| |
Mario
Luzi o della “tensione verso la semplicità”
Un ricordo del
poeta fiorentino recentemente scomparso,
amato da giovani e meno giovani
per il
suo impegno civile e il legame con la sua terra.
Da poche
settimane Mario Luzi riposa nel cimitero di Castello presso la Chiesa di San
Michele, nella periferia nord di Firenze. Dopo il solenne saluto nel Salone dei
Cinquecento di Palazzo Vecchio e le esequie celebrate nel Duomo dal cardinale di
Firenze alla presenza del Presidente della Repubblica[1],
il corpo del poeta è stato tumulato, vicino alla tomba della madre, in questo
semplice cimitero di campagna, posto al limitare dei parchi di due ville
medicee, la Villa di Castello e la Villa della Petraia. Più in alto, il dolce
paesaggio delle colline e, poco dopo, il verde cupo dei boschi che s’innalzano
fino alla cima di Monte Morello; in basso ancora oliveti, altre ville, poi le
case e le fabbriche della pianura divise, nella prima parte, dalla ferrovia per
Bologna, in lontananza il centro di Firenze dominato dalla Cupola del
Brunelleschi.
Le origini,
Castello alle porte di Firenze
Luzi nacque nel
1914 a Castello e mosse i primi passi in questo quartiere, all’epoca una
frazione del Comune di Sesto Fiorentino. Vale la pena soffermarsi su questo
territorio, dove si possono cogliere una parte delle sue radici e ricercarne i
riflessi nella sua opera; qui d’altronde ha termine il viaggio del poeta che ha
attraversato gran parte del Novecento e ci ha lasciato la sua poesia come un
dono prezioso, fonte di emozioni e di segni per l’interpretazione del nostro
mondo.
La famiglia di
Luzi proveniva da Semproniano, un piccolo paese della Maremma, alle pendici del
Monte Amiata, non lontano da Santa Fiora. La madre era la figlia del farmacista
del paese; il padre, impiegato delle ferrovie, fece parte del consiglio comunale
di Sesto Fiorentino per il partito liberale. Fu proprio per questo che nel 1926,
in pieno regime fascista, fu allontanato per tre anni da Castello, fino al 1929;
in questo periodo la famiglia del poeta visse a Rapolano, in provincia di Siena.[2]
La scuola che
Luzi frequenta è posta presso le scuderie della villa medicea di Castello
[3]
trasformate in aule. Incontra in questi luoghi i segni della guerra: vede
arrivare alla stazione di Castello, vicino alla sua casa, i soldati che giungono
dal fronte, con le ferite ancora vive, diretti alla villa medicea della Petraia
adibita, in quel momento, ad ospedale militare. Ricorda in una recente
intervista che questo è il momento in cui scopre la sua vena poetica.[4]
Castello è il
quartiere dove risiede, anche negli anni successivi, la madre, alla quale è
legato da un profondo affetto. Una donna di grande religiosità, impegnata in
opere di volontariato presso la Misericordia di Firenze: “… era una buona
cristiana, ma soprattutto era molto cristica, era molto immedesimata con il
Vangelo e con l’Eucaristica. Io ho avuto questa educazione non impositiva, ma
l’esempio c’era. Questo ha contato...”[5]
“La morte di mia madre, nel 1959, dette come un crisma di religioso dolore…”[6]
a una serie di pensieri sul rapporto fra la vita e la morte.
“Ho sempre
avvertito una differenza fra me e i fiorentini puro sangue…”
Le vicende della
vita lo allontanano da questi luoghi ai quali tuttavia rimane legato, sia per la
presenza della famiglia sia per l’interesse con cui ritorna a considerare il
percorso che hanno compiuto gli stessi suoi coetanei, impegnati in questa
periferia operaia nelle lotte civili e politiche, percorso diverso dal suo, che
frequenta gli ambienti intellettuali del centro cittadino e le Giubbe Rosse.
Questo aspetto si coglie nell’opera Nel Magma (1963) e, in particolare,
nella poesia
Presso il
Bisenzio[7]:
La nebbia ghiacciata
affumica la gora della concia
e il viottolo che segue la
proda. Ne escono quattro
…..mi dice: "Tu? Non sei
dei nostri.
Non ti sei bruciato come
noi al fuoco della lotta
quando divampava e ardevano
nel rogo bene e male".
. . .
Rispondo: "Lavoro anche per
voi, per amor vostro"
. . .
Rimango a misurare il poco
detto,
il molto udito, mentre
l’acqua della gora fruscia,
mentre ronzano fili alti
nella nebbia sopra pali e antenne.
"Non potrai giudicare di
questi anni vissuti a cuore duro,
mi dico, potranno altri in
un tempo diverso.
Prega che la loro anima sia
spoglia
e la loro pietà sia più perfetta".
Dalla collina di
Castello si intravede da vicino la periferia della Firenze delle fabbriche e,
più lontano, i monumenti del centro storico. E’ immediato il riferimento al
Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, i sentimenti di distacco, di
diffidenza, che prova l’artista senese, osservando Firenze dall’alto, durante il
viaggio da Avignone a Siena, sono per certi versi simili a quelli del poeta:
[8]
. . .
E’ là, lei, la Gran Villa
che brulica e formicola.
di là dal fiume. Lo tenta
e lo respinge,
ostica, non sa
bene in che cosa, ma ostica
eppure seducente,
vivida.. . .
. . .
Ah Firenze, Firenze.
Sonnecchiano
intontiti i viaggiatori
nella sosta.
Meglio rimettersi in
cammino,
prendere la via di Siena,
immantinente.”
Il pittore
senese nel suo ultimo viaggio verso la natia Siena non entra nella città, si
mantiene a distanza come dichiara, si può dire, Luzi in queste sue pagine:
“Fiorentino lo sono di nascita e di formazione ma non di ascendenza familiare,
ubicata, questa in terra senese … polarizzata
culturalmente
sulla realtà e sul mito di Siena … Ho sempre avvertito una differenza fra me e i
fiorentini puro sangue per non essere, appunto io fiorentino di sangue e non
aver ricevuto per trasmissione sanguigna certi oscuri codici che mi colpivano,
in chi li aveva visceralmente assimilati, sia per la loro prontezza sia per la
loro violenza, ora per una sorta di efferatezza ora di caustica gentilezza, e
anche di esuberanza e insieme di meschinità.”[9]
Bellariva,
“l’attico-laboratorio”
Dalla periferia
nord alla periferia dalla parte opposta della città, possiamo seguire una parte
importante del percorso di Luzi. Dall’inizio degli anni 60 fino al momento della
morte, vive nel quartiere di Bellariva, in un condominio a qualche decina di
metri dall’Arno. E’ la parte di Firenze che si raggiunge da Porta S. Croce,
posta lungo la via Aretina vicino alla ferrovia per Roma, che in questo tratto
sfiora il parco dell’ex manicomio di San Salvi dove iniziò nel 1918 la
reclusione di un famoso poeta, Dino Campana; più lontano scorre il fiume prima
del suo incontro con il centro cittadino. Le colline di Settignano, per un
verso, e quelle di Arcetri e San Miniato, dall’altro, fanno da sfondo. Pratolini
parla di un quartiere di orti dove il personaggio del suo romanzo, Metello, va a
trovare Viola. I pittori Macchiaioli raccolti negli studi di via Piagentina, lo
ritraggono alla fine dell’Ottocento, vivo di colori con la distesa di campi di
ortaggi e di alberi da frutto, punteggiata da panni bianchi stesi al sole.
In questo
quartiere, trasformato nel periodo successivo fino alla massiccia edificazione
dell’ultimo dopoguerra, ha vissuto per oltre quarant’anni Luzi, in un edificio
di via Bellariva costruito alla fine degli anni 50. Non lontano gruppi di case
popolari, centri commerciali, alberghi per un turismo di passaggio, il verde dei
giardini comunali e della riva dell’Arno.
La casa di via
Bellariva è un edificio semplice, con una sua eleganza che accoglie ventiquattro
famiglie. Per incontrare il poeta si entrava nel minuscolo giardino a mattonelle
rosse, con un cartello perentorio che invita a lasciare “la pubblicità per il
condominio” in una grande cassetta per le lettere all’esterno, si percorreva
l’ampio ingresso con il soffitto di un incredibile colore verde e le mattonelle
in ceramica con colorati motivi floreali, e si saliva all’ultimo piano, dove era
posta l’abitazione del poeta, il “mitico” attico-laboratorio, pieno di luce, con
la grande terrazza alla quale si contrapponevano le ridotte dimensioni della
casa. In molte interviste rilasciate da Luzi è presente questo spazio di vita
sommerso dai libri e dai ricordi, con l’accenno, in alcuni casi, ai rumori che
giungono dal condominio e al rapporto cordiale con i vicini.
E’ affascinante
cercare di seguire lo sguardo del poeta sul paesaggio circostante, il fiume, non
più il proletario Bisenzio, ma l’Arno che scorre vicino prima di attraversare il
centro della città e che è presente in molte composizioni:
[10]
Tra canneti, erbe,
giuncaie
s’acquatta lui fiume,
lampeggia
qua e là, a sorpresa
. . .
Non sa che cosa ancora
nel suo procedere
l’attende:
la stretta, i contrafforti,
le ostiche muraglie
ma ecco nel più intimo
midollo
un brivido l’avverte,
s’approssima, gli entra
aspro e aguzzo nelle
viscere
il già secolarmente
e il non ancora
pietrificato di Firenze.
Volgendo
dall’attico di Bellariva lo sguardo verso il centro, si scorge in lontananza,
dominante sulla città, la cupola del Brunelleschi alla quale ha dedicato in
tempi recenti la sua opera, Fiore nostro fiorisci ancora
[11], che prende spunto dal settimo centenario della fondazione di Santa Maria del
Fiore. Immagina dapprima il dialogo fra due operai costruttori, chiamati ad
un’impresa che sembra oltrepassare le loro forze.
“Primo operaio: - L’Estate
è piena, il meriggio leva il cervello…. . Ser Filippo non conosce pausa,
sparisce e ricompare di continuo. Gli frullano per il capo mille idee ma una,
fissa, sovrasta tutte: questa cupola: Se va avanti, se regge per geometria, se
il calcolo era giusto.”
Nella seconda
parte della stessa opera è la voce della cattedrale stessa che, ripercorrendo la
propria storia, dà corpo ad un’affascinante quanto originale “cantata sacra” in
cui si rivela la più recente vocazione teatrale della poesia di Luzi . L’opera
rappresentata per la prima volta in occasione dell’inaugurazione di
illuminazione del Duomo, termina con le parole di una solenne preghiera:
O veni saeculum, veni
millennium, jubila.
Noi ti apriamo i cuori,
ti apriamo le porte, veni.
Quella che si dispone al
tono festoso del ricominciamento,
figli, è una chiesa
penitenziale. Molti hanno operato in me
e in nome mio, non onesta
ma anzi perfida e maliziosa
gente.
In molti hanno abusato del
mio limpido sigillo,
e io chiesa materna mi
affliggo di tutte le magagne.
Perdono, chiediamo a mani giunte.
Luzi nell’attico
di via Bellariva, magico laboratorio di poesia, intesse un perenne colloquio con
le ragioni della vita e del trascendentale.
“Coltivo una
tensione verso la semplicità”
L’incontro con questo personaggio, da
parte degli abitanti del suo quartiere era diretto, non occasionale; era facile
vederlo passeggiare nei giardini, fermarsi nella trattoria della zona, scambiare
un saluto. Nel suo modo di essere come uomo e come poeta c’è un’attenzione
costante alla realtà quotidiana, semplice, comune e anche materiale, è la linea
di una riflessione che non ha mai interrotto: “M’interessa la concretezza del
vivere, in cui è possibile scoprire, anche attraverso una chiave religiosa, la
possibile conciliazione tra creatore e creatura, tra l’esserci e l’esistere.
Coltivo una tensione verso la semplicità che è la meta ultima di ogni artista. E
dal mio lavoro mi sento trasformato io stesso, perché spesso l’opera muta
l’autore più di quanto accada il contrario.”[12]
“La tensione
verso la semplicità”, dunque. E’ un tratto che anche a me è capitato di cogliere
con immediatezza, nelle occasioni che ho avuto di incontrarlo e di conoscere,
più da vicino, alcuni degli ambienti in cui è vissuto.
Uno di questi è
l’Università di Firenze, dove Luzi ha tenuto, per un lungo periodo da metà degli
anni 50, l’insegnamento della lingua francese presso la facoltà di Scienze
Politiche Cesare Alfieri. Era stato chiamato dal preside Maranini, nel periodo
in cui fra i docenti della facoltà vi erano personaggi come Spadolini, Sartori,
Predieri, Fisichella. Il corso di Luzi era dedicato ai poeti francesi del
Novecento e, almeno per molti di noi, fu un incontro incantevole con un mondo
della poesia sconosciuto, vissuto sui testi di poeti come Mallarmè, Rimbaud,
Apollinaire, percorsi con la scansione densa e, allo stesso tempo, dolce di
Luzi. Il giorno in cui sostenni l’esame, ero l’ultimo della sessione e mi
ricordo che si risolse in un lungo colloquio su una poesia di Apollinaire, nel
tardo pomeriggio di una serata di giugno, in un’auletta del terzo piano di via
Laura, intorno ad un tavolo di formica verde. La conversazione proseguì per
molto tempo nella facoltà, ormai invasa dal silenzio, intorno alle immagini e
alle emozioni suggerite dai versi del poeta francese. Per me rimase l’esame che
mi dette le maggiori soddisfazioni.
L’incontro del
poeta con i giovani
Del suo modo
semplice e diretto di rapportarsi con i giovani, sono stato testimone in più
occasioni, ricordo in particolare un incontro, a metà degli anni 90, alla casa
del popolo di Settignano: il suo modo di intessere un colloquio con i giovani,
senza salire in cattedra, con semplicità, rispondendo in maniera piana, dolce
alle domande più strane: “Esiste ancora la poesia?”, “Di cosa vive un poeta?”,
“La poesia parla di Dio?”, “Con le poesie racconta la sua vita?”, per costruire
un filo di riflessione sulla dimensione e le ragioni della poesia nella vita di
tutti i giorni; in serate come queste le domande non finivano più e per tutti
c’era una risposta che nasceva da un mondo di grande ricchezza umana e poetica.
Di questo suo
modo di vivere, della sua disponibilità all’incontro con gli altri, fa parte il
costante rapporto con i giovani, nei lunghi anni da lui passati come docente nei
licei e, poi, nell’università. Luzi è stato un uomo legato al mondo della scuola
a cui, per sua stessa ammissione, deve molto per la sua “formazione umana e
culturale in termini di crescita emozionale e intellettuale”[13]
In interviste recenti più volte ha parlato del fare poesia a scuola e ha
sostenuto che conoscere e amare la poesia è per i giovani una grande risorsa:
“Non credo che si possa insegnare a diventare poeti….si può però insegnare a
ricevere la poesia come lettori e si può propiziarne l’ascolto, favorirne
l’interpretazione”.[14]
Ai funerali si
sono visti molti giovani delle scuole, con i loro zaini colorati; intervistati
dalla televisione, tutti hanno manifestato la loro simpatia per il poeta, per la
sua poesia ma anche per il suo impegno civile che aveva riaffermato con forza
fino agli ultimi giorni della sua vita difendendo appassionatamente la nostra
Costituzione[15]
e le ragioni della pace[16].
Rimane per tutti il grande fiume della
sua poesia che ha passato molte stagioni, mai fermo in gore stagnanti, alla
continua ricerca di nuovi specchi d’acqua dove cogliere i mille riflessi della
vita e le ragioni ultime dell’esistere. Il pensiero ritorna alle colline che
salgono fino alla vetta di Monte Morello, sopra Castello, dove Luzi riposa nel
piccolo cimitero, in luoghi che già i Medici scelsero per le loro residenze. Le
parole della sua ultima poesia, Il termine, ci accompagnano come un dolce
congedo:
Il
termine, la vetta
di quella scoscesa serpentina
ecco, si approssimava,
ormai era vicina,
ne davano un chiaro avvertimento
i magri rimasugli di una tappa
pellegrina
su alla celestiale cima. …
Note
[1]
Il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi aveva nominato il 14
ottobre 2004 Mario Luzi Senatore a vita.
[2]
Per le notizie sulla vita di Luzi, A. M. Biscardi,
Mario Luzi. Note di vita dall’archivio della memoria,
prefazione di Sergio Zavoli, Polistampa, Firenze 2004.
[3]
Dal 1974 la villa è sede dell’Accademia della Crusca.
[4]
Intervista a cura di T. Paladin e G. Petreni, 28-XII- 2001,
www.novecentopoesia.it: “Ci sono
precocità che tutti vantano: io non ho grandi exploit da annoverare. A nove
anni scrissi il mio primo testo e il successivo a dodici anni. Sono segni
che ci sono in tutte le infanzie.”.
[6]
M. Luzi, Tutte le poesie, Garzanti, Milano 1974 , p.262
[7]
M. Luzi, op. cit., pp.319-321.
[8]
M. Luzi, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, Garzanti,
Milano 1994, pp. 131 –132.
[9]
E. Cecchi, Fiorentinità e altri saggi. Prefazione di M. Luzi,
Sansoni, Firenze 1984, p.7.
[10]
M. Luzi, Dottrina dell’estremo principiante, Garzanti, Milano 2004,
p.50. La poesia fa parte della sezione Per natura che raccoglie
diverse poesie dedicate al fiume, un motivo costante di ispirazione per il
poeta. “Non ho scritto moltissimi versi con la complicità poetica del mare.
La mia acqua è più quella dei fiumi.” Dichiara in un’intervista rilasciata a
Rai International online nel 2001.
[11]
M. Luzi, Fiore nostro fiorisci ancora, Passigli Poesia ,Firenze 1999.
[13]
Intervista a cura di R. Carnero, Luzi: più poesia nelle scuole,
Avvenire, 2 marzo 2005.
[14]
Intervista sopra citata.
[15]
Si vedano l’intervista di R. Cassigoli, Il poeta e la Costituzione,
“l’Unità”, 1 marzo 2005; il libro, M.Luzi, Le nuove paure. Conversazione
con Renzo Cassigoli, Passigli, Firenze 2003
[16]
Messaggio inviato al Forum del movimento contro la guerra, 26-27 febbraio
2005 : “Mi scuso con gli amici se oggi non sono in grado di uscire di casa.
Ma voglio essere ugualmente con voi a intitolare alla pace questo giorno
emblematico…”
| |
 |
Materiale |
|