la città ha messo al lavoro 5.640 architetti in oltre
diecimila progetti di costruzione, ricostruzione o restauro.
Di questo
straordinario impegno, si cominciano a trarre i primi bilanci nel momento in cui
una gran parte dei cantieri si sono chiusi o stanno per chiudere. Stupiscono le
cifre dell’indebitamento che incombe sull’amministrazione della città, che
alcuni commentatori, forse un po’ ad effetto, definiscono di dimensione
argentina.
Alla fine del 2002 il Senato ha reso noto che sulla città gravavano oneri per 46
miliardi di euro. Si pone poi il dito sul mancato raggiungimento di alcuni degli
obiettivi, posti all’avvio dei programmi di intervento, per quanto riguarda le
previsioni d’incremento degli abitanti e lo sviluppo delle attività terziarie e
produttive. I dati rivelano poi che un berlinese su sei non ha lavoro, la quota
più alta dalla riunificazione, il sistema sociale assicura comunque che nessun
cittadino viva sotto la soglia di povertà.
Nonostante
questi problemi, Berlino è una città che si concede tuttora 196 biblioteche
pubbliche, 170 fra musei e collezioni d’arte, 8 orchestre sinfoniche, 3 teatri
dell’Opera, 6 teatri di prosa, due zoo e 1600 spielplatz, le piazzette coperte
di sabbia e attrezzate per il gioco dei bambini. Questi dati sono da porre in
rapporto con il numero della popolazione: 3.385.000 abitanti ripartiti fra la ex
Berlino Ovest (2.110.000) e i quartieri orientali (1.275.000). Il numero di
stranieri con cittadinanza tedesca forma una notevole parte della popolazione
(450.000 unità); i gruppi etnici di maggiore entità provengono, in ordine, dalla
Turchia, ex Jugoslavia, Polonia, ex Unione Sovietica, Italia e Grecia. E’ anche
una città estremamente giovane: più della metà degli abitanti è al di sotto dei
35 anni e il 17,5% ha meno di 18 anni.
Sembra d’altra
parte importante considerare la frattura sociale e culturale che il muro ha
determinato nella popolazione nel corso di tre decenni. “Mentre le ferite di
questa città si stanno definitivamente cicatrizzando, quelle dei suoi abitanti
non si sono ancora completamente rimarginate. Il muro che tuttora incombe nelle
loro menti e nei loro cuori si è rilevato più difficile da abbattere di quello
che per quarant’anni ha popolato i loro incubi.”
Sono tratti non facili da cogliere da parte del visitatore, di solito, legato ai
tempi di una breve permanenza. E’ un capitolo importante della storia del nostro
tempo che può essere approfondito con molteplici contributi di giornalisti,
storici, scrittori.
Anche il cinema si è soffermato su questi aspetti, come il film Good bye,
Lenin ! del
regista Wolfgang Becker (2003).
Il film
affronta in maniera paradossale l’argomento, secondo lo spirito della commedia:
il protagonista, per non sconvolgere la madre, già fervente attivista della DDR
che è caduta in coma alla vigilia del crollo del muro, ricostruisce intorno a
lei un ambiente ormai scomparso, con esilaranti effetti comici come quando cerca
di far credere alla madre convalescente che “i profughi dell’ovest” stanno
correndo verso l’agognato mondo socialista. Il film ha avuto in Germania uno
straordinario successo di pubblico, segno evidente del diffuso interesse intorno
agli effetti che il processo di riunificazione ha avuto sulle storie private.
Berlino, città dell’incontro fra culture
Appare dunque
complesso il tentativo di comprendere la Berlino di oggi nelle sue diverse
sfaccettature e la ricerca d’identità dopo la caduta del muro. L’incontro con la
città, specie a distanza di anni, è comunque di grande fascino ed è avvincente
la scoperta delle novità e dei caratteri che la rendono unica e, allo stesso
tempo, simile ad altre grandi città. Fra le novità, il distretto di Postdamer
Platz, come abbiamo già detto, in cui si lavora e ci si diverte. A nord della
Porta di Brandemburgo, lungo le rive del fiume Sprea la nuovissima cancelleria
federale collega il nuovo distretto governativo allo storico Reichstag, dove si
riunisce il parlamento tedesco. Nell’Isola dei Musei alcune strutture di
prestigio universale hanno riaperto i battenti dopo un felice intervento di
ristrutturazione. Anche la zona intorno a Kurfurstendamm, già nel cuore della
parte occidentale, sta cambiando volto: l’architettura degli anni 50 è stata
ravvivata grazie agli interventi di prestigiosi architetti, come l’italiano Aldo
Rossi, e vive scale di colore denotano larghe parti del paesaggio urbano. Ognuno
di questi luoghi rappresenta una delle mete più ricercate dai turisti: Berlino è
la città più visitata della Germania, con un numero annuale di permanenze per
notte che supera gli otto milioni. Un forte punto di richiamo è rappresentato
anche dalla vivacità della vita culturale. Fra queste le manifestazioni per i
giovani, come quelle che si tengono ogni anno nel Tiergarten Park dedicate alla
Techno music, che ha visto la partecipazione anche di un milione e mezzo
di persone.
C’è da
chiedersi dove si poserebbero oggi gli angeli di Wim Wenders, che abbiamo visto
volteggiare nel cielo della Berlino divisa degli anni 80. Si può scommettere che
anch’essi preferirebbero raggiungere la sommità della nuova cupola del
Reichstag, dal quale si può osservare uno straordinario panorama all’esterno e
seguire, allo stesso tempo, quanto avviene all’interno dell’edificio. Senz’altro
sarebbero invidiati dagli “umani”, anzi, dai bambini che meglio se la intendono
con queste creature, dal momento che le ali permetterebbero loro di superare la
lunghissima fila di visitatori che in paziente attesa attendono, anche per ore,
in fila sulle scalinate e sul prato del Tiergarten Park, il loro turno per
iniziare la visita.
La cupola fa
parte dell’opera di ricostruzione dello storico edificio: esso simboleggiò, con
l’incendio del 1933, il crollo della democrazia tedesca; il 30 aprile 1945,
sulle sue macerie fumanti, dopo una sanguinosa battaglia anche lungo i corridoi
durante la quale venne esploso un milione di proiettili, fu issata dai soldati
sovietici la bandiera rossa. Oggi il Reichstag è il cuore della vita
democratica della Germania e si è trasformato rapidamente, con l’intervento
dell’architetto Norman Foster, in un simbolo della nuova Berlino. “La cupola è
sia un elemento fondamentale della composizione architettonica, comunicando
all’esterno i temi di leggerezza, trasparenza e dimensione pubblica, sia un
dispositivo chiave nelle strategie di utilizzo di energia e luce.” E’ da notare
che i banchi dell’Assemblea sono posti al primo piano e in corrispondenza di
questo spazio, in alto si apre la cupola in struttura d’acciaio e vetro, alta 23
metri e larga 40: all’interno di essa, due rampe elicoidali portano la gente
alla piattaforma di osservazione sopra la sede plenaria, elevandoli
simbolicamente sopra le teste dei loro rappresentanti politici. Al centro della
cupola, per la sua lunghezza, vi è un tronco di cono rovesciato – light
sculptor - rivestito di specchi di vetro altamente riflettenti. Le modalità
di costruzione del light sculptor, impediscono di giorno la penetrazione
del calore e della vivida luce solare e di sera, permettono di riflettere
all’esterno la luce artificiale della sala dell’Assemblea, illuminando la
cupola, come una lanterna, “in modo che i Berlinesi sappiano quando il Bundestag
è riunito”. Considerando l’insieme degli accorgimenti fortemente innovativi che
sono stati adottati, “il nuovo Reichstag può essere preso come modello di
un’architettura sostenibile” per l’ampio uso di luce e di ventilazione naturali,
per il forte risparmio energetico e per la scarsissima emissione di elementi
inquinanti.
I motivi della
trasparenza e della leggerezza animano anche l’architettura degli edifici del
nuovo distretto degli uffici governativi e parlamentari costruiti al limitare
del verde Tiergarten Park, lungo le rive della Sprea. Le forme sono lineari,
cubi o parallelepipedi, con le strutture esterne in cemento ed acciaio, con
grandi vetrate lungo intere pareti, che catturano i riflessi delle vicine acque
e lasciano scorgere gli interni con i loro arredamenti spesso pieni di colori, i
saloni degli incontri, le aule delle commissioni parlamentari, gli ambienti
pieni di scaffali degli archivi e delle biblioteche specializzate. Il fiume in
questo tratto è molto frequentato sia lungo il sentiero che si apre sulle sponde
che dai numerosi battelli turistici. Questa estate di fronte agli edifici
governativi e del parlamento è stata aperta – riprendendo l’esperienza fatta a
Parigi nel centro della città sulle rive della Senna– una spiaggia attrezzata
con sabbia bianca trasportata dal mar Baltico, sedie a sdraio e bar, molto
frequentata da giovani berlinesi e turisti, oltre che da deputati e funzionari,
nelle pause del lavoro.
Queste scelte
architettoniche richiamano gli indirizzi che Renzo Piano dichiarò di aver
seguito “per restituire alla vita” Potsdamer Platz, il luogo più mitico, magico
e tragico del Novecento: “C’era bisogno di utopia per riempire il buco nero di
Potsdamer - così iniziava la sua intervista - E questa utopia io l’ho cercata
nella leggerezza. L’aria, il vetro, la luna e soprattutto l’acqua che è fonte di
vita, vibra, non sta mai ferma, duplica le immagini.” La sue dichiarazioni si
concludevano con le parole: “In realtà l’italiano a cui mi sento più vicino è
uno scrittore, Italo Calvino, soprattutto il Calvino delle Lezioni americane.
Da lui ho rubato quell’ideale di leggerezza che ho cercato di afferrare e
tradurre in palazzi, aeroporti, piazze, strade, usando anche l’acciaio e il
cemento.”
Infiniti motivi
possono portare dunque oggi a Berlino e far scoprire, per tanti versi, che essa
si propone sempre più come città dell’incontro fra i popoli dell’Europa e del
mondo, le loro culture, le diverse generazioni. E’ una scoperta importante che
avviene in uno dei luoghi in cui la storia dell’umanità è parsa perdere nel
secolo appena trascorso, il senso della ragione. Un luogo simbolico del nuovo
volto di Berlino è rappresentato dall’imponente Porta di Brandeburgo,
attraversata il 22 dicembre 1989 da un milione di Berlinesi inebriati dalla
caduta del muro ed oggi frequentata da un numero straordinario di visitatori.
Nell’ala nord della Porta si trova la Raum der Stille, la Camera del Silenzio,
nella quale è possibile sedersi e restare in meditazione. Ci sembra un invito
straordinario, da raccogliere per continuare a cercare il senso del nostro
presente.
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