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L'eredità della scienza
“O segregata, / o
rifulgente. / Musa. / Eppur esposta, / cattedrale di brina”. L'epigrafe del volume
racchiude indizi e tracce sulla ricerca e sul percorso: segregata eppure
esposta, come la scienza, come la poesia, come la strada che le separa e le
unisce. Marco Baiotto percorre il cammino con passione ma senza mai perdere il
contatto con il terreno, anche nei punti in cui si predispone ad osservazioni
panoramiche di ampio respiro. Tutto risulta documentato, sviscerato e illustrato
da note esplicative. Il gioco di equilibrio permette all'autore di tenersi
distante dai massi squadrati del freddo elenco di nozioni e dall'inconsistenza
franosa delle elucubrazioni lirico-psicologico-filosofiche. Il risultato è un
libro in cui si esplora il lato umano della scienza, le connessioni e i divari
tra il reale e l'ideale.
“Tuonano le scienze
infurentite: / ciò ch'esiste è dell'uomo e per esso creazione e lenimento”. È
questo il verso d'esordio del libro. Il linguaggio è deliberatamente classico
nel ritmo e nella scelta dei termini, pur senza abdicare alla necessaria
aderenza alla modernità, comprensiva anche di una gamma di vocaboli tecnici e
specialistici. Anche questa scelta contribuisce a tessere e rinsaldare il legame
tra un tempo indefinito, quasi a-storico, e, accanto, un tempo assolutamente
identificato e determinato, per ribadire anche da questo punto di vista che
l'uomo è un insieme di tutto questo, connubio complesso di tangibile
incorporeità.
L'ironia di Baiotto
è sottile, mai ostentata, sempre preceduta e seguita da un atteggiamento del
tutto rigoroso. Ciò non stempera le immagini e i parallelismi, i paragoni
proposti con controllata ma tagliente solennità. “L'amore è società di mutuo
soccorso / infiocchettata di dolci e canditi, / così il sesso lecca-lecca / al luna park si dà all'uomo capriccioso”. Versi come questi, caustici, esprimono un
approccio schietto e nitido, divertito nella forma ma deciso, alieno ai
compromessi. L'autore oscilla volutamente tra toni e registri discordi, come un
musicista che crea contrasti e stridori testimoni del caos che intende
echeggiare ed evocare. Nelle stesse pagine, a distanza di pochi versi, si parla
di cartoni animati, Heidi e Peter, e del DNA che è “hard disk biologico di
catene / interminabili di cause effetti”. E, in modo esplicito, per esprimere il
desiderio dell'estinzione della razza, si fa riferimento ad una “blatta
kafkiana”. Un richiamo intertestuale che, in un ambiente ibrido e
onnicomprensivo di riferimenti, viene a negare il senso stesso e la speranza
concreta della metamorfosi. Ciò che resta sono anime spoglie esposte al deserto.
Il libro contiene
omaggi a autori e persone di vari ambiti e di differenti epoche. Fanno da
specchio e da catalizzatore per le idee, per quell'espressione di concetti che
tramite iperboli e paradossi esprimono visioni del mondo sui generis: “se la
musica è variazione di uno fratto effe / non voglio saperlo”, e, poco oltre,
“confonderò il postino con Santa Claus”. Per dare una dimensione a questa
esplorazione di territori visti con occhi nuovi è utile all'autore anche
l'utilizzo del conio, parole inventate o ibridate anch'esse, a formare nuovi
punti di osservazione: “Coi miei polmoni brillanti / […] inciderò / il mio arzigorgoglìo vitale”. Alla fine, consequenziale, su una base di de-costruzione
condotta con vigore, è spontanea la domanda retorica che pone fine al percorso:
“C'è qualcuno ovunque / e ovunque in grado / di dirsi senza dubbi felice?”.
La cultura si
innesta sulla coltura, l'esperimento biologico, così come il mezzo linguistico,
di pari passo, ricerca forme sperimentali di espressione: “La coltura è umana
/
sul vetrino quale Dio-ttria mi manca / alla vista del microscopio o della
micro-spia?”. La tradizione letteraria inoltre si conferma nel ruolo di simbolo
per poi diventare essa stessa strumento di espressione divergente: “Cuore,
rustico Don Chisciotte, aimè perisci! / E prostrati all'androide”. La telematica
assurge a immagine globale, nei versi in cui si immagina un potenziale sistema
operativo per le anime. Il procedimento di innesto tra linguaggi di natura
diversa procede in progressione costante fino a dare forma di versi alla
“Algebra differenziale dicotomica, omaggio al matematico Kurt Gödel ed ai
problemi indecidibili”. Qui si analizza una teoria che poi sfocia nella
questione se sia legittimo pretendere di pesare le Fate e si richiama il vigore
della dittatura di Walt Disney. Un'apparente incoerenza che in realtà genera e
favorisce corti circuiti di ragionamenti che invitano ad andare al di là della
superficie delle cose e dei fatti ordinari per provare a cogliere “spilli di
luce” dentro “lampade d'un Aladino di Alpha Centauri”.
Per giungere ad
esprimere ciò che maggiormente lo tocca e lo coinvolge, Baiotto ha bisogno di
destabilizzare lo sguardo e il vocabolario. Parla delle lenti di Fibonacci per
poi dirci, e dirsi: “non so-stare al mondo, senza ragioni”. La verità nelle
pieghe del linguaggio giocato, vivisezionato, ricostituito ex novo. Con tale
meccanismo giunge anche a parlare di sesso e perfino di amore, senza il timore
del tonfo nella retorica del prevedibile: “ascensore innamorato che fedifrago si
libra / sulle nostre intimamente vaste / nozze di piuma”. Non resta allora che
indagare su “La macchina cuore-polmone (in vita in coma vigili in moto)”,
accogliendo anche l'abbraccio di Budda a fianco dell'anormalità dei sogni.
La sezione
conclusiva del libro, adeguatamente preparato passo dopo passo, ci conduce a
fare la conoscenza con “l'iperrelazionalismo sensibile”, la teoria filosofica
ideata da Marco Baiotto. È la coerente conclusione del percorso, la sintesi di
quanto espresso nelle poesie di questo volume. Una visione sincronica basata
anche su Corrispondenze baudelairiane, profonde, in grado di scardinare e
ricostruire le relazioni tra gli uomini e la realtà, la scienza, la memoria,
l'ipotesi di un tempo futuro. La Poesia, quindi, intesa come linguaggio e
destino di esseri Quasi Adatti “crivellati dal dolore e dalla gioia”. I poeti,
come monaci amanti, illusi e fieri, “pilastri / d'un architrave d'amore”. Finale
ineluttabile, dopo aver parlato del mondo attraverso punti prospettici nuovi, è
una poesia autobiografica in cui Baiotto riassume tutto osservando anche le
proprie Variazioni di stato. Si vede come un “oggetto di muta, spellato”, e
mette in relazione la scienza e la poesia, ancora una volta accogliendo in sé
tutto ciò che ha osservato e ciò che definisce come inconoscibile, l'eredità che
non può essere spesa, ma, proprio a causa o in virtù di questo, è più preziosa
ed essenziale: “Quella parola rada, / isoscele seta tra i flutti, / croce astile
di me stato, / m'elevò uomo integerrimo, / aeromodello esteta. / E nulla più si
seppe, / di chi scrisse la Lettera con Rimbaud”.
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Recensione |
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