| |
Equazione paradigmatica – (suono : lettura = segno :
scrittura)
in Severino Bacchin e Giorgio Moio
Il coinvolgimento della vista in
questi due libri appare chiaro fin dalle copertine: Soldati di carta (1), di
Bacchin, esordisce con un testo in cui la forma richiama decisamente il tema;
Maio è esplicito già nel titolo, Con occhio allegorico. Dunque che l'aspetto
di queste composizioni sia primariamente visivo non stupisce quando ci si trova
di fronte ad una gestione non convenzionale delle maiuscole a confondere la
vista lasciando supporre scritture sinistrorse, o addirittura bustrofeliche, in
realtà assenti (3), che costringe il lettore ad una sorta di ricostruzione di un
testo scritto invece nel modo tradizionale, né di fronte alla lunga serie di
ripetizioni perfettamente incolonnate (4) che confondono l'occhio
nell'immediatezza, il quale non riesce a leggere e vede solo una forma sulla
pagina, poi una parola fuori margine focalizza l'attenzione su di una riga e il
gioco è fatto. Neppure stupisce scoprire che uguale compito di distrarre sia
svolto da vistose variazioni di corpo e stile del carattere (5), nonché con
l'introduzione di caratteri tipici della comunicazione interlinguistica di
internet (6), i quali, insieme all'elisione degli apostrofi ed a volte anche
degli spazi fra articolo e sostantivo, alludono alla riduzione del linguaggio a
codice ed al suo impoverimento a segnaletica d'uso.
Nella maggior
parte della composizioni di Bacchin, la forma descritta dalle parole, o dalle
lettere che le compongono, ha attinenza con il tema trattato, tanto da
costituirne un titolo visivo, in questo riferendosi alle tecniche futuriste più
rivolte all'immagine del testo, tuttavia questo non mi sembra un aspetto
determinante, in realtà questa collocazione spiazzata delle frasi o delle parole
credo serva a rallentare la lettura dando più tempo alla possibilità di assumere
il concetto, che spesso non è unidirezionale, a separare le parole tra loro
aumentando la possibilità di apprezzarne riferimenti, rimandi e collegamenti
anche ironici, ed infine, separando le parole per sillabe, a costringere il
lettore ad una sorta di sottolineatura a quella parte del testo. Spesso la forma
o le forme sono un pretesto per organizzare visivamente una contrapposizione e
rafforzarla (7), o l'espressione di due concetti separati da una linea che
altrimenti sarebbe meno riscontrabile (8).
Moio, che
sembra reinterpretare la tecnica futurista attraverso l'uso dei caratteri della
comunicazione veloce (e approssimativa) odierna, agisce la contrapposizione
attraverso l'inserimento improvviso di testi di grande scrupolosità formale (9),
senza ricorsi a punteggiature ironiche, profondamente poetici e legati
rigidamente alle condizioni attuali di chi continua a scegliere la forma
espressiva della scrittura (cfr. testo 5. con 6). Questo risalta ancor più
decisamente in un contesto nel quale l'uso arbitrario (e pretestuoso) delle K,
della & e delle parentesi tende alla aotodelegittimazione del testo (10) sul
versante della seriosità della proposizione, tanto cara ai palinsesti
televisivi. Altro esempio di come Moio gestisce la forma è costituito dal testo
"7" (11). Lo stratagemma grafico rende difficilissima la lettura di un testo
che, se scritto in modo piano, non presenterebbe alcuna difficoltà, tautologia
neppur tanto recondita di molti discorsi pubblici che sotto un'accurata
costruzione grammaticale nascondono il nulla (nella migliore delle ipotesi).
Come le pressioni rappresentate dalle frecce in "identikit" e "un korp"
(12), che sembrano voler modificare le curve del korpum, unite alle
grossolane correzioni del testo, nel quale paiono inseriti casualmente i termini
-uccelli volano, forma vomito lingua memoria sgravando migrando,
riconducono prepotentemente al rapporto con il corpo dell'individuo e di una
società che non si accettano e cercano di azzerare la memoria. Altro
collegamento parola/forma è la clessidra descritta dal testo (13), che ancora si
riferisce alla lingua. "sfiora uno spasmo di sangue lora | che viene il
giorno attende il | tempo delle danze zigzagando | nella cavità della gola".
Meno esasperati e meno indicizzati, i riferimenti di Bacchin non evitano
le questione del rapporto fra la scrittura e la realtà sociale. Nella poesia che
fornisce il titolo alla raccolta (14) il tetto che copre tutti noi sta proprio
nelle parole che lo compongono, il sostegno di questo tetto è il testo sillabato
sulla parete, lapidario, e il tutto si fonda sulle ultime due frasi: "muoiono
i soldati di carta | quien lo sabe". Senza punteggiatura, non ci viene
indicato se intenderle come affermative o interrogative, mentre la frase di per
sé interrogativa è scritta in spagnolo, ironia che riconduce comunque al terzo
mondo, fondamento, pavimento calpestato. Fra le composizioni a sfondo sociale mi
pare degna di nota "Padre Operaio" (15), la forma suggerisce qualcosa
di meccanico, forse la testa di una biella da cui pende un pistone, nella prima
parte il testo si sviluppa sia in senso orizzontale, protagonista/qualifica, che
in senso orizzontale, discendenza famigliare, dopo di che le due parti di testo
si uniscono nelle considerazioni che seguono, il tutto, attraverso un filo che
esprime un valore temporale ma quantifica anche una distanza, viene collegato
alla forma monolitica e imponente nella quale vengono espressi i risultati e la
considerazione. Bacchin si concede anche qualche deviazione sul sentiero del
sentimento, fra queste la più efficace mi sembra "La ruota" (16). Il
tempo appare impantanato nella base, dove il senso scorre fra il rimando dei
solchi alle ruote di fero, al passato ed al cuore disorientato; senza dubbi
l'effetto sortito è sorprendente in relazione alla carenza dl testo, il quale
deve aver colpito nel segno il lettore. Moio, su questo tema, non si lascia
andare a tanta irruenza, delega il sentimento più dolce di questa sua raccolta
alla parte centrale "altre poesie" (17), quella più visiva. Con l'ausilio
di poche parole scritte a mano, quasi stralci frettolosi col striature di
inchiostro fresco, fa giungere fino all'intimità più nascosta lo sguardo dolce
ma pressante dell'occhio che osserva il lettore da ogni opera; in bilico fra
l'allegorico e l'utopico, come può non ricordarci i nostri amori più
appassionati.
Note
(1)
S. Bacchin, Soldati di carta, Centro internazionale della grafica di
Venazia, 2005.
(2)
G. Moio, Con occhio allegorico, Edizioni Riccardi, Quarto 2005.
(3)
S. Bacchin, op. cit. pp. 16, 22, 31.
(4)
S. Bacchin, op. cit. pp. 7, 27, 39.
(5)
G. Moio, op. cit. pp. 9, 12.
(6)
G. Moio, op. cit. pp. 10, 16.
(7)
S. Bacchin, op. cit. p. 31.
(8)
S. Bacchin, op. cit. pp. 30, 36.
(9)
G. Moio, op. cit. pp. 11, 12.
(10)
G. Moio, op. cit. pp. 17, 35.
(11)
G. Moio, op. cit. pp.12, 13.
(12)
G. Moio, op. cit. pp. 38, 39.
(13)
G. Moio, op. cit. p. 40.
(14)
S. Bacchin, op. cit. p. 9.
(15)
S. Bacchin, op. cit. p. 29.
(16)
S. Bacchin, op. cit. p. 23.
(17)
G.
Moio, op. cit. p. 21.
| |
 |
Materiale |
|