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Canto intrigante e dolente, il libro di poesia di Veniero
Scarselli è segnato da un disequilibrio particolare, tale da prospettare
continuamente lo sconfinamento dal tono lirico che lo ispira e lo regola – in
quanto "pavane" – ai modi epici di un discorso volto a descrivere il cammino
intellettuale dell'uomo che cerca di conoscere il senso del suo
essere-per-la-morte.
Un canto
coerente e complesso, che muove da una morte, per dire della Morte. Il vissuto, tutto quanto appartiene alla categoria della
sensibilità e della soggettività è pretesto, esperienza unica e dato di
partenza – valore dunque – per una razionalità accesa dal dolore, rigorosamente
determinata nel suo procedere. Anzi, proprio la morte della madre, il suo
"tradimento" a fronte del sogno d'onnipotenza del figlio, apre la via della
mente, sgomenta e inorridita, inducendola ad assaporare "il frutto velenoso
della conoscenza".
"...E fui costretto allora rabbiosamente | da quello stupro a
vedere la vera | mia mente, corrotta dagli orpelli | di un'inutile scienza, |
smarrita nei suoi stessi labirinti | di viscide sfuggenti rappresentazioni | dei
segreti della Natura. | Questi restano infine imperscrutabili | ai nostri
torpidi occhi di maiali | senz'ali e con le zampe rozze | sempre schivati dalla
grazia d'intendere..."
Da questa percezione dell'essere si diparte il cammino
dell'intelletto che ripercorre, strisciando tra emozioni d'agonia, il disegno
dell'universo per cercarvi invano, ma razionalmente, un segno di Dio, la
ragion d'essere per "la terribile invenzione della vita". Invano, ora in atteggiamento di rivolta deflagrante e
oscena, ora in preziose messe a fuoco: "Fu grande segno d'amore | se potemmo
venire da oriente | come re magi | e potemmo umili splendere | anche per poco,
fugaci comete." In questo tumulto della mente che si riconosce nella rete di
emozioni che la sospingono verso il nulla, l'lo si delinea come antagonista
tragico del Tempo.
La scrittura di Veniero Scarselli indugia al limite di questo
baratro, si traveste di eleganze squisitamente letterarie che esigono una
lettura attenta, né complice né consolatoria; si costruisce e ricostruisce in un desiderio di conoscenza che
travolge il linguaggio ed il sapere che l'ha generato. Pur aspirando,
all'univocità sentenziosa, per il travaglio intellettuale che la muove, si
configura come riflessione: il lessico della Scientia si estende a frammenti
onirici, in prestiti provocatori, a rappresentare la quotidiana grottesca tela
dei segni dell'ansia e della disgregazione dei corpi; si avvicina la vicenda
dell'individuo fino a distruggerne la presunta certezza di significato, fino a
diventare, in quanto "parole", maschera di sé stilisticamente ridondante di
desiderio di vita.
"Tutti i lumi dì bellezza", i frammenti dì "grazia" che
affiorano alla coscienza dell'lo pensante nel corso del suo indagare disperato e
vigile, prendono forma nello scarto tragico e significante con cui un linguaggio
scientificamente definito si apre all'infinita possibilità di rappresentazioni
con cui l'individuo, senza fondamenti, apprende la propria fragile transeunte
umanità.
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Recensione |
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