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Mio nonno Giulio
Mio nonno Giulio, fornaio a tempo perso alla Piagentina del dopoguerra,
giocatore di tresette a tempo pieno, buon bevitore, grande lettore, aveva una
serie di libri che a me bambinetto parevano enormi e che stavano tra due pentole
su uno scaffale della cucina. Dopo decenni ho capito che il libro che tanto mi
affascinava e che sfogliavo con incantato stupore altro non era che
la Commedia,in ottavo, illustrata dal Dorè. E le storie che il nonno mi leggeva
con voce da orco ma sorridendo con gli occhi erano tratte dalle Vite del Vasari e addirittura dal Richa, sì proprio l’erudito gesuita delle Notizie
istoriche: una lunga fila di volumi rilegati in pelle, sbertucciati e untuosi
per il fumo del camino.
Un giorno, per
qualche necessità familiare, dovevo andare, da solo,in piazza della
stazione: un’avventura, un azzardo per un bimbetto ma non si poteva fare
altrimenti. Il nonno fece sentire la sua: “Quando sei lì, entra in Santa
Maria Novella! Devi guardare tre cose!”.Seguirono indicazioni, anzi
istruzioni. Ecco quello che vidi, con gli occhi di fanciullo, nella penombra
di una giornata di novembre. Sulla parete in controfacciata rimasi atterrito
da un dipinto sul muro, tetro, lugubre, un Cristo tristissimo, un Dio Padre
dagli occhi minacciosi, una Madonna che mi parve orribile e che mi seguiva
con lo sguardo anche se cambiavo posizione (negli occhi avevo due immagini
di una dolcissima giovane Vergine Maria, una appesa a capo letto in camera
mia e del nonno e una in camera dei miei genitori. Col tempo avrei scoperto
che si trattava di vecchie foto di due iconiche Madonne col Bambino, una di
Filippo Lippi e una di Pompeo Batoni). Mi allontanai di corsa verso la
sacrestia dove sapevo avrei trovato un grande Gesù appeso. Era in effetti lì
(chi mai avrebbe potuto osare toccarlo?)e mi spaventò il suo corpo che
sembrava doversi staccare dalla croce da un momento all’altro; pareva mi
aspettasse e mi si rivolgeva inquietante, carico di dolore. Mi volsi a
cercare la terza “cosa”: il Cristo di Brunelleschi, quello delle uova. Il
nonno mi aveva detto che è di legno, ma io lo vidi scuro, sporco e con un
gran panno arrotolato intorno ai fianchi; era abbastanza distante da non
spaventarmi.
Ma eccoci alla
ragione di questa nota. Insieme con le “cose” da vedere, il nonno mi aveva
prescritto di evitare assolutamente la cappella Strozzi, quella affrescata
da Filippino Lippi. “Lì non devi entrare, a parte la presenza di un mostro
che manda un fumo velenoso, lì capitano sempre cose strane!”. Come si fa a
resistere!? In effetti il mostro lo vidi subito, affrescato sulla parete di
destra, davvero sembrava emanare una nebbiolina scura; ma fu l’altra parete
che mi sconvolse e ancora oggi mi lascia interdetto: la scena
della Resurrezione di Drusiana, capolavoro universalmente celebrato di
Filippino. Leggiamo insieme il Vasari: “… si vede un putto che impaurito di
un cagnolino… ricorre intorno alla madre… occultandosi fra i panni di
quella…”. E il Richa:“… un fanciullo, che per lo terrore di un cane, fugge
a ricoverarsi sotto i panni della madre…”. Dunque Vasari e Richa hanno visto
e descritto un putto,un fanciullo! E i due grandi storici non riportano
notizie di seconda mano, scrivono ciò che hanno visto: “un putto”,
“un fanciullo”. Torniamo a quel novembre del dopoguerra. Anche io vidi il
putto dipinto a buon fresco da Filippino. Ero lì che quasi sorridevo
dell’immagine del bimbetto spaventato dal cagnolino, un cagnolino da salotto
che giudicavo non potesse fare spavento alcuno, quando mi sento tirare per
il giacchetto. Mi volto e accanto a me si erano materializzati due
fanciulletti,vestiti in maniera curiosa, che piagnucolavano, anch’essi
assurdamente intimoriti per il cagnetto dipinto. Mi chiedono aiuto! Mi viene
da ridere, mi sento grande rispetto a loro e dico: “Fate come lui, andate a
nascondervi nel vestito della mamma!”. Si era fatto tardi e corsi via.
Ora andiamo
insieme a rivedere Il miracolo di Drusiana: i bambini sono tre!
Paolo Lippi
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