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Il paesaggio fra poesia e memoria
Recentemente sono stati
creati itinerari e veri parchi «letterari» nei quali coniugare suggestioni
letterarie con i paesaggi che le hanno ispirate.
Il paesaggio narrato
Fra i piaceri della lettura vi è quello
di immaginare i luoghi dei quali lo scrittore o il poeta illustra i tratti del
paesaggio nel quale si muovono i personaggi della sua opera [Si
veda sull'argomento R. Milani, L'arte del paesaggio, Il Mulino,
Bologna 2001. Il libro riporta un'ampia ed attuale bibliografia.]. Può essere poi di
grande suggestione andare alla scoperta dei luoghi con il libro sotto il
braccio, muoversi nel paesaggio evocato lungo i percorsi descritti, ponendo a
confronto le immagini e le emozioni che suscitano le pagine scritte, con
l'ambiente reale che ci è di fronte, con quello che ci suggeriscono le nostre
sensazioni, secondo l'alzarsi o il declinare della luce, l'accendersi dei
profumi, l'alternarsi del giorno e della notte, il succedersi delle stagioni.
In questa ricerca ci possiamo scoprire come pellegrini del sogno e della luce,
in un rapporto particolare con lo scrittore o con il poeta.
Un aspetto poi da considerare è il
piacere di condividere con altri queste sensazioni e aver modo di considerare
come lo sguardo dell'altro percepisce lo stesso paesaggio e ampliare così il
raggio della nostra visione. Nell'epoca attuale, d'altra parte, il cinema che riprende i personaggi
di un racconto e il paesaggio immaginato dallo scrittore, rappresenta uno
sguardo particolare che si imprime nella nostra mente e rimane un costante
riferimento nella lettura del reale.
I parchi letterari
È un fenomeno di questi anni la
costituzione di parchi in alcune località celebrate da pagine della
letteratura e l'apertura di percorsi per raggiungere le testimonianze presenti
e le parti più interessanti del paesaggio. Il più delle volte sono denominati
parchi culturali e sono predisposte forme organizzative che prevedono, in
alcuni casi, grossi impegni finanziari, per la salvaguardia dell'ambiente, per
rendere chiaramente leggibili per il visitatore le parti del parco di maggiore
suggestione. Questo tipo di intervento può concorrere in maniera significativa
allo sviluppo sociale ed economico di intere aree territoriali e richiede
l'impiego di un'occupazione qualificata, che
di solito stenta a
trovare occasioni di lavoro. Proprio per questo motivo negli ultimi anni è
possibile accedere ai fondi strutturali dell'Unione Europea per investimenti
destinati alla creazione, in aree economicamente marginali, di parchi volti a
porre in valore beni e testimonianze culturali, fra le quali sono da porre i
parchi legati alla fama di poeti e scrittori. Sono esperienze che si vanno
moltiplicando nelle regioni italiane e in molti altri paesi, secondo un'ampia
varietà di modelli. Fra questi si collocano i Parchi letterari.
I Parchi letterari [Si veda l'articolo di Lorena Fiorini: Parchi letterari: le pagine prima di essere pagine, del 26
novembre 2001, in
www.turismo.it/articoli, dal quale
sono tratte le informazioni riportate nel paragrafo.] indicano uno spazio
fisico, ma anche mentale, dove l'autore ha vissuto o ha assorbito l'atmosfera
che lo ha portato a scrivere le sue opere. Un visitatore qui trova l'insieme
reale di un territorio che è stato fonte di ispirazione di uno o più autori
letterari: le immagini o le storie di quei luoghi possono essere vissute
autonomamente o attraverso una serie di iniziative ed attività organizzate
appositamente per i visitatori. Si tratta di un'isola per staccarsi dal
frenetico vivere quotidiano, per rifugiarsi in un «viaggio sentimentale» legato
ad una realtà conoscitiva e turistica di qualità.
Il Parco può comprendere uno o più luoghi, ruderi,
case, interi centri storici, sentieri, vecchie strade dentro o fuori gli
agglomerati abitativi. In tale spazio sono salvaguardate le esperienze visive
ed emozionali dell'autore, anche attraverso attività che stimolino curiosità e
fantasia. Ogni intervento tiene conto dell'ambiente, della storia, delle
abitudini e delle tradizioni di chi vive sul luogo attraverso visite guidate,
iniziative
culturali, servizi di informazione, gastronomia, nuove forme di ospitalità.
La Fondazione Ippolito Nievo ha promosso l'idea dei
Parchi letterari [Presidente della Fondazione è lo
scrittore Stanislao Nievo, pronipote del l'autore de Le Confessioni di un Italiano.].
Oggi esistono ventotto Parchi avviati anche con il ricorso a risorse europee, con l'accordo dei Comuni sul cui
territorio questi si trovano. Fra i più noti e visitati possono essere
indicati: il Parco letterario di Ippolito Nievo in Friuli, di Cesare Pavese a
Santo Stefano Belbo, di Giosue Carducci in Toscana, di Giacomo Leopardi a
Recanati, di Giovanni Verga in Sicilia.
E ai Parchi già realizzati se ne stanno aggiungendo
altri trenta legati ad autori come Carlo Cassola, Vasco Pratolini, Aldo
Palazzeschi, Primo Levi. In ogni Parco letterario il visitatore potrà trovare
un centro di accoglienza chiamato «Locanda della Sapienza», i cartelli che
indicano il percorso con tutti i riferimenti necessari alle pagine e alla vita
dello scrittore, e una vasta offerta di iniziative e proposte
culturali. «I viaggi
sentimentali», per esempio, sono itinerari simbolici alla ricerca di emozioni
seguendo il percorso delle pagine di grandi libri ispirate all'ambiente, tra
scene di teatro lontane nel tempo riproposte a sorpresa, balletti del tutto
inattesi che scaturiscono in una sala rinascimentale dimenticata, monologhi
notturni illuminati dai bagliori di splendide rovine. Si possono trovare anche
soggiorni a tema, corsi in varie discipline e laboratori sperimentali.
I Parchi letterari sono un luogo di produzione di
attività culturale
e possono ospitare convegni, spettacoli, mostre, concorsi, premi letterari,
pubblicazioni e visite per le scuole, oltre a piccoli mercati di prodotti
connessi al tema. In particolare prodotti artigianali, cibi, ceramiche,
metalli, tessuti che si riconducono alla memoria dello scrittore.
Questo tipo di parco rappresenta la forma maggiormente
strutturata e alcune delle iniziative previste sono rivolte a meravigliare e
divertire il visitatore come in un parco dei divertimenti, più che a stabilire
un rapporto diretto con la sfera dell'immaginazione e della sensibilità.
I «sentieri letterari». La Liguria
Al lato opposto del modello ora
considerato, si collocano gli interventi progettati con spirito di leggerezza,
volti ad orientare il lettore nell'ambito del paesaggio evocato dalla pagina
scritta e a fissare segni lievi in alcuni luoghi di particolare significato e
suggestione. In questo caso più che di parco si può parlare di sentiero, di
percorso dedicato ad un determinato evento letterario. In alcuni momenti, si
deve parlare di semplici sentieri che attraversano particolari paesaggi e il
loro fascino può essere arricchito dal ricordare l'emozione provata da un
autore. Si tratta di un'esperienza comune, ma ogni volta che viene provata può
dare come un senso di felicità o di malinconia. Lungo il Sentiero delle Cinque
Terre – per richiamare una di queste possibili esperienze – appena usciti dal
paese di Manarola, sul bianco muro del cimitero, in alto sopra le teste dei
passanti, si stagliano i versi di Vincenzo Cardarelli [Versi
tratti da Liguria dell'opera di Carderelli Poesie,
del 1936.]:
O
aperti ai venti e all'onde
liguri cimiteri!
Una rosea tristezza
vi colora
quando di sera, simile ad un fiore
che marcisce, la grande luce
si
va sfacendo e muore.
È la stessa terra legata al suono dei
versi di Eugenio Montale del quale ritroviamo il ricordo nel percorso che
congiunge Riomaggiore a Monterosso («Vedo il sentiero che percorsi un giorno
come un cane inquieto...») insieme alle testimonianze di altri poeti come
Giorgio Caproni e Camillo Sbarbaro, che vissero o soggiornarono a lungo in
Liguria. La guida essenziale nelle passeggiate lungo la costa marina di questa
regione, è il testo delle poesie e l'orientamento è dato da segni «leggeri»,
cartelli posti sul percorso, a cura degli enti preposti a svolgere opera di
valorizzazione dell'ambiente, per suggerire la memoria di alcuni versi.
Il paesaggio di Giovanni Pascoli dalla
casa di Castelvecchio
L'altra regione sulla quale intendiamo
soffermarci è la Toscana, per alcuni territori lontani dai più frequentati
circuiti turistici.
Il primo riferimento è alla Garfagnana
e alla Media Valle attraversate dal fiume Serchio: la parte superiore del corso
è racchiusa fra il versante meridionale dell'Appennino tosco-emiliano, le
pendici delle Pizzorne e il fronte settentrionale delle Alpi Apuane, dai
caratteri montani e alpestri, con ripidi terrazzamenti e alte colline che la
distinguono dalla parte mediana della valle nella quale il fiume, dopo la
confluenza nelle sue acque della Lima, si snoda entro un più dolce anfiteatro
di rilievi. Una rete di sentieri attraversa questo paesaggio di grande fascino:
alcuni seguono la direzione dei crinali, altri risalgono dal fiume verso i
monti. Questa rete congiunge antichi ponti, mulini, ricoveri di pellegrini,
pievi, castelli, borghi, testimonianze delle diverse epoche storiche. Su questo
paesaggio si soffermava spesso, dalla casa di Castelvecchio vicino a Barga, lo
sguardo di Giovanni Pascoli. Davanti alle sue finestre si apriva lo scenario
delle Alpi Apuane,
l'arida seghettata
appuntita fila delle Alpi Apuane, lucenti di marmo... [G.
Pascoli, Un
paese donde si emigra, in U.
Sereni, Il
poeta legislatore, p. 63.], fiancheggiata dai colli
coperti di boschi e di vigne.
Erano i monti / tutti celesti; tutto era imbevuto / di cielo:
erba di poggi, acqua di fonti, / fronda di selve, e con il suo blocco acuto / la
liscia Pania, e con le sue foreste / il Monte di Gragno molle di velluto [G.
Pascoli, Il
soldato di San Piero in Campo, in Primi poemetti.].
Un panorama che appariva agli occhi del Pascoli come una serie di quinte successive dai toni
cromatici progressivamente sfumati dalla profondità del campo visivo e velati
dalla foschia; montagne cui la natura geologica aveva conferito forme aguzze
ed irregolari, con pareti di roccia dai colori chiari che lasciavano leggere
ogni particolare delle pieghe e delle strette valli e, in primo piano, le
colline verdi e lucenti, degradanti fino al Serchio.
Sul fiume, in basso rispetto alla casa di
Castelvecchio, il Ponte di Campia con l'Osteria del Platano, ancor oggi aperta,
meta – come ricorda un cartello – delle passeggiate del poeta.
Su
la riva del Serchio a
Selvapiana, / di qua del Ponte a cui si ferma a bere il barrocciaio della
Garfagnana, / da Castelvecchio menano, le sere del dì di festa, il loro
piccolo armento/ molte ragazze dalle trecce nere./... [G.
Pascoli, Il torello, in Primi Poemetti.]
I luoghi che frequenta Giovanni Pascoli e il paesaggio
su cui posa il suo sguardo dalla casa di Castelvecchio [Giovanni
Pascoli vive, per lunghi periodi ogni anno, nella casa di Castelvecchio dal 1895
al 1912, anno della sua morte.] diventano
nelle mille sfumature di colore, di suoni, di profumi, l'anima della sua poesia.
Con il progetto del futuro parco le istituzioni locali [E'
stata costituita in tempi recenti, la Fondazione Giovanni Pascoli, con sede
nella casa di Castelvecchio.] intendono
richiamare alla memoria del visitatore la presenza del poeta in quei luoghi.
I Canti Orfici e il
paesaggio dell'Appennino fra la Toscana e la Romagna
Il paesaggio dell'Appennino posto fra la Toscana e la
Romagna, è stato cantato all'inizio del secolo passato da Dino Campana [Dino
Campana, nato a Marradi, in provincia di Firenze, nel 1885, è morto nel 1932 a
Castel Pulci al termine di un lungo internamento in manicomio.], l'autore dei Canti Orfici
[«Perché ho messo i Canti Orfici tra i venti
libri del Novecento da salvare? - si chiede Piero Bigongiari, in Poesia italiana del Novecento, I,
Saggiatore, Milano 1978, p.131 - Perché coi Canti Orfici è stato
scoperto un nuovo modo della realtà che è per me essenziale a una compiuta
definizione dell'uomo del Novecento. Campana non ha scisso oggetto e soggetto,
la realtà dalla sua immagine; ora questa inscindibile unità, mantenuta a costo
della vita, ha fatto di Campana un poeta del!'«età aurea» dell'uomo sulla
terra (...) è visivo in quanto vede una realtà portargli dalle qualità
intrinseche del «vegente»: una realtà che è qui, e insieme non è qui: che e
Bologna, l'Arno, le stradine di Firenze, Campigno, Marradi, la Falterona, ...».], nato a Marradi nel 1885.
Egli incarna il modello del poeta maledetto, irregolare e sregolato, della
nostra tradizione del primo Novecento: la sua poesia è suggestiva ed
evocativa, legata a tematiche notturne, oniriche, visionarie riferite ad una
pluralità di scenari paesaggistici della città e della montagna
[Vedi S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario. Novecento, Principato,
Milano 1989, p.123.].
Emilio Cecchi che l'aveva conosciuto personalmente,
sostiene [E. Cecchi, Di giorno in
giorno, Garzanti,
Milano 1954, p. 314.]:
«Accanto
a Campana, che non aveva affatto l'aria di un poeta, e tanto meno d'un
letterato, ma d'un barrocciaio: accanto a Campana, si sentiva la poesia come se
fosse una scossa elettrica, un alto esplosivo.... E segnatamente nel
paesaggio, egli si esaltò in una bellezza italiana, specificamente toscana, di
autorità antica e veneranda». Lo sguardo che egli posa sul paesaggio
dell'Appennino restituisce infiniti riflessi di colore e di magia, che
incantano il lettore dei suoi versi. Il Comune di Marradi ha dedicato alcuni
segni leggeri nei luoghi legati alle immagini dei componimenti, rappresentati
da semplici leggii dove sono riportati i versi delle poesie [Vedi
www.terraditoscana.it/marradi/marradi.htm]. Fra questi luoghi ricordiamo La Colombaia, punto strategico da cui si può
ammirare «il triangolo del Castellone» e «La Cupola Rossa» del Palazzo
Comunale; il Ponte sul Lamone a cui il poeta si riferisce nella celebre poesia L'invetriata
[D. Campana, I Canti
Orfici, Bur, Milano
2001, p. 109.]:
La sera fumosa
d'estate
Dall'alta invetriata
mesce chiarori
nell'ombra
E mi lascia nel cuore
un suggello
ardente.
Ma chi ha (sul
terrazzo sul fiume si
accende una lampada) chi ha
A la Madonnina del
Ponte chi è chi è
che ha acceso la lampada? ...
Ed ancora possiamo ricordare fra i luoghi dove sono
stati posti i leggii, Campigno, paese che si incontra all'inizio del lungo
sentiero che da Marradi porta, per il crinale appenninico, a La Verna [D.
Campana, op. cit., p.128.]:
«Campigno: paese barbarico, fuggente, paese notturno,
mistico incubo del caos. Il tuo abitante porge la notte dell'antico animale
umano nei suoi gesti. Nelle tue mosse montagne l'elemento grottesco profila: un
gaglioffo, una grossa puttana fuggono sotto le nubi in
corsa. E le tue rive bianche come le nubi, triangolari, curve come gonfie vele:
paese barbarico, fuggente, paese notturno, mistico incubo del Caos».
L'escursionista legge queste parole e ha davanti a sé
la visione del monte di fronte al paese di Campigno, al di là della piccola
valle verde, a forma di una piramide creata da grandi strati di rocce bianche:
le pendici del monte danno proprio il senso di bianche vele, tese dal vento del
mare. Il passo ora citato fa parte del Diario del pellegrinaggio da Marradi a
LaVerna [D. Campana, op. cit., pp. 117-134.], la singolare vetta calcarea (il «crudo sasso
intra Tevero ed Arno» di Dante) dove sorge il santuario a ricordo di San
Francesco d'Assisi, che nel settembre del 1224 «da Cristo prese l'ultimo
sigillo». Il pellegrinaggio è compiuto da Campana in una particolare
solitudine, che è sì solitudine fisica, ma anche colloquio sempre aperto con i
grandi spiriti dell'arte e della letteratura del passato – come Dante,
Leonardo, Andrea del Castagno, San Francesco – con i quali egli conversa e
confronta le proprie esperienze. Il poeta costruisce il pellegrinaggio verso la
«città santa» su una serie di sfondi sempre diversi, legati ai luoghi che
attraversa (Campigno, Castagno, il Falterona, la Foresta di Campigna, Stia),
segnati ciascuno da profonde differenze con quello successivo e da una varietà
di elementi che vanno dal mistico al fantastico. In questa capacità di
ambientazione Campana ha, come è già stato rilevato, un suo posto particolare
e preminente nella letteratura del Novecento.
Il percorso appenninico lungo il quale da Marradi si
raggiunge la Verna, corrisponde ai giorni nostri, in gran parte, ad un settore
della Grande Escursione Appenninica (GEA) [Vedi A.
Bietoloni, G. Bracci, GEA, Grande
escursione appenninica, Trekking a piedi o a cavallo, Tamari
Editori, 1985.]: il libro
dei Canti Orfici, con il diario del pellegrinaggio del poeta, può essere
per l'escursionista di oggi un compagno di grande fascino.
Sibilla Aleramo e
Dino Campana: il paesaggio di «un viaggio chiamato amore»
In un'altra parte del!' Appennino non molto distante,
fra il Mugello e Firenzuola, in una calda giornata del mese di agosto dell'anno
1916, ha inizio un viaggio particolare che comincia con l'incontro fra il poeta
Dino Campana e la scrittrice Sibilla Aleramo [Sibilla
Aleramo (pseudonimo di Rina Faccio) è nata ad Alessandria nel 1876 e morta a
Roma nel 1960. Il romanzo che l'aveva resa celebre s'intitola Una
donna.], in un
piccolo paese della montagna, il Barco, formato da un pugno di case lungo la
strada che dopo Scarperia, scende dal Passo del Giogo. Più precisamente, ci
racconta Sebastiano Vassalli [S. Vassalli, La notte della Cometa. Il romanzo di Dino Campana,
Einaudi, Torino 1990, p.196.]:
«il 3 d'agosto, giovedì, alle sette e mezza di mattina Dino è
seduto su un muretto appena fuori del paese e guarda verso Scarperia la
corriera "postale" da Firenze che si avvicina in una nuvola di polvere, che si
ferma a pochi metri da lui. Ne scende – unico passeggero – una signora vestita
di bianco con larghissimo cappello e un'andatura regale».
Fra i due, dopo che Sibilla ha letto i Canti
Orfici e ne è rimasta affascinata [E' celebre la
poesia di Sibilla Aleramo (25 luglio 1916):
Chiudo il tuo libro, |
snodo le mie treccie, | o cuor selvaggio, |
musico cuore...], vi è stato un
primo scambio di lettere ed è stato deciso il luogo e il giorno dell'incontro.
Un recente libro dal titolo quanto mai espressivo – Un viaggio chiamato
amore [S. Aleramo, D. Campana, Un viaggio chiamato
amore, Lettere 1916-1918, a cura di
B. Donati, Feltrinelli, Milano 2000.] – raccoglie le lettere che Dino e Sibilla si scrissero
dal 1916 al 1918. Ogni pagina di questo carteggio è la tappa di un viaggio senza
soste, dall'attesa dell'incontro («Non sono più giovane, lo sapevate? Però
ancora buona camminatrice – cotesta occhiata agli Appennini la darei volentieri,
con voi»), ai giorni felici «fra la vera montagna dei solitari» e la «pura
bellezza dei grandi boschi», all'incanto di Casetta di Tiara [Lettera
del 19 settembre 1916.], paese sospeso fra i monti, in alto sopra il mare verde dei boschi, la
notte vicino alle stelle («le stelle intorno a Casetta di Tiara», «nos
étoiles»), all'incontro con la natura ed i colori degli «ultimi splendori della
bella stagione». Ma ci sono poi
anche i giorni del dolore e della sofferenza, del lungo periodo
dell'abbandono. «Come sapete ho la testa vuota» scrive Dino dalla casa di
Casetta di Tiara, mentre fuori soffia un cattivo vento, «il vento iemale che
empie questa Valle d'Inferno», infossata fra il buio dei boschi, verso il paese
di Moscheta con i ruderi dell'antica abbazia vallombrosana. Il viaggio volge
verso il suo compimento, come ricorda Dino con la poesia In un momento:
/ Erano le sue rose erano le mie rose / Questo viaggio chiamavamo
amore / Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
/ ... [S. Aleramo, D. Campana, op. cit., p. 97.].
Di questo «viaggio d'amore» si sono occupati, com'è
noto, il cinema, la letteratura, il teatro. Crediamo che possa essere di
grande interesse per coloro che amano immergersi nel paesaggio che fu
partecipe dell'incontro fra due personalità così diverse, affascinate allo
stesso tempo dalla natura che li circondava. Fra i possibili sentieri da
seguire uno congiunge il Passo del Giogo con Moscheta, la Valle dell'Inferno,
Casetta di Tiara; è poi possibile proseguire in alto, lungo il crinale, verso
Palazzuolo sul Senio e Marradi. Lungo questo percorso non ci sono segni che
ricordino le tappe di quella storia lontana. Tutto è affidato all'accortezza
di avere a portata di mano, nello zaino, il libro curato da Bruna Conti e,
perché no, alla curiosità e alla voglia di parlare con i rari abitanti dei
casolari e rivolgere domande del tipo: «Dov'era la trattoria al Barco che
ospitava una volta i turisti?», e a Casetta di Tiara chiedere della casa presso
la quale si fermarono Dino e Sibilla; e cercare i segni del paesaggio
circostante, che essi richiamano nelle loro lettere. Secondo i possibili
modelli del parco («culturale»,
«letterario»), si può dire che stiamo costruendo così un parco semplicemente
«virtuale», che però ci vede felici, pieni artefici dell'operazione,
senza alcun condizionamento dall'esterno; ed è un
«gioco» che inizia in città, spesso fra gruppi di amici e nell'ambito della vita
delle associazioni
culturali
ed ambientalistiche, con la raccolta delle carte necessarie e con la
progettazione dei percorsi e della «ricerca sul campo». Il «gioco» può poi
continuare, sempre che diverta, al ritorno in città per gli approfondimenti che
possono essere resi necessari dal «nostro viaggio». Si crea così, parlando per
metafora, un ponte fra la città e la
cultura,
le memorie, il paesaggio della montagna.
Il racconto di
Ernesto Balducci e la terra di Santa Fiora
Vorremmo infine rivolgere lo sguardo al Monte Amiata,
con le intenzioni fino ad ora illustrate, con spirito di curiosità, alla ricerca
del rapporto fra alcune suggestioni che derivano dalla pagina scritta e il
paesaggio del luogo. La scelta che ci proponiamo in particolare, è relativa a
Santa Fiora e ad alcune pagine che ci ha lasciato Ernesto Balducci sulla sua
infanzia e sulla storia di questa terra.
In una pagina memorabile [E. Balducci, I1 futuro ha un cuore antico, «Amiata
Storia e Territorio», 1958, n.1, pp.5-7.], egli ricorda:
«E
vero quel che scrisse
Carlo Levi: il futuro ha un cuore antico. A volte, quando torno nella mia terra
e mi soffermo silenzioso ad osservare le nere pietre di trachite delle case di
Santa Fiora, o l'onda verde che sale verso la vetta, o il profilo del Monte
Labbro con la sagoma della torre di David, sento che il cuore antico batte
ancora e attende gli strumenti dell'intelligenza moderna. Non so per quali vie,
non so con quali mezzi, ma so che la strada è questa».
Lo sguardo di Balducci adulto spazia sul paesaggio
della terra delle sue radici. Ritorna subito alla mente il suo sguardo di
fanciullo: «La stanza in cui dormivo da piccolo aveva
una finestra che dava su un dirupo (la casa è ancora lì, appollaiata sulle
mura medievali) oltre il quale si alzava una breve cornice di poggi. Ai Iati
del dirupo la lunga sagoma di un antico convento di Clarisse. Di notte, a più
riprese, la campanella chiamava le monache a «mattinar lo sposo». Di tanto in
tanto, mi capitava di scendere dal letto, al suono della campanella, per
osservare nel buio accendersi una dopo l'altra le minuscole finestre delle
celle e poi spegnersi»
[E. Balducci, Il
cerchio che si chiude, Intervista
autobiografica, a cura di L. Martini, Marietti, Genova 1989.].
Da quella finestra
coglie, come afferma, «il tempo dell'Essere». Spingendo fuori lo sguardo dalla
stessa finestra, coglie anche «il tempo» del lavoro, nel paesaggio appena
schiarito dalle luci delle acetilene dei minatori: «La mattina, verso le
quattro o le cinque, sentivo il richiamo del gruppo dei
minatori; mio padre scendeva con l'acetilene e
partivano a piedi per fare quattordici chilometri e raggiungevano la miniera.
Vi si calavano dentro. La sera, quando imbruniva, stavo alla finestra in attesa
che si vedessero le acetilene – i lumi dei minatori che tornavano – per dare a
mamma il segnale di mettere giù la minestra» [E. Balducci,
op.cit., pp. 9-17.].
Ai giorni nostri un'ampia serie di sentieri consente
di immergersi in questo paesaggio, alla ricerca anche delle immagini evocate
dalle pagine di Balducci [Si veda R. Pratesi, A. Arrighi,
A piedi in Toscana,
Edizioni Iter, Roma 1989.]. La scelta dei percorsi è facilitata dalle
informazioni presenti su
Internet [Si veda
www.parcofaunistico.it]; possiamo ricordare l'accurata descrizione del
sentiero che porta alla vetta del Monte Labbro, la descrizione delle miniere,
fra le quali la miniera del Siele, da cui si estraeva il cinabro e dove
lavorava il padre di Balducci.
Si può affermare che nel presentare in una forma così
completa ed efficace il territorio della Comunità dell'Amiata, la sua storia e
le sue risorse, si coglie come un senso di orgoglio nell'appartenere a questa
terra. D'altra parte al turista
curioso di questa
storia, si porge con uno strumento attuale, quello di Internet, una serie di
elementi per consentirgli di immergersi in piena libertà, seguendo le sue
suggestioni, nel paesaggio dell'Amiata e di Santa Fiora, in particolare.
Che questo modo di presentare le proprie radici e di
rispettare lo spirito di una libera ricerca del visitatore, siano fra gli
«strumenti dell'intelligenza moderna» di cui si avvale oggi questa terra dal
«cuore antico»?
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